giovedì 14 dicembre 2023

Le palle di Natale

 A Natale non c’è abete che non mi stia sulle palle. (Omaggio a Walter Matthau)

il brano è stato scritto in omaggio all'attore americano Walter Matthau, ovvero, al genere di personaggio più volte da lui interpretato nella sua memorabile carriera. Ho immaginato che un tipo scontroso, cinico e misogino, sulla bozza  delle sue più riuscite macchiette cinematografiche, fosse proiettato nel nostro mondo angustiato dalle logiche del  politically correct. Ho provato a costruire una meditazione fredda e distaccata sulla società contemporanea, proprio come  il burbero allibratore  della pellicola di Bernstein, 'E io mi gioco la bambina'. L'idea mi è venuta dopo aver letto il post 'Io amo il cinema' sul blog di Gus. Scrivere in quello spazio delle mie preferenze cinematografiche sarebbe stato lungo e noioso, mentre l' omaggio a un bravo attore, lo trovo di gran lunga più leggibile. Approfitto dell'occasione per fare a tutti i miei più cordiali  auguri di buon Natale. 

Fabio Painnet Blade 

   "La gente mi sta sempre sulle palle, ma a Natale posso dire che mi sta sulle palle anche di più. Più che a Pasqua, più che a Ferragosto; ai compleanni poi…ci sarebbe da ammazzarli tutti, questi gioiosi, con le loro torte burrose incatramate di cacao. Odio i pacchetti infiocchettati che promettono e poi non mantengono, poiché tanto 'quel che conta dev’essere il pensiero'. Ma quando mai il solo pensiero ha  contato qualcosa? Mi tengo a distanza di sicurezza da ogni cerimoniale festoso, germoglio d’ipocrisia. Le lacrimucce di circostanza, i “proprio non li dimostri, cara”, o quei mielosi “sei sempre così bella...”, non li ho mai digeriti. Le badilate di stronzaggini che si dispensano in tali occasioni mi fanno sempre rivoltare lo stomaco. Non sono un tipo simpatico, lo so. Ma non perché soffra di una misantropia congenita, semmai perché non credo affatto alla gioia del momento. Non credo alla felicità in generale, quel che ne vien fuori, intendo; forse quel che rimane dentro è di gran lunga migliore…Non v'è nulla di più prezioso delle cose celate, disse qualcuno*.  Per me il tempo buono è quello del ‘dopo’, il ‘durante’ non mi dice niente di speciale. Il dì della festa? Non ha alcun senso. Punto. 

 Delle cose della vita mi interessa parecchio il ‘dopo’. Il concerto di Capodanno? M’ha sempre lasciato indifferente, mentre al mattino, quando gli operai cominciano a smontare l’impalcatura e gli spazzini a raccattare le montagne di immondizia, io assaporo la malinconia dell’epilogo. Per me in quel preciso istante comincia l’eccitazione e mi capita di pensare: meno male, anche per quest’anno è andata. Una buona pellicola comincia a prendermi quando il nastro con i nomi degli attori ha terminato di scorrere, dopo le citazioni, i costumisti, le musiche e i ringraziamenti agli enti locali. Ogni inizio è un potente narcotico, nella fine vi è altresì un' energia nuova. Avevano ragione i saggi del tempo che fu: il tempo è ciclico e quel che comincia è sempre meglio di ciò che finisce. Neppure in vacanza riesco a rilassarmi, meglio un giro di vodka al bar dell’aerostazione, quando le turbine hanno smesso di fischiare e i pericolosi marchingegni hanno depositato i nostri culi sulla terraferma.

 Ottenere una vittoria è sempre una bella sfacchinata, val forse la pena vincere se prima devi farti un mazzo così? No, no… Meglio il dopo, e poco importa che il successo non sia tuo e sugli allori si gongoli qualcun altro. Meglio il dopo, in ogni caso, come quando senti lo scroscio dello sciacquone portarsi via fatti e misfatti della giornata, solo allora ti senti in pace col mondo. Svuotarsi gli intestini è una questione liberatoria, posteriore, - in tutti i sensi - mai antecedente. Forse questo mio godere del momento appena trascorso e della solitudine che in esso trae giovamento, è la vera causa del rapporto di merda col mio prossimo. E a Natale la ripulsa si fa ossessione. L’aria della festa mi da l’orticaria, che posso farci? Per me il momento buono viene quando rimango solo. L’ho detto.

- Perché non prendi un cane? Ti farebbe bene. Mi si consiglia spesso, con una stoccata di bonaria premura borghese.                                                                                                                                    - Come no. L’ho fatto a suo tempo, ma ho cominciato ad interessarmi a lui solo quando è schiattato sotto il battistrada di un autoarticolato. Prima di allora m’aveva sempre dato ai nervi. Dannata cagnetta! Meritava qualcosa di più come padrone ed io qualcosa di più come compagnia: in pratica stavo molto meglio senza. Ma l’ho capito dopo…dopo che ho veduto il suo muso spelacchiato appiattirsi su un groviglio di interiora rosa, sul selciato. Insomma, non sono il tipo adatto a tenere fra i piedi un piccolo, per quanto tenero, sacco di pulci. Raccoglierne le deiezioni poi, un vero supplizio; il sottile piacere lo lascio volentieri al vedovo del pianerottolo a fianco: un tipo dai modi cortesi ed odiosi, molto preciso e attento ai formalismi di maniera, a cui piace far di conto fuori e dentro l’ufficio pidocchioso in cui trascorre le ore della giornata. Ma quella di far quadrare i conti è una mansione che si è portato fin dentro le mura domestiche, dove – si dice - non lasciasse passare lo spreco di un solo centesimo. Il vicinato maligna che la consorte sia spirata anzitempo per disperazione, non volendole lui concedere alcun lusso o sperpero e centellinandole persino i pochi nichelini che di solito si lasciano al mendicante, sul sagrato della chiesa. Mi é capitato molte volte di osservare questo vecchio contabile inforcare il suo buon guanto in lattice e ingobbarsi sugli escrementi del proprio cane, uno scagaccione tutto coda e mandibole che sembra farlo apposta a cacargli attorno, proprio mentre passano le signore ingioiellate, quasi conosca alla perfezione i suoi modi da incorreggibile dongiovanni. Questi di norma, segue l’animale, col quale sembra aver rimpiazzato la più dispendiosa moglie, gli sta appresso metro dopo metro e si piega fino a terra per adempiere al suo quotidiano esercizio di buona creanza. Al primo mattino tuttavia, è assai meno sollecito a raccattar escrementi, cosa che non manca mai di fare in pieno giorno, quando invece pare assai più attento a non rovinarsi la reputazione di persona a modo; solo per questo motivo alla luce del sole è assai più coscienzioso con la merda del suo cane: e dagli con le genuflessioni, col guantino e con la quotidiana esibizione di impareggiabile disinvoltura manipolatoria. Ogni tanto, nel vederlo carezzare le digestioni canine, alcuni non riescono a trattenere il disgusto e con la mano sulla bocca, a mo’ di tampone, tirano avanti senza degnarlo d’uno sguardo. E che altro può suscitare un tale, stomachevole contegno? Solo a guardarlo desta compassione: mai e poi mai potrei tenere, ed ancor meno accudire, un tale impiccio sotto il mio tetto. 

   Stasera, il 24 dicembre, ho deciso di farmi una bella passeggiata in centro, a distanza di sicurezza dai luoghi dove le persone si addensano come afidi. I centri commerciali sfavillano di luci e sembrano invogliarti a scucire i tuoi ultimi risparmi. A me pare che questa folla sciami intorno ai mercati proprio nei momenti meno felici dell’economia, quando i telegiornali sfornano le peggiori previsioni e il portafoglio ti fa marameo dalla tasca lisa. Se non ci si può permettere nulla, la sola idea di spendere provoca una sottile frenesia masochistica a cui nessuno vuol rinunciare; così, a Natale, tutti si riversano per le strade a godere di questa strana vocazione. E come puoi fermarti a comprare qualcosa?: le facce di fuori ricordano il cipiglio sconsolato dei mocciosi anni Venti: berretto largo di due taglie calcato su riccioli aurei, occhi supplicanti e bava alla bocca davanti alle leccornie della pasticceria. Perché non portano i loro musi imploranti altrove questi infelici? Che ci posso fare se non sono un sadico? Non tutti amano gioire delle sfighe altrui. Acquistare qualsiasi cosa, in questo periodo dell’anno, mi innervosisce, provo quasi vergogna e allora, anche per questo Natale mi guarderò bene dall’idea di sperperare quattrini. Mi farò due passi solo per prendere una boccata d’aria, ci sarà pure un buon diavolo che del Natale se ne frega.

