giovedì 21 ottobre 2021

I sette tempi (Terza parte)

   Una volta stabilito il punto ‘zero Pesci’ ho voluto dedicare un po’ di spazio alla complicata questione dei ‘sette tempi’. Come lasciato intendere in precedenza, l’unità di misura valida per la scala guenoniana  (in riferimento ai quattro ‘Yuga’ dell’ultimo Mantanvarah), non può essere applicata all’interpretazione del secondo sogno del re. In Dan 4, 20-21 , il profeta Daniele dice chiaramente che dopo aver legato le radici dell’albero abbattuto  con catene di ferro e bronzo, costui,  ovvero il re/albero  


  oramai deceduto, troverà ospitalità fra gli ‘animali della terra’ ( le costellazioni, per l’appunto) e verrà bagnato dalla rugiada del cielo. Crediamo che la decodificazione della forma poetica adottata sia abbastanza semplice: la rugiada infatti è rappresentata nel cielo dal fitto manto di stelle sotto il quale le costellazioni si muovono perché hanno velocità diversa. Il rapporto figurato dalla bella versione poetica parla così di una brina luminescente  che passa sopra gli animali, le case zodiacali, fra le quali  ora è presente anche quella dell’anima del re deceduto, che fa da capofila dei sub-cicli contenuti in un grande ciclo cosmico. L’anima del re dimora adesso nei cieli, facendosi ‘bagnare’ dal manto sovrastante di stelle (quelle più lontane) finché, in quella condizione beata non passeranno sette tempi. A questo punto non  si può più negare che i  sette tempi citati nella profezie  siano quelli compresi  fra la caduta/morte del re Nabuccodonosor e la fine dei tempi successiva alla venuta del Messia,  qui chiamato, forse per la prima volta, ‘il più Umile fra gli umili’ (Dan 4, 14.).  Non è difficile perciò  concordare sul fatto che i sette tempi vadano contati a partire dall’abbattimento del grande albero ( o dalla  testa d’oro della statua sognata dal re), alla fase terminale dell’Era dei Pesci, entro lo stesso arco di tempo che,  nel Vangelo di Marco (Mc 6, 41) , verrà  narrato  con le seguenti parole: 

   “…ed egli prese i cinque pani e i due pesci e alzando gli occhi al cielo

Gli occhi vengono orientati in alto, dove effettivamente stavano i ‘pani’ e i pesci, nella misura temporale di cinque ere successive alla casa della Vergine, detta anche e per l’appunto, Casa del Pane (Geograficamente Betlemme, da bet=casa e lem=pane); le due ere dominate casa dei Pesci, geograficamente Betsheida e astronomicamente (le due ultime ere) l’Ariete e i Pesci, sono epoche corrispondenti al prima e al dopo la nascita del Messia. 

li benedì, spezzò i pani e li diede ai suoi discepoli affinché li distribuissero.”       

   Nel  Vangelo di Marco si parla di una platea di 5000 persone suddivise in gruppi di 50 + 100 individui, e ciò rimanda al significato numerico seguente rapporto 5000/150 = 33,3 = gli anni del Cristo. In pratica la moltitudine accorsa ad ascoltare la predicazione del Nazzareno potrebbe indicare il tempo trascorso entro il semi-ciclo precessionale compreso fra la Casa della Vergine e quella dei Pesci. Sono per l’esattezza sei mesi + uno del grande anno, quindi ‘mesi’ con  durata di 2160 anni ciascuno , cioè  30 gradi d’arco del ciclo precessionale. Se questo passaggio dovesse suscitare giuste perplessità