mercoledì 19 gennaio 2022

Il capro rompe le corna al montone, la visione che riguarda il ‘tempo della fine’ (Ottava parte)

 La prima parte qui

L’ottavo capitolo  tratta  la visione (onirica?) del montone e del capro. Il taglio dello scritto denota fin dalle prime battute  una forte enigmaticità. Le descrizioni geografiche iniziali paiono esser scritte apposta per fornire le coordinate di un punto di vista preciso, per far sì che il lettore - rispetto alla posizione del mare e della terra - possa segnare i punti cardinali celesti e comprendere così il senso e la direzione dello spostamento delle due bestie, intese ovviamente come costellazioni in transito nel cielo (Figura 2). Vedremo infatti che molte  parole del testo inducono a considerare il grandioso scenario che prepara e descrive allegoricamente la venuta degli ‘ultimi tempi’ (Dan 8:17-18. ‘Figlio dell’uomo comprendi bene, questa visione riguarda il tempo della fine’. Il primo animale, il montone, stava dunque di fronte al fiume o, ‘nei pressi di un fiume’. Delle sue due corna, quella spuntata  dopo era più lunga dell’altra anziché più corta. Cominceremo l’analisi di questi primi, impenetrabili versi, con la ricerca dell’allegoria nascosta. E’ perciò direttamente nel cielo che andremo a cercare eventuali relazioni, nella speranza di gettare le basi per la comprensione dei contenuti numerici che incontreremo più avanti, con le ‘duemila-trecentosere e mattine’, o la famosa ‘profezia’ delle Settanta settimane.

    Rispetto alle duemilatrecento ‘sere e mattine’, e soprattutto rispetto al suo senso allegorico, abbiamo avanzato soluzioni che sottoponiamo al vaglio dei lettori. Non sappiamo dunque cosa aggiungere alla spiegazione del sogno che l’Autore ha riposto nella bocca dell'Arcangelo Gabriele;  per questo passo crediamo che sia stato seguito il criterio della cronologia storica. Agli storici finora ha fatto comodo interpretare quel numero come giorni, piuttosto che anni solari, secondo l’utilità che poteva avere nella loro logica preconfezionata , così invisa a Tolstoj. Ma noi siamo col vecchio russo! Lo amiamo a tal punto che non incorreremo nello stesso vizio, ergo, se non troveremo contenuti allegorici riferibili al ciclo precessionale, ci dichiareremo incapaci di offrirne decifrazione. Non inseguiamo una soluzione a tutti i costi! Questo deve tornare ben chiaro a tutti.                                                                  Ora ripercorriamo insieme i versetti del testo, quando si parla del montone che cozzava verso occidente. Facile ricondurre la visione alla gloriosa figura di Alessandro il macedone e pensiamo sia abbastanza obbligato anche l’accostamento coi suoi generali che si sono spartiti l’impero alla sua morte. Fin qui non v’è nulla da rettificare, anche perché l’imbeccata verso la cronologia ufficiale, la fornisce lo stesso Autore per voce del personaggio angelico chiamato Gabriele. Forse la precisione della sua spiegazione, esplicita e diretta, ha fomentato l’idea che Daniele, o chi per lui,  potesse aver scritto un testo pseudoepigrafo. Noi non entreremo tuttavia, nel merito di questa spinosa faccenda e cercheremo di concentrarci, coi mezzi di cui possiamo disporre, solo sul significato della eventuale allegoria astrale. Anzitutto bisogna dire che l’Autore non intendeva indicare soltanto un tempo storico su scala naturale, ma neanche uno convertibile direttamente in misure precessionali, perché altrimenti per indicare i gradi avrebbe usato il termine ‘giorno’, così come abbiamo appreso dai libri di Giorgio de Santillana. Ma se non sono gradi, quale altra misura temporale potrebbero indicare i  2300 intervalli? A nostro avviso con questa quantità l’Autore voleva  indicare esattamente ciò che scriveva, ovvero, un tempo cosmico scandito da ore solari, proprio perché in un giorno la durata delle sere e delle mattine rappresenta, quasi certamente, la somma di un certo numero di ore. Ma andiamo con ordine dal punto dell’ottavo capitolo dal quale ci siamo interrotti . Il montone/Ariete che sta nelle vicinanze di un fiume (l’unico fiume del cielo, pare essere la Via Lattea) si muove da oriente e  incontra il capro, nel senso che, il suo tragitto comincia con la levata eliaca che per l’appunto segna l’est cardinale. Il suo posto pertanto, in una panoramica d’insieme degli ultimi tempi, verrà successivamente occupato dal capro. L’impatto diventa inevitabile: il posto di capo-schiera del montone/Ariete verrà difatti preso in un futuro precessionale dal capro/Capricorno. Fatto sta che fra le due costellazioni sarà il montone ad averne la peggio: come un marito tradito, si romperà le corna. Poi verrà calpestato, il che – come già visto – può voler dire che ‘passerà oltre’, lo supererà ed annullerà il suo potere (lo sostituirà come capo-schiera occupando la posizione dell’equinozio primaverile) acquisendo a suo volta grande energia e diventando un dominatore.