 Per le vie del centro mi imbatto invece nel solito via vai di faccioni inebetiti davanti alle vetrine sfavillanti: dentro i locali le commesse fanno i cruciverba. Quei pochi che osano interrompere i loro svogliati passatempi sono trafitti da sguardi d’invidia feroce. I fanciulli vengono strattonati come somari davanti ai multicolori arredi dei negozi di giocattolame, le scene si ripetono sotto i miei occhi e il biasimo per questa umanità corrotta mi lievita dentro.

 Neppure gli abeti riscuotono successo, giacciono accatastati col cartellino del prezzo appiccicato a rami che mai vedranno addobbi colorati. Il prossimo Natale la loro strage         – o una parte di essa - potrà essere evitata, una buona percentuale si salverà in attesa di tempi migliori. Guardo le palle che stanno sugli abeti e scopro che gli abeti mi stanno sulle palle più delle persone… a Natale. Mi sovviene un vecchio motto che invitava a piantare un albero per ogni nascituro. Se l’equazione fosse corretta, ad ogni Natale si dovrebbe registrare un preciso decremento demografico, dato il numero di piante destinate alle discariche. Mi si ricorda che non sempre la matematica c’azzecca. Mah! Non ne sono troppo convinto: il calo delle nascite nei paesi più opulenti è una scudisciata di pessimismo spalmata su tutti i mesi dell'anno. E hai voglia di seminare alberelli sull'intero pianeta! L'equazione non torna.  Mi fermo davanti al grosso schermo di una piazza cittadina, al momento trasmette il telegiornale dell’emittente che fa capo alla redazione di un quotidiano. Persino la piazza porta il nome della testata, manco fosse un caduto dell’ultima guerra. Il notiziario trasmette immagini da terzo mondo, in diretta televisiva dai teatri di violenza più gettonati. Spuntano volti emaciati, cornee giallastre infestate d’insetti, o ventri gonfi come bocce da bowling, ma solo nei luoghi caldi, mentre a settentrione il sangue è lo stesso, stessi drammi e stessa disperazione con  densi fumi neri sullo sfondo, come tetri sipari sullo spettacolo della Nera Signora, in replica perenne,  giunta dal cielo sul suo metallico destriero gravido di esplosivi . E poi roghi di morte, calcinacci imbiancati di polvere dove un tempo svettavano edifici, quartieri, città. Cazzo! Quanto ci azzecca la matematica a Natale. 



* Oscar Wilde

mercoledì 6 dicembre 2023

Controcorrente: Il re della foresta o no?

 Fra il serio e il (poi mica tanto) faceto.                                                                                                                                                                             
   Abbiamo visto nel precedente post  , che Aristotele non prendeva in considerazione descrizioni di fenomeni e leggi fisiche che fondassero il loro significato su condizioni ideali e completamente astratte, il che vuol dire anche : estrapolate da una realtà che si presentava con caratteristiche peculiari  e perfettamente osservabili (Ad esempio il movimento di un corpo privato dall'attrito naturale dell'aria, non si può osservare nella realtà, quindi il concetto è astratto). Ciò che intendeva chiaramente affermare il filosofo di Stagira, oggi tutt'altro che recepito a livello accademico, e che determinate astrazioni fossero del tutto improponibili nel contesto fisico reale. La nostra cultura tecnologica è invece fondata su leggi che propongono condizioni puramente astratte, condizioni cioè meno che improbabili sul nostro pianeta e ciò, quando non intervengono verifiche di carattere sperimentale, rende tali criteri talvolta indistinguibili dalle macchinazioni dell'ideologia di potere. Anch'essa, infatti, costruisce i suoi 'postulati'  su condizioni immaginate che non trovano riscontro nel mondo fisico. Il mito del 're della foresta', rappresenta una fra le tante astrazioni del pensiero ideologico, dove un modello (extra-biologico, quindi metafisico) non-reale viene imposto sulla base di una correlazione fittizia col dato empirico, che tuttavia fa comodo a una certa logica opportunistica . Pensiamo al modello di potere monarchico, al suo carattere essenzialmente verticistico che poggia sull'autorità indiscussa del sovrano. Per conferire attendibilità assoluta a questa astrazione, farla cioè apparire come determinazione naturale, ecco allora che occorre ideare un analogo modello, sostenuto da leggi naturali (in realtà si tratta di leggi non-empiriche perché, come vedremo più avanti, l'osservazione diretta propone altri e più significativi dati), fino ad un certo periodo considerate di esclusiva pertinenza divina. Allora è possibile che la natura venisse descritta con specifiche caratteristiche di comodo, affinché valesse un principio valido tanto nelle società degli uomini che in quelle degli animali .  Almeno gli antichi eruditi, cercavano questa analogia (Il:  'così sopra, così sotto) attraverso l'osservazione, quella sì meticolosa e scientifica, delle sempiterne dinamiche astrali. Chi dunque avrebbe mai dubitato dell'autorità del tiranno se il suo governo fosse posto sullo stesso piano dell'ordine naturale voluto da Dio (In tempi moderni voluto dalla scienza) ? Quale miglior modello si poteva dunque scegliere se non quello biologico predefinito dall'imperscrutabile autorità divina? 

 
Nullius in verba, ovvero, la scienza prima di tutto

    Prendiamo in considerazione  il mito del 're della foresta'. Questo concetto è dovuto soprattutto alla interpretazione ideologica promossa dalla  Royal Scientific Society, un' istituzione fondata  e sovvenzionata dalla corona britannica nel 1660 , proprio col fine di sostenere l’idea di una regalità, (quella del sovrano) perfettamente contemplata dalla natura e , ufficialmente proposta sulla traccia della filosofia baconiana. Proveremo a dimostrare che certe analogie appaiono fuorvianti ed oltretutto, alquanto superate. Per farlo cercheremo di capire se davvero il leone, re indiscusso della brughiera africana, goda degli stessi diritti e privilegi di un monarca.  Osserveremo quindi in chiave umoristica, ma non per questo meno attendibile, a quale destino andrebbe incontro il povero tiranno del bush africano se, anziché dare per scontata la prospettiva dominante, provassimo ad osservare nel tempo quanto durano i suoi 'privilegi di corte' e a quale carissimo prezzo esso deve guadagnarseli assieme all'agognato scettro del potere. Il quadro, ben chiaro agli etologi moderni, mette in evidenza la transitorietà del suo ipotetico dominio, le inaudite difficoltà a cui deve far fronte una povera bestia per garantirsi il primato per la discendenza e il sostentamento alimentare; cosa ben diversa dall'agevole regalità degli umani che poco ha da spartire – ribadiamolo - con quella decisa dalla natura. (La natura infatti, non prevede l'abdicazione, o la tranquilla uscita di scena per limiti d'età, del sovrano. La natura definisce l'alternanza di potere  in modo esclusivamente cruento. )


Il re della Foresta, figura ideologica costruita a tavolino, o rappresentazione  di un modello d'ordine naturale? (Di Fabio Painnet Blade)

 Il mito del Re della foresta? Ah ah. Frottole, datemi retta! Solo fandonie messe in giro per convenienza!

 A badarci bene questo altisonante titolo, al leone, glielo dovrebbe aver appioppato un biologo al servizio della corona britannica, spacciandolo com'è ovvio,  per insindacabile tesi scientifica. A conti fatti, però, l’equazione non torna. L’idea di fondo della supposta regalità leonina sarebbe dunque una costruzione immaginaria (Un'astrazione direbbe Aristotele) edificata su uno zoccolo di inaudite falsità. Non occorre grande arguzia per capire il vero ruolo del povero leone, sottomesso ai doveri di una nobiltà imposta dalla scienza degli uomini. Insomma, dopo averci convinto che la società degli umani sia simile, e talvolta perfino sovrapponibile, a quella delle bestie, tesi già dimostratasi poco attendibile, questo turpe inganno ha edificato la sua propaganda su congetture infondate, ammantandole a posteriori di spuria solennità accademica: s’è sempre detto con inaudita malafede che l’uomo, come il suo alter-ego della savana africana, avesse da soddisfare brame di virilità e potere sulla moltitudine diversificata delle femmine del branco, attraverso una promiscuità sessuale legata ad ineludibili finalità riproduttive. Ma ciò non si è rivelato corretto, in quanto s’è omesso di ricordare che la femmina della specie sfrutta meglio e a fondo tale opportunità, infatti essa può profittare di numerose occasioni da accoppiamento molto comodamente e per un tempo ben più lungo di quello del maschio, il quale oltretutto se lo deve guadagnare a suon di artigliate, o rinunciarvi del tutto.

 Per la femmina, il privilegio della promiscuità sessuale è una condizione conseguente ad ogni cambio di scettro che comporta delle buone opportunità,  come quella di accaparrarsi le attenzioni dell’esemplare più in forma del clan, e di farlo nel rispetto di quella legge dell’alternanza a cui son soggetti con troppa frequenza i capobranco di ogni specie; in realtà, dunque, la posizione di favore di una o più femmine durerebbe per tutta la vita e non solo per il breve periodo di una stagione che ad ogni anno solare correrebbe il rischio di concludersi violentemente e definitivamente. In sostanza, la parentesi riproduttiva nella vita di un singolo maschio (quella della dominanza e dei sollazzi) una volta espletati gli impegni più immediati (conflitti, alimentazione, malattie e quant’altro) si ridurrebbe ad un intervallo estremamente limitato nell’arco della propria esistenza. Pertanto sembra scontato che nel mondo delle bestie a  spassarsela  fino  in fondo   non  sia affatto il  maschio  adulto, bensì la femmina. In seno ad una comunità di mammiferi evoluti, come di uomini, la dominanza sarebbe dunque da intendersi come la peggiore delle fregature! Sono pronto a scommettere che le cose non vadano poi tanto bene neppure nell’habitat di specie meno nobili ... Per due o tre accoppiamenti  di un maschio, le femmine stanno in fregola per tutto il resto della vita: questo è il punto! E non c’è legge darwiniana che possa negarlo: esser ‘capo’, in sostanza, si riduce ad un gran brutto impiccio! Tornando al nocciolo della questione direi allora che i grattacapi annessi ad una tale, misera condizione, li dobbiamo essenzialmente al vezzo di voler servire contemporaneamente due padroni che si gongolano  nei guai che il povero uomo trae dai suoi romanticismi sentimentali. Ma per farlo, l’ho detto e ridetto, tali despoti debbono servirsi della donna! Entrambi i tiranni, possessori della nostra anima carnale, sembrano ben attaccati al loro scettro, irrinunciabile appendice di un’indole portata al comando ed al capriccio per il quale l' XY biologico è indotto a soddisfare contemporaneamente le brame della propria indomabile voluttà o i dettami dei più immediati istinti riproduttivi. Essi vivono un antagonismo latente e si affannano allo spasmo per prevalere sulla corruttibile volontà umana.                                                                          
Nelle figure  sopra e sotto:  ecco come il concetto si insinua nella cultura: libri illustrati per bambini, giocattoli e gioielli. 

              

 
















 

  


giovedì 30 novembre 2023

Cambiamento antropologico: una svolta di civiltà.

Transumanesimo  

"Il liberismo è una visione della società, e quindi una prospettiva antropologica, basato su un modello di essere umano  nella realtà  inesistente :  lhomo oeconomicus , che coinciderebbe con l’Homo sapiens della classificazione biologica, un essere  governato esclusivamente dalla ricerca del proprio vantaggio e capare di operare scelte razionali. Ma l’essere umano non è questo, o comunque, è molto, molto altro. "

"  Quello che l’ideologia transumanista propone è quindi un andare oltre il modello di uomo che conosciamo,  ma se facciamo riferimento ad Aristotele l’essere umano è un animale politico, uno zoòn politikòn, un essere che si distingue proprio per progettare e costruire relazioni sociali. L’esatto contrario che assecondare un modello naturale, e solo in due casi non c’è bisogno di essere animali politici: o ci si proclama dei o si diventa animali."         Il pensiero di Enzo Pennetta (Biologo e ricercatore)

dipinto  olio su tela (90x68 cm) in corso d'opera

 I l transumanesimo viene da molti intuito come prodotto del pensiero moderno, tuttavia sfuggono le sue motivazioni profonde e a maggior ragione i legami con l’ideologia nascosta. E' quindi importante illuminare queste connessioni. 

  Il liberismo è una visione della società, e quindi antropologica, che si basa su un modello di essere umano che nella realtà non esiste, l’Homo oeconomicus, il quale  coinciderebbe con l’Homo sapiens della classificazione biologica, un essere cioè, governato esclusivamente dalla ricerca del proprio vantaggio e capace di esprimere scelte razionali. Ma l’essere umano non è questo o, comunque, è molto altro! L’antropologia liberista, per attuarsi, si trova quindi nella necessità di cambiare la natura umana per adattarla all’ideologia di riferimento che punta ad istituire una società basata sulla riduzione dell’essere umano alla sola componente animale, passaggio necessario per poter istituire una sociobiologia.   

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Caricatura di Georg Wilhelm Friedrich Hegel 

     Parafrasando Hegel ‘se i fatti non si adattano alla teoria tanto peggio per i fatti’, emerge allora che dietro la promessa di realizzare un ‘superuomo’ ( Da non confondere con l'accezione usata da Friedrich  Nietzsche), termine che fa pensare ad un’elevazione verso un livello superiore, si nasconde un potenziamento di sole facoltà fisiche che fanno di lui, non propriamente un superuomo ma una super macchina sociobiologia che ha il principale scopo di eliminare o ridurre l’importanza delle componenti non materiali. Il termine transumanesimo  fu coniato da Julian Huxley (Padre di Aldous) e si riferisce all’uomo che trascende se stesso realizzando le sue potenzialità pur restando umano; si tratta però di una definizione ingannevole, infatti etimologicamente “transumano” significa che va oltre l’umano,  quindi, non più umano. 

   Il transumanesimo in senso moderno non vuol dire  aumentare le capacità fisiche dell’individuo, così come può fare la tecnologia, a meno di non intendere che l’invenzione della ruota, della lancia o dei vestiti fossero già transumanesimo; si tratta allora di modificare il corpo stesso dell’essere umano in quanto ritenuto difettoso, o incompleto. Quel che può sfuggire è il fatto che tra le caratteristiche ritenute difettose dell’essere umano  vi è la capacità di pensare e di progettare modelli sociali attraverso il linguaggio. Per il liberismo, viceversa, non esistono sistemi sociali da progettare, ma solo un modello naturale da assecondare , esattamente come avviene per le società biologiche.  Quello che l’ideologia transumanista propone è quindi un andare oltre il modello di uomo che conosciamo. Facendo invece riferimento ad Aristotele, vediamo che l’essere umano è di fatto un animale politico, uno zoòn politikòn, un essere cioè che si distingue proprio per progettare e costruire relazioni sociali, l’esatto contrario che assecondare un modello naturale, e solo in due casi non c’è bisogno di essere animali politici: o ci si proclama dei o si diventa animali. Nella società del transumanesimo in realtà avvengono entrambe le cose, una élite si autoproclama dio e il resto dell’umanità viene ridotta ad animale, tecnologico quanto si vuole, ma sempre animale.