Fig 2

Nella figura 2 appare abbastanza evidente il capro che procede da occidente (verso est, in senso precessionale.) Altrettanto esplicita ci è sembrata l’immagine (del segno) dell’Ariete, in piedi di fronte al fiume scintillante. Sulla traiettoria zodiacale dopo l’Ariete si possono scorgere le costellazioni dei Pesci e dell’Acquario, quest’ultima sorge a est prima dei Pesci, ma come Età precessionale, benché si presenti anticipatamente sulla traiettoria zodiacale (nasca prima), avrà durata inferiore. Il frame è tratto da un’immagine attuale del cielo diurno, ma rende l’idea

     Il lungo corno, a nostro avviso, simboleggia l’asse terrestre che detta col suo moto giroscopico i grandi cicli (anni precessionali). Le quattro piccole corna indicano i coluri solstiziali ed equinoziali, cioè le quattro costellazioni corrispondenti a questi punti; quella che comanda il ciclo è ovviamente quella dell’equinozio primaverile. Se questo ciclo precessionale era cominciato con l’Era dellAriete/montone, l’avvicendamento col capro può significare che passeranno tre ere precessionali, cioè  6480 anni solari prima che  il Capricorno/capro dalla posizione solstiziale invernale slitti fino all’alba dell’equinozio di primavera, ponendo l’Ariete sul  solstizio d’estate e facendogli perdere così il suo primato. Il capro, che proviene dal solstizio invernale  può ritenersi una minaccia, proprio perché il sole cresce senza sosta dal solstizio invernale all’equinozio primaverile. Quando perciò il Capricorno si posizionerà esattamente sullo stesso punto, al principio della  primavera, scalzando l’Ariete che passa al solstizio estivo, l’equinozio autunnale  sarà occupato dal Cancro e al solstizio invernale si troverà la Bilancia. Queste ultime costellazioni poste ai coluri equinoziali e solstiziali sono le sue quattro corna. Le stelle/costellazioni che calpesta - o che calpesterà, a meno che il mondo non finisca prima - sono invece quelle interposte fra Capricorno e Ariete, quindi l’Acquario e i Pesci. Per quanto riguarda le corna del montone di diversa lunghezza (= cicli zodiacali subordinati all’Ariete) che finiranno per frantumarsi sotto la spinta del capro, tutto lascerebbe supporre si tratti dell’Acquario che spunta per primo da est, e dei Pesci che lo segue nel perpetuo giro sull’eclittica. Nonostante  ogni giorno sorga da est per primo, l’Acquario, quando arriverà il suo turno precessionale, durerà poco (corno piccolo), mentre il  Pesci pur spuntando dopo l’Acquario nel giro zodiacale quotidiano, ma prima di esso in senso precessionale, durerà per tutta l’ampiezza prevista di trenta gradi, ed ecco perché la casa dei Pesci si può riconoscere come il corno più lungo dell’Ariete. L’arrivo del capro infuriato segna così l’entrata nell’ultimo periodo (successivo all’Acquario), anche se all’inizio, gli anni che fanno parte del tempo amputato all’Acquario, indicano che questo primo intervallo non  può essere considerato fin da subito quello del Nuovo Tempo: è scritto difatti che vi sarà una fase in cui il ‘male’ farà ancora sentire il suo influsso (Apocalisse). I giorni ‘amputati’ all’Acquario sono quei gradi precessionali che, in virtù dell’ approssimazione adottata, mancherebbero all’Età dell’Acquario per completare il suo corso naturale di trenta gradi.   