    Un aspetto fondamentale del riduzionismo liberista è che tutto deve essere quantificabile e misurabile per mezzo di un’unità di misura unificante. La nuova unità di misura del tutto deve essere pertanto,  il denaro. Solo quando tutto avrà un prezzo la società basata sulla competizione e sulla selezione di tipo darwinista, potrà essere completata; deve così avere un prezzo la vita umana nascente e la vita da curare e salvare, tutto deve essere quantificato, anche quel che non è quantificabile, come la giustizia, il bene e il male, la bellezza.  A questo punto  ecco intervenire l’invenzione dell’Intelligenza Artificiale, i cui algoritmi forniscono risposte su tutti questi argomenti. L’AI non è altro che uno strumento per rendere computabile quello che non lo è, fornire risposte a questioni umane in base a criteri statistici e ottimizzazioni. In pratica con l’AI anche la giustizia, la bellezza, i gusti personali e le questioni etiche vengono ridotte a puro calcolo.
L’ultimo passaggio è quello in cui deliranti quanto costosi programmi di ricerca promettono l’immortalità inserendo la ‘coscienza’ entro supporti informatici, l’impresa è palesemente impossibile, ma il vero risultato è quello di far pensare che sia possibile, che quella cosa indefinibile che chiamiamo 'autocoscienza' sia trattabile con supporti materiali informatici e quindi anche essa in definitiva computabile.
   Con il transumanesimo la riduzione dell’essere umano a pura materia viene compiuto, l’ uomo viene adeguato all’antropologia liberista rendendo quest’ultima vera. La battaglia finale contro il liberismo è una battaglia per l’essere umano come esso è sempre stato finora, con il suo irrisolvibile mistero, tra il cyborg e quello che descriveva Chesterton: “Il signor Shaw non riesce a capire che ciò che è prezioso e degno d’amore ai nostri occhi è l’uomo, il vecchio bevitore di birra, creatore di fedi, combattivo, fallace, sensuale e rispettabile. E le cose fondate su questa creatura restano in perpetuo; le cose fon­date sulla fantasia del Superuomo sono morte con le civiltà morenti che sole le hanno partorite”.
   Questi i termini della questione, il primo punto da acquisire è che abbiamo di fronte un’ideologia disumana e disumanizzante, quella descritta da Pasolini in Salò e le 120 giornate di Sodoma, che ha come componente non casuale e non accessoria, la violenza e l’abbrutimento.
È un’ideologia e come tale va affrontata, il che significa contrapporre un’altra visione ideologica che deve essere forte, supportata scientificamente come l’altra lo è in modo fallace, e condivisibile da tutte le culture e tradizioni.

continua in un prossimo post dal titoloIl re della Foresta, figura ideologica costruita a tavolino, o rappresentazione  di un modello d'ordine naturale? 


venerdì 20 ottobre 2023

Aforisma 2

 

" La Ragione ha i suoi validi motivi che la ragion di stato non ha motivo di (ri)conoscere

tratto da 'Anima(L) sindacalista'  

 

George Grosz: I PILASTRI DELLA SOCIETÁ, 1926


sabato 23 settembre 2023

"E i capi fecero l'offerta di dedicazione all'altare. . . " , Numeri 7: 10-12

 

    Offerte all'altare del Signore, o pretesto per registrare misure astronomiche ?


   I due post caratterizzati da un inconsueto taglio sperimentale nella formula di work in progress, ci hanno permesso di mettere in chiaro alcuni aspetti vincolanti rispetto alle capacità e conoscenze astronomiche del popolo ebraico. In virtù di questo antico sapere, cioè di quanto gli antichi eruditi erano in grado di conoscere sul cosmo,  abbiamo cercato di fornire un senso preciso ad alcune cifre, escludendo alcuni significati e avallandone altri, a seconda dell'epoca e di quanto, in relazione al periodo, gli autori dei testi avrebbero potuto sapere e saputo tramandare.  Nel nostro lavoro ci siamo più volte soffermati sulla valenza temporale di specifiche cifre, talvolta rinvenute direttamente fra le righe del testo, talvolta celate da costrutti favolistici, da formule in apparenza di carattere letterario, anziché scientifico. Nelle nostre discussioni, fra congetture poco meditate ed errori palesi, sono tuttavia emersi alcuni elementi di indubbio interesse, subordinati a loro volta a scoperte relative a specifiche fasi storiche, come - ad esempio - la scoperta dell'esatta misura della circonferenza terrestre, avvenuta ufficialmente circa un secolo e mezzo prima della nascita di Cristo, grazie agli studi di Eratostene di Cirene, in virtù dei quali abbiamo potuto datare ed attribuire un tempo, se pur con un margine di approssimazione,  a determinati scritti contenuti nella Bibbia, dove i numeri menzionati potevano essere ricondotti  a rilevazioni che non si sarebbero potute eseguire senza la padronanza di determinate conoscenze.  E' possibile che, successivamente al calcolo della circonferenza terrestre, pervenutaci dal mondo greco , gli astronomi israeliti abbiano raggiunto di proprio conto, ulteriori conoscenze su dimensioni e moto di alcuni corpi del nostro sistema solare, o almeno della porzione a noi più prossima. Sulla traccia di questa possibilità abbiamo portato avanti una serie di indagini. 

 Proveremo così a spiegare come, partendo dalla misura della circonferenza terrestre (257142 stadi alessandrini), si possano calcolare con un ridotto margine d'errore, le dimensioni fisiche della luna, la lunghezza della sua orbita, benché ritenuta circolare e, di conseguenza, la sua distanza dal globo terrestre (che è il raggio di tale orbita circolare). A questo punto le nostre idee sulle competenze degli antichi astronomi israeliti si sono scontrate con l'opinione secca del noto matematico e astrofisico, Piergiorgio Odifreddi , il quale - come ben sappiamo -  sostiene l'incapacità di questi antichi osservatori del cielo, la loro assoluta incompetenza in fatto di matematica e astronomia. Eppure, nonostante questo duro monito alla diffidenza, determinate cifre non possono essere negate a priori, perché a prescindere da chi ce le ha messe, esse sono sempre state nello stesso luogo, cioè ben mescolate fra le parole utilizzate nei testi sacri del popolo ebraico. Nel nostro lavoro abbiamo dimostrato come, pur senza aver alcuna cognizione del modello planetario copernicano, di nozioni trigonometriche e perfino ignorando il famoso pi-greco, certe misure si potessero comunque calcolare con precisione sorprendente.

   Le dimensioni di alcuni corpi del sistema solare, la loro velocità e le traiettorie delle loro orbite, specie per quanto riguarda la luna, sono dunque state trascritte apparentemente alla rinfusa;  le nostre indagini  ci consentiranno così di fornire alcune nette risposte sulla loro presenza nei testi biblici  comprovando che in realtà, possono essere state ottenute con cognizione di causa. Quel che crediamo di poter chiarire una volta per tutte, è la possibilità che attraverso semplici ragionamenti, l'applicazione di elementari regole geometriche e corrette osservazioni,  gli antichi osservatori del cielo avessero potuto concepire forme e volumi di una piccola porzione del cosmo che li circondava, per poi sigillarle entro uno scrigno fatto di parole e narrazioni, secondo i canoni dell'arcaico codice del mito. Cominceremo questo nostro lavoro andando ad indagare determinate procedure che avrebbero potuto permettere agli astronomi del passato, l'esecuzione di calcoli precisi rispetto la luna e la sua orbita intorno alla terra e rispetto la sua velocità di spostamento nel cielo. In pratica, vorremmo sostenere con la dovuta prudenza, che essi l'avrebbero potuto fare, non che l'abbiano fatto! rimandando l'eventuale possibilità all'individuazione dei riscontri numerici veri e propri, ovvero, ai numeri nascosti (nella Bibbia). Sostenere, ad esempio, che gli antichi astronomi giudei conoscessero la velocità di sole e luna, rimane un'idea confinata nel periplo del probabile, non della certezza,  ma che essi stimassero la velocità di questi corpi celesti, nella misura  di 10.800° ogni 30 giorni e 10.080° ogni trenta giorni, è una possibilità avallata dal ritrovamento di queste cifre nei loro sacri testi, e quindi fra le pagine di una letteratura nata e raffinata nei secoli proprio con tale scopo.

      In merito a quanto accennato precedentemente, un caso piuttosto rappresentativo di riscontro numerico che rimanda alla presenza della misura di moto del sole e della luna, riteniamo di averlo individuato nel cap 7 del Libro dei Numeri. La narrazione presenta lunghe file di cifre sotto forma di elenchi e liste che vengono ripetuti molte volte, ciascuna per ogni capotribù del popolo d'Israele. Esse  enumerano diligentemente quantità di  bestiame, arredi sacri e suppellettili come piatti metallici, vasi e coppe, raccolti per offrire le necessarie oblazioni all'altare del dio unico. Stiamo parlando di un corpo di testi al quale abbiamo dedicato parecchio tempo nel corso delle nostre indagini, analizzando nel dettaglio i censimenti del popolo d'Israele. 

" I capi fecero l'offerta per la dedicazione dell'altare , nel giorno in cui fu consacrato essi offrirono i loro doni..." Num 7: 10-12.

Il racconto che comprende in tutto una novantina di versetti, suscita curiosità, specialmente per la meticolosa attenzione con cui viene annotata l'offerta da parte dei capitribù, di numerosi capi di bestiame, coppe, piatti e vasellame. Dopo essermi immerso con zelo nella pagine di questi fitti rapporti, mi è capitato di notare come determinate cifre, in qualità di multipli e sottomultipli, riconducessero alla misura di distanze fisiche che avrebbero avuto un senso solo se espresse in chilometri. Tuttavia, per quei tempi, il nostro sistema metrico, sarebbe stato ampiamente in anticipo, allora infatti si valutavano le distanze in stadi, o cubiti. Un numero frequente in quei passi, il 2520, un volta quadruplicato ci presenta il risultato 10.080, quantità simile al 10800 (Chilometri percorsi dalla terra sulla sua orbita in 6 minuti primi), ma non si tratta di 'svista', non crediamo alla possibilità di errore nella trascrizione. Che significa allora quel numero?

Fra le tante sommatorie menzionate nel Libro dei Numeri, i 2520 sicli raccolti con l'oblazione dei 12 piatti d'argento, dei 12 vasi (sempre d'argento) e delle 12 coppe d'oro (1560 sicli + 840 sicli + 120 sicli), richiamano i 252 capi di bestiame. Le quantità sembrano collegate, se non altro da un evidente rapporto di 10 a 1. Come già detto, il multiplo principale di riferimento è il 10080 (quattro volte 2520), però prima di andare avanti vorrei ribadire la necessità di metterci, come osservatori del XX° secolo, nei panni degli antichi scrutatori del cielo, e di far riferimento, come probabilmente fecero loro, alla struttura del cosmo conosciuto, che ritroviamo in Cicerone     (106 a.C.):

" . . . Ora erano quelle stelle, quali mai vedemmo da questa terra, e di tale grandezza quale mai immaginammo, e fra esse la più piccola era quella che è l'ultima vista dal cielo, e la più vicina alla terra e  splendeva di luce non sua. Ma le sfere delle stelle di certo superavano la grandezza della terra. Già la stessa terra mi parve così piccola da non sapermi più appagare del nostro impero, che ne tocca appena un punto. . . Tutto il sistema si presenta composto di nove circoli o, piuttosto, sfere, delle quali l'ultima è celeste , l'ultima che abbraccia tutte le altre, cioè lo stesso Sommo Dio che tiene insieme e racchiude le altre; in essa sono fissi quegli eterni corpi delle stelle che ne sono messe in movimento; ad essa sono soggetti i sette globi che si muovono in senso contrario a quello del cielo delle stelle fisse. Fra essi quella che in terra chiamano Saturno occupa il II° cielo*. Quindi [viene] quella splendida stella che si chiama Giove [IIi° cielo ] , è favorevole e salutare al genere umano;   Poi quella stella che chiamate Marte [IV° cielo], è rosseggiante e terribile alla terra; poi sotto di essa il Sole [V° cielo], guida, capo e moderatore delle altre stelle, occupa press' a poco la parte di mezzo. Esso che è anima e principio regolatore del mondo, con tanta grandezza da illuminare e riempire tutto col suo splendore. Lo seguono come satelliti l'orbita di Venere [VI° cielo] e quella di Mercurio [VII° cielo], e nell'ultimo cerchio si gira la luna [VIII° cielo] illuminata dai raggi del sole. Sotto di essa poi già non vi è nulla se non mortale e caduco, salvo le anime date per dono degli dèi  al genre umano . Sopra la luna tutto è eterno, Infatti la terra che è nel mezzo occupa il nono posto [IX° posto] non si muove ed è l'ultima ed in essa si traggono tutti i pesi in forza della naturale gravità. "

                                                           Il sogno di Scipione - Marco Tullio Cicerone 

Cielo o 'sfera''

                                                     

                                                                                             Dimensioni della luna .                                 

 Partiremo dunque da questo schema figurato, per dimostrare che dalla sola misura della circonferenza terrestre (Ufficialmente introdotta da Eratostene di Cirene), si può giungere a calcolare con un ottima approssimazione le dimensioni della luna e della sua orbita attorno alla terra. Per comprendere bene quanto potesse essere intuito e quanto misurato dagli antichi osservatori del cielo, abbiamo dovuto immaginare la struttura di un cosmo regolare, secondo quanto potesse essere percepito attraverso la sola vista, dacché il telescopio fosse ancora da inventare. A parte gli occhi dunque, essi non disponevano di altro, e men che meno di tecnologia ottica, pertanto dobbiamo pensare che fecero principiare ogni stima dello spazio dalle nozioni goniometriche. Il sole allora, si sarebbe spostato sulla superficie della terra irraggiandola di luce e calore nel tempo di 24 ore. La luna, invece, per quel che potevano vedere, si muoveva più lentamente. Nell'arco di un mese, allora, il sole avrebbe percorso 10.800° gradi, mentre la luna, soltanto 10.080° gradi poiché, nello stesso tempo impiegato dal sole essa avrebbe percorso solo 28 giri (una lunazione completa). Questo scarto spaziale avrebbe consentito perciò di attribuire ai due corpi celesti due distinte velocità, nella rispettiva misura di 15°/h (10800° : 30x24; e 14° / h (10080° : 30x24). Se il ragionamento fosse stato davvero quello da noi ipotizzato, una volta conosciuta la lunghezza della circonferenza terrestre ne avrebbero tratto le seguenti stime: 15° (360:15= 24) e quindi  257142 : 24 =  10.714,25 st; 14° (360: 14= 25,7) e quindi 257142 : 25,7 = 10.005,5 st.                                                                                                                                                                                            Già da queste prime osservazioni possiamo notare come 10080 sia multiplo di 2520 (Num 7) e che, pertanto, 2520 possa essere l'ampiezza goniometrica dello spazio percorso dalla luna in un settimana (quarta parte di una lunazione completa di 28 giorni).    

Avendo a disposizione la misura della circonferenza terrestre, attraverso un procedimento basato sulla osservazione di un particolare tipo di eclissi solare (anulare) e lunare, riteniamo sia stato possibile, già parecchi secoli fa, formulare un calcolo abbastanza preciso per ottenere le dimensioni della luna e della sua  orbita intorno alla terra che per gli antichi astronomi era la circonferenza dell'ottava sfera

                                        Osservazione e valutazione comparata dell'eclissi lunare

L'eclissi di luna si presenta spesso in svariati modi sebbene in genere, il profilo dell'ombra terrestre appare nitido sulla superficie diafana della luna. 