      La scadenza, calcolata attraverso gli intervalli indicati nel Libro di Daniele, intorno ai 19 gradi, riguarda quindi l’adozione di una misura convenzionale; naturalmente il tempo successivo a quei 19 gradi, ha continuato a scorrere benché la convenzione stabilita lo ascrivesse alla fase iniziale della Nuova Era. Non sembra perciò campata per aria l’idea che vuole quel periodo di transizione ancora pervaso dall’influsso del male. Un po’ come dire che il giorno solare dura 24 ore, mentre tutti sanno che quella delle ventiquattro ore è una convenzione usata in sostituzione della vera misura che risulta essere di 23 ore 56 minuti primi e 4 secondi. I minuti che mancano al completamento del tempo convenzionale scorrono in anticipo nel corso del nuovo giorno e ciò significa che in un calcolo riferito a tempi lunghi, o lunghissimi,  questo piccolo scarto si sommerà in maniera tale da determinare una misura rilevante (ricavata attraverso la sommatoria dei piccoli scarti mancanti per raggiungere il valore convenzionale) molto maggiore di quella effettiva. Questa dissertazione sulle convenzioni vorrebbe suggerire che, forse, non si tratta di preconizzare un’ epocale catastrofe a sigillo dell’infero abominio, ma semmai si tratta, o si è trattato, di aver fatto uso di un espediente di arrotondamento reso suggestivo ed enigmatico dal linguaggio favolistico del mito; si tratterebbe dunque di una semplice approssimazione per far quadrare i conti e permettere una facilitazione di calcolo entro una scadenza finita nel margine di scarti temporali secchi, ovvero attraverso l’uso di numeri interi, anziché decimali. Si spiega così perché le approssimazioni decimali vengono sempre riportate attraverso un rapporto numerico (frazione aritmetica). Lo abbiamo rilevato nei capitoli della Genesi che raccontano la sequenza delle età dei patriarchi antidiluviani (il cui rapporto fra la somma e la cifra 120, dà come risultato la precisa durata di un grado precessionale che è di 71,458 anni). Ricordiamo a tal proposito anche il capitolo citato in 1Re VII : 23-26 ; 2Cronache IV : 2-5 , quando viene trascritta la misura della circonferenza del ‘cratere circolare’ della reggia di Salomone: “ Fece poi il mare in metallo fuso di forma circolare, di dieci cubiti da un orlo all’altro [diametro] era alto cinque cubiti mentre una cordicella di 30 cubiti ne misurava la circonferenza”. Il rapporto fra circonferenza e raggio  indica quindi una frazione (circonferenza = 2 π [pi greco] R) il cui risultato/circonferenza è di 31,4 cubiti anziché di 30, come riportato nel testo. Sarebbe stato problematico ed estraneo ad ogni stile letterario, trascrivere la lunghezza della circonferenza del cratere di 31,4 cubiti; ma questi, per il vero, sono problemi ai quali non tutti sono interessati. Fra coloro che invece se ne sono occupati, vi è il noto matematico Piergiorgio Odifreddi. Egli non mostra dubbi nel marchiare (in relazione alla cifra 30) gli antichi redattori ebrei di palese incapacità di calcolo, mentre fra coloro che guardano il mito arcaico e i suoi interpreti con maggior rispetto, serpeggia un giudizio più edificante che vorrebbe gli stessi Autori del Libro delle Cronache e dei Re, eruditi di gran pregio, per i quali la leggera incongruenza sarebbe stata addirittura un ennesimo accorgimento  per mettere in evidenza le caratteristiche non-geometriche del globo terrestre e quindi la minor lunghezza del diametro della terra come rappresentazione di un asse leggermente più corto (Da cui se ne evince che il pianeta già risultava agli eruditi di quei tempi - come infatti è - uno sferoide leggermente schiacciato ai poli). Per noi vale invece la tesi pronunciata dal pregevole archeoastronomo Mario Codebò (Vedi i suoi studi sul sito Archeoastronomia Ligustica) che ci invia queste poche righe in una vecchia corrispondenza privata: Sono d’accordo  - afferma l’archeoastronomo - con chi sostiene che la Bibbia non sia un libro storico bensì agiografico, ma per quella che è la mia esperienza, non inventa nulla, racconta, viceversa, fatti reali abbellendoli di "meraviglioso" , come facevano tutti allora, (essendo quello lo stile letterario del tempo) e usandoli non per fare storia (nel senso che intendiamo noi oggi), bensì per trarne un insegnamento, una morale o delle indicazioni operative. Quindi non posso che incoraggiarla a continuare nelle sue ricerche e proporle di portare i risultati ottenuti al nostro prossimo Seminario ALSSA di archeoastronomia che si terrà a Genova il 4-5/04/2020. Se si provasse che questo numero [da voi individuato] 71,4583333 esprimesse la velocità della precessione (ma attenzione ai decimali!!! Gli antichi li esprimevano in forma di frazioni) potrebbe esserci un certo ridimensionamento dell'affermazione che per trovare tracce di astronomia giudaica bisogna cercare in testi non canonici.    La cifra decimale, pertanto - aggiungiamo noi, in totale sintonia con Mario Codebò -, come abbiamo avuto modo di leggere nei testi biblici, non si armonizza coi canoni della narrazione mitica                                                                                     Vedremo più avanti, attraverso il vaglio dei numeri, se queste nostre argomentazioni possono avere un senso compiuto. La rotazione appena descritta e disegnata  nella figura 2,  indica infatti che l’Ariete compie il salto di 6480 anni da oriente (dalla sua sede equinoziale), mentre sul fronte opposto il Capro avanza da ovest verso est, naturalmente secondo l’orientamento cardinale sud-est. Bellissima e poetica, l’ allegoria tratteggiata dall’Autore rispetto al movimento del capro:

Veniva da ponente, camminava sulla terra ma senza toccare il suolo.

    Da questi passi si ricava una nuova interpretazione in chiave allegorica del verbo ‘calpestare’, ma anche ‘divorare’, il cui significato potrebbe esser quello di  occupare il posto che prima era di un’altra casa zodiacale.  Quando uno scaccia e calpesta un altro significa, insomma , che occupa la sua posizione precessionale. Così dunque  dovrebbe intendersi il capro/Capricorno che calpesta e scaccia il montone/Ariete. I quattro punti equinoziali e solstiziali, ‘le corna in direzione dei quattro venti’, diventano sue. Ed anche quando si parla di corna,  nell’Apocalisse considerati regni, potrebbe significare in senso figurato un’asse, un ciclo rotatorio, quindi, un intervallo di tempo compreso in un’era zodiacale, su scala precessionale.  

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