                          
Quel che si vede chiaramente è la maggior dimensione del disco d'ombra proiettato sulla luna. Con un po' di buona volontà non sarà difficile riprodurre i due cerchi su un foglio. Oggi, grazie alla qualità delle  fotografie analogiche e digitali, quest'operazione risulta alquanto facile, ma anticamente, per garantire una certa fedeltà dei rapporti si sarebbe reso necessario l'utilizzo di un foglio traslucido o un papiro particolarmente sottile (in mancanza di un vetro vero e proprio) su cui riprodurre in proporzione l' immagine suggestiva stagliata in un cielo notturno privo di  nubi. Non so se gli antichi osservatori del cielo abbiano potuto eseguire questa operazione con facilità, ma di sicuro a prescindere dalla loro abilità, anch'essi debbono aver notato l'evidenze discrepanza fra i diametri dei due corpi celesti, cioè il maggior diametro, fino al doppio, dell'ombra terrestre in rapporto a quello della luna (che era circa la metà.) Altrettanto  certamente avevano notato come, certe volte, l'ombra della terra appariva più grande, altre volte più piccola, fatto noto ai nostri giorni grazie alla conoscenza della forma ellittica dell'orbita lunare, ma non altrettanto scontato in passato, visto che le orbite erano immaginate circolari. Facciamo finta, perciò, che essi abbiano stimato il diametro dell'ombra terrestre , doppio di quello del disco lunare. Se quest'ultimo era considerato circa 0,5° gradi, l'ombra della terra sarebbe stata considerata di ampiezza pari a un grado. Conoscendo quindi la lunghezza del diametro terrestre (circa un terzo della sua circonferenza 257142: 3 = 82000 stadi) avrebbero potuto calcolare che, alla distanza terra-luna, gli 82000 stadi reali avrebbero proiettato la loro dimensione su un grado esatto (dimensione angolare dell'ombra terrestre), e che quindi ogni primo di grado (un sessantesimo) corrispondeva a circa 1366,6 stadi (82000:60).

                   Osservazione e valutazione dell'ombra lunare durante un'eclissi anulare di sole.      

Nell'osservazione di un' eclissi solare di tipo anulare è la luna invece, ad essere proiettata sulla superficie terrestre, per un tempo massimo di 12 minuti (Wikipedia). Poiché la distanza terra-luna, nelle convinzioni più radicate degli antichi osservatori del cielo, era sempre la stessa sia nelle eclissi solari che in quelle lunari, essi avrebbero dedotto che, anche stavolta, ogni 'stadio' (unità di misura corrente)

 sarebbe stato proiettato in un'ombra con lo stesso rapporto dimensionale, cosicché ad ogni primo d'arco sarebbe corrisposta una lunghezza di 1366,6 stadi. Secondo questo ragionamento la velocità di spostamento della luna (primi d'arco/minuto) avrebbe fornito il fattore da moltiplicare per 1366,6 in modo da ottenere il diametro reale del corpo proiettato (in questo caso la luna). Tuttavia occorreva ancora soffermarsi sulla velocità di movimento del bianco satellite, o meglio sulla velocità di spostamento della sua ombra, a sua volta determinata anche dal moto del sole che dietro di essa si spostava come un faretto illuminante. Il calcolo quindi della velocità sarebbe stato determinato dalla risultante delle due velocità combinate, quella del sole, di 15° / h e quella della luna 14° / h. Questa risultante, rispetto ai due corpi che viaggiavano nello stesso senso, sarebbe stato quindi di 1° grado orario. La misura ottenuta, dopo aver stimato il tempo di attraversamento della luna davanti al disco solare, sarebbe risultato, allora come oggi, di 12 minuti primi, cosicché considerando un primo al minuto di velocità, cioè 1366,6 x 12, il diametro reale della luna avrebbe avuto dimensione 16400 stadi. A ben vedere siamo nei margini di quasi 3000 chilometri, quindi un valore abbastanza preciso, nonostante tutto. 

Questi calcoli approssimativi, possono essere però migliorati. Dalle fotografie moderne -  attraverso il sistema dell'immagine decalcata su carta trasparente -  non è stato difficile riprodurre un disegno in scala dell'eclisse di luna piena. 

per poi, con un compasso tracciare la circonferenza completa dell'ombra terrestre. Allo stesso modo, proprio come abbiamo fatto noi,  la stessa immagine sarebbe potuta esser stata riprodotta manualmente anche dagli astronomi di duemila anni fa. Ed allora, è possibile che anch'essi siano potuti pervenire alle nostre conclusioni. Dal disegnino grezzo decalcato dal monitor di un personal computer, si vede chiaramente che quell'ombra avrebbe avuto un diametro leggermente minore del doppio di quello lunare, che nella nostra immagine abbiamo cerchiato col colore arancione. Abbiamo così  calcolato che l'ombra terrestre fosse stata di un decimo inferiore del doppio diametro lunare, a esser precisi 6' primi d'arco, per cui essa avrebbe coperto un'ampiezza di 54' primi. Riprendiamo i nostri calcoli dalla lunghezza del diametro terrestre, evitando di ricorrere al pi-greco e quindi calcolandolo come un terzo secco della circonferenza terrestre:
257142:3 = 85714 stadi. 'Spalmiamo' adesso questo valore sui 54' primi dell'ombra proiettata, otterremo 85714: 54 =  1587,29 stadi per ogni primo d'arco (cioè per ogni sessantesimo di grado) e quindi, moltiplicando per la durata dell'eclissi (12 minuti) otterremo 19047 stadi, che possiamo considerare la lunghezza reale del diametro lunare (stimando ogni stadio 180 metri, in chilometri farebbe esattamente 3428 ( Mica male come approssimazione!).                                                                                 Facciamo conto che gli antichi astronomi giudaici avessero voluto successivamente calcolare le dimensioni dell'orbita lunare dalle quali poter poi pervenire facilmente alla distanza terra-luna. Sapendo che il diametro della luna era 0,5° dell'arco celeste, per ottenere la lunghezza della sua orbita circolare avrebbero certamente moltiplicato quel numero per 720. 
19047 stadi x 720 = 13.713.840 stadi. Applicando la formula geometrica col tre al posto del pi-greco otterremo così un valore di diametro dell'orbita lunare di 4.571.280 stadi, da cui ne consegue un raggio (Quindi la distanza terra-luna) di 2.285.640 stadi alessandrini.  Il risultato non ci è sembrato poi così male, in rapporto ai dati reali (Vedere orbita lunare su Wikipedia). 



 

giovedì 14 settembre 2023

Adrenalina

 Udì uno sparo. Era in piena vista. D'istinto si buttò in avanti. Una frazione di secondo, poi...più nulla. Non un suono, niente negli occhi, buio nel cervello. Sul traguardo il cronometro segnò  9" 86'

Piergiorgio Paterlini - Fisica quantistica della vita quotidiana.

lunedì 4 settembre 2023

Il tesoro offerto per la ricostruzione del Tempio

          


    
A costo di spostare su un versante romantico la china delle nostre analisi, ci piace pensare che, forse, i sacerdoti di Israele fantasticarono un giorno di portare in tributo al loro dio, nientemeno che la luna, quando nel sacro Libro di Esdra, inserirono cifre e misure riguardanti il diafano satellite terrestre nel suo ciclico movimento celeste. Non deve stupire , allora, se mascherati da sicli del tempio, nel testo siano menzionati numeri perfettamente compatibili con la velocità della luna. 

   Nel Libro dei Numeri, oltre i famosi censimenti del popolo israelita, abbiamo visto che le offerte dei capi delle dodici tribù hanno rivelato alcune cifre, curiosamente molto simili alle  distanze (espresse in gradi d'arco) percorse dal sole e dalla luna  nelle rispettive orbite 'circolari', così come prevedeva il rigoroso modello planetario teorizzato dagli astronomi del tempo. Nonostante la fallibilità di quei concetti, l'ignoranza del pi- greco ed altre ingenuità di quei solerti osservatori del cielo, le misure delle dimensioni lunari e della sua orbita intorno alla terra, erano state clamorosamente azzeccate, o meglio sarebbero state clamorosamente azzeccate, nel senso che, gli antichi astronomi israeliti  avrebbero avuto tutti gli strumenti per farlo. Non voglio parlare a  sproposito di tecnologia aliena, ma alludo più propriamente a poche conoscenze di carattere matematico e geometrico; le 'poche' e indispensabili a svolgere semplici calcoli, così come cercheremo di dimostrare da qui in avanti.                                                                        Nel 7° capitolo del Libro dei Numeri sono riportate le offerte di ciascun principe israelita destinate all'altare dei dio unico, alcune in metalli preziosi sotto forma di argenteria e vasellame, altre corrisposte in capi di bestiame; di questi, una parte era stata destinata agli olocausti, una al sacrificio espiatorio ed un'altra era stata raccolta per 'sacrificio di comunione'. Si tratta di dodici distinte offerte la cui somma finale, una volta convertita in 'sicli del tempio' , ha dato come risultato il (misterioso) numero 2520. Così nel testo:  2400 sicli d'argento riguardavano  la somma dei 12 piatti e dei 12 vasi  d'argento, mentre i 120 sicli d'oro riguardavano le 12 coppe d'oro consegnati dai capi delle 12 tribù d'Israele.

              1560 sicli (piatti d'argento) + 840 sicli (vasi d'argento) + 120 sicli d'oro (coppe d'oro)

     Per quanto concerne la sommatoria di tutti i capi di bestiame portati in tributo di devozione, abbiamo contato  la bellezza di 252 capi  fra giovenchi, arieti , agnelli e capri. Prendendo in esame queste cifre, e rapportate alla misura di un qualche fenomeno astronomico, ci è parso che, 2.520° gradi (Nel testo si parlava di sicli) corrispondevano al percorso della luna sulla circonferenza terrestre (considerando quest'ultima come base di calcolo), ai gradi cioè che avrebbe percorso in una settimana. In un ciclo completo la luna avrebbe percorso 10080° gradi.

                 La luna,  corpo celeste di grande importanza per gli astronomi israeliti

     Come abbiamo visto nel precedente paragrafo, gli astronomi israeliti tenevano in grande considerazione il satellite terrestre, sempre che davvero la cifra riportata nel Libro dei Numeri, si riferisse al suo movimento di rivoluzione attorno alla terra. Secondo noi, anche nel Libro di Esdra, i redattori si sono dilungati in descrizioni assai meticolose per definire alcune misure riferite al moto della luna. Ciò non deve stupire, ancor oggi il calendario ebraico, tiene conto dei tempi scanditi da questo corpo celeste;  così troviamo scritto in un celebre Salmo (104): ' . . . e  [Il Signore] ha fatto la luna per stabilire le stagioni.' 

                                        Le offerte degli israeliti per la ricostruzione del Tempio

In Esdra 8: 26-29 leggiamo i seguenti versetti: … Pesai dunque il tutto e consegnai nelle loro mani : 

650 talenti d’argento = sicli 1.950.000

               vasellame( o arredi) per 100 talenti d’argento = sicli 300.000

              100 talenti d’oro = sicli 300.000

              20 coppe d’oro da mille dàrici = sicli 16.000

              2 vasi di bronzo pregiati come l’oro 

La somma dei sicli della copiosa raccolta stabilita  per la costruzione del nuovo tempio di Gerusalemme (Correva l'anno della deportazione in Babilonia, e quindi il periodo successivo alla prima distruzione del Tempio, ad opera di Nabuccodonosor) contava la bellezza di  2.566.000 sicli suddivisi in 2250000 sicli d'argento e 316000 sicli d'oro. Una volta addizionati altri 6000 sicli d'oro (Il peso dei due vasi di bronzo 'dello stesso valore dell'oro') si poteva stimare un totale di 2.572.000 sicli. A nostro avviso è  importante tener conto della suddivisione dei sicli a seconda del loro valore e del metallo prezioso; di sicuro in molti si saranno posti la stessa domanda: perché i redattori del testo hanno specificato una tal scomposizione?               Per venire a capo di questo giusto interrogativo, bisogna pensare che questi sapienti dediti all'osservazione del cielo, concepissero un sistema in cui la terra gravitava, immobile, al centro, e intorno ad essa ruotavano i cosiddetti cieli ( o 'sfere'), il primo dei quali era occupato dalla luna, poi venivano Venere e Mercurio  e quindi, il sole con la sua potente energia calorifica e luminosa.   

                          

  Abbiamo visto come essi valutassero le loro velocità in relazione alla superficie terrestre e all'irraggiamento esercitato sulla stessa dai due corpi celesti, in special modo dal più luminoso: il sole sfrecciava a 15° gradi  orari e la luna a 14°. Da queste stime di moto avrebbero poi calcolato, con un'approssimazione incredibile, le dimensioni della stessa luna, quelle della sua orbita e , come abbiamo già spiegato in precedenza, anche la sua distanza dalla terra. Ed è proprio quest'ultimo dato, peraltro assai preciso, che ci ha convinto a proseguire il precedente ragionamento. Insomma, quei due milioni e duecentocinquantamila sicli d'argento, sono sembrati troppo netti , troppo collimanti col dato reale, per esser considerati diversamente da ciò che assomigliavano, ovvero, all'effettiva distanza della luna dalla terra (espressa in stadi , naturalmente). Anche cambiando prospettiva e prendendo in considerazione l'aspetto simbolico delle scritture, non possiamo ignorare il significato del tributo devozionale, che in pratica rappresentava una sorta di espediente per ricostituire in terra, le fattezze dell'entità spirituale suprema. Il Tempio allora era come la dimora dello stesso dio e le offerte non sarebbero state che il necessario ponte materiale per ricongiungersi ad esso, allo Spirito dunque. Ma come umani, non si poteva che ricorrere alla materia, e quale simbolo materiale è più esplicito della ricchezza? Ottenuta magari per privazione, privazione materiale uguale tributo sacro. L'offerta di metalli preziosi per la ricostruzione del Tempio di Salomone era quindi una sorta di ricorso al sacrificio: sacrificare un bene terreno significava allora, come l'etimologia del verbo suggerisce,  'farsi sacri'. E farlo attraverso una privazione era l'unico modo per farlo degnamente, era una modalità perfettamente mistica per accorciare le 'distanze' fra il corpo materiale e lo Spirito. Il passo dunque sembra composto con una certa cognizione di causa da parte dei redattori del testo. 

                                        Quelle strane cifre che sembravano chilometri

   Non nascondo che, a prima vista, non appena verificata l'entità esatta del tesoro chiesto in tributo ai fedeli per la ricostruzione del Tempio di Salomone (Andato distrutto dai babilonesi), sono rimasto sedotto dall'idea che tutti quei sicli sommati fra loro, con la sola incognita dei due vasi di bronzo, riportassero pari pari, una misura a noi, uomini del terzo millennio, assai nota, benché espressa in chilometri: la distanza percorsa in un solo giorno dalla terra nella sua orbita intorno al sole. E già basterebbe questo semplice dato ad aprire una serie di suggestivi scenari riguardo le competenze astronomiche del popolo d'Israele. Quanto ne potevano sapere di dimensioni planetarie? Quanto sapevano sulla terra, sulla luna, o perfino sul sole? Questo numero avrebbe svelato molti segreti, peccato però che esso riportasse una misura in chilometri. A quei tempi, tuttavia, il sistema metrico non era ancora stato adottato e, men che meno, inventato e quindi, gli antichi astronomi ebrei non avrebbero mai potuto utilizzare i chilometri. Difatti, solo il mondo greco ci ha trasmesso attraverso un'ampia documentazione scritta, l'ipotesi, assai avanzata, dell'eliocentrismo, resa poi estremamente attendibile da Copernico e, tesi scientifica a tutti gli effetti, da Galileo Galilei. Ma a quei tempi, circa cinquecento anni prima di Cristo, non si ragionava secondo logiche eliocentriche, bensì   geocentriche. Non ci sono dubbi in proposito e, casomai vene fossero stati, li avremmo dissipati rapidamente dopo aver intrapreso le nostre indagini per dare un senso astronomico a quei particolari numeri menzionati nel Libro di Esdra. I nostri lavori hanno definitivamente mostrato che certe misure sarebbero potute essere state calcolate sulla base del modello planetario geocentrico, nel quale la luna rispettava i suoi rapporti spaziali con i pianeti più prossimi del sistema solare e quindi con la terra. Nel modello planetario tolemaico, come in quello copernicano, la luna occupava inequivocabilmente il medesimo posto e quindi avrebbe disegnato in cielo una traiettoria circolare, corretta poi il ellisse ai nostri giorni, o forse anche prima. Come ellisse, l'orbita lunare, appare peraltro


 assai sfumata, nel senso che non differisce poi tanto da un cerchio; è giusto pensare che possa essere stato questo il motivo per cui i calcoli e le rilevazioni matematiche sulle misure del satellite terrestre portati avanti già duemila anni fa, sarebbero potuti risultare  molto precisi. Lo sono sicuramente stati, se riconosciamo le cifre individuate come misure espresse in stadi, piuttosto che come banale raccolta di denari, ma soprattutto se riconoscessimo che certi calcoli, gli antichi studiosi israeliti li avrebbero potuti svolgere senza difficoltà,  proprio come abbiamo fatto noi.  Non sapremo mai se l'hanno fatto! Non sapremo mai se seguirono certe procedure, ma il nostro lavoro credo abbia messo in chiaro che essi l'avrebbero certamente potuto fare con quel poco che avevano a disposizione e senza l'utilizzo di alcuna tecnologia ottica. Insisto un po' sulla questione, a rischio di diventare pedante; tuttavia, la domanda che dovremmo porci è la seguente: esiste qualche prova che gli antichi astronomi ebrei fossero riusciti a calcolare le dimensioni della luna con un buon margine di approssimazione? Quel che di sicuro abbiamo tratto dai testi  è una quantità che, se convertita in stadi alessandrini, avrebbe rivelato la lunghezza della distanza della luna dalla terra. Una volta calcolata questa misura, è certo che non avrebbero avuto grandi problemi a valutare correttamente la lunghezza del diametro lunare e perciò, la lunghezza della stessa orbita del satellite intorno al suo pianeta, la terra, per l'appunto. 

Quando, dopo aver eseguito la somma dei sicli, ci siamo trovati davanti la cifra 2.572.000, e di questi,  ben 2.250.000 erano dati dalle offerte in argento, abbiamo intuitivamente pensato alla possibilità che il testo potesse nascondere la misura di una qualche distanza astronomica. Non è stato poi difficile arrivare a capire che, nell' unità di misura corrente, questa misura si avvicinasse notevolmente alla distanza della luna dalla superficie del nostro pianeta. Considerando uno stadio alessandrino pari a180 metri, la discrepanza sarebbe stata di un centinaio di stadi ( poco meno di 20.000 Km) ma, considerando che gli esperti non convergono su un'unica classificazione di questo valore, resta aperta l'ipotesi che l'approssimazione fosse addirittura minore;  lo stadio alessandrino infatti è oggi stimato entro un margine compreso fra 150 e 180 metri (Fonte Wikipedia). Secondo il criterio del 'supponiamo che', dovremmo necessariamente pensare che, se davvero gli antichi avessero , inteso indicare con quel numero la lontananza della luna dalla terra, essi sarebbero riusciti a scoprire e calcolare anche l'orbita della luna, di cui quel numero rappresentava il raggio. E dunque avrebbero avuto tutti gli elementi per giungere alle dimensioni fisiche del piccolo satellite. Se dunque nella Bibbia dovesse trovarsi menzionato il numero 19000, nulla ci vieta di credere che riguardi proprio il diametro lunare. Non v'è dubbio, allora, che se gli antichi osservatori del cielo avessero individuato quella cifra come distanza della luna dalla terra, significa che  in precedenza avevano calcolato e registrato tutte le altre misure che da quel numero si possono ricavare. Ad esempio, conoscendo l'orbita si può giungere alla dimensione del diametro lunare con una semplice divisione, poiché essi sapevano che fosse contenuto in essa 720 volte. Pensiamo di aver dimostrato nelle precedenti pagine, che questi dati astronomici fossero insomma perfettamente alla portata di quelle culture.  

                            I cento talenti, i darici d'oro e i due preziosi vasi 

Se l'ingente quantità d'argento fosse stato un espediente letterario per distinguere la distanza della luna dal nostro pianeta, potremmo a ragione ritenere che, con la rimanente quantità di talenti (i darici e i vasi di bronzo) i redattori del Libro di Esdra intendessero fornire anche un'ulteriore  misura astronomica, rispetto al sole, stavolta, e alla sua distanza dalla terra. Non avendo a disposizione il peso dell'oro per la citazione di quei due vasi di bronzo 'pregiati come l'oro', ed essendo così costretti a dover capire da soli l'esatta caratura e il valore dei due manufatti sacri, abbiamo pensato di dover lasciare  aperto il campo delle possibilità alle seguenti opzioni:

- Se  i due vasi fossero di grosso volume e peso, considerando ciascuno di essi del peso di un talento,  la sommatoria finale avrebbe fornito la cifra 2.572.000 sicli
-  Se i vasi avessero avuto il valore delle coppe d'oro di 16.000 sicli , la somma finale avrebbe fornito la cifra di 2.582.000 sicli.
- Se i due vasi avessero avuto il valore di tutto l'oro precedentemente raccolto nelle offerte, eventualità assai improbabile, la somma finale sarebbe stata di  2.882.000 sicli. 
- Se le 20 coppe d'oro avessero avuto valore di 1000 darici ciascuna, per un totale parziale di  320.000 sicli  più 6000 sicli dei vasi la somma finale sarebbe stata di 2.876.000

  A questo punto, avremmo avuto a disposizione diverse quantità indicanti la distanza terra-sole. Per semplicità prenderemo in esame la prima: 2.572.000. Se questa distanza fosse dunque il raggio di uno solo dei 360 giro che il sole avrebbe fatto intorno alla terra, l'orbita solare, in virtù dello stesso procedimento applicato per ottenere il diametro della luna, avrebbe permesso di calcolare le dimensioni della massa solare. Su questi risultati, bisogna dire che il modello geocentrico, avrebbe portato questi eruditi ben lontano dalle reali dimensioni del sole. E diciamo pure che i loro ragionamenti avrebbero retto fino ai primi studi di Aristarco, il quale, sbagliando pure lui, aveva ipotizzato col famoso schema geometrico della luna in quadratura, una distanza del sole dalla terra venti volte superiore a quella della luna (anziché 390 volte). Anche i greci dunque, avevano preso un colossale abbaglio, quando si è trattato di misurare le dimensioni della grande stella del nostro sistema planetario. Tuttavia, tornando ai nostri piccoli calcoli, dovremmo concludere dicendo che il procedimento basato sul criterio geocentrico, avrebbe permesso di calcolare un'altra importante misura, quella del percorso annuo del sole. Una volta sommate fra loro le 360 rotazioni del sole attorno alla terra, difatti, si può ottenere una lunghezza enorme, ma incredibilmente vicina  a quella dell'orbita terrestre intorno al sole, che solo attraverso il modello eliocentrico si sarebbe potuta intuire e valutare correttamente. Questo fatto, cioè se gli antichi astronomi avessero calcolato con successo l'immensa lunghezza  del percorso del sole in un anno, e l'avessero riportata fedelmente nelle loro narrazioni, qualcuno al giorno d'oggi, ritrovandola la potrebbe scambiare per autentica. Ma se davvero  qualcuno dovesse imbattersi in  questa cifra fra le righe del teso biblico, non si faccia illusioni: non si tratta di reale conoscenza dell'orbita terrestre, non significa pertanto che gli antichi siano stati tanto avanti nello studio del cosmo, e men che meno che qualche civiltà aliena avesse suggerito loro simili nozioni astronomiche; in una simile quanto remota eventualità, si tratterebbe semplicemente di un grossolano equivoco.

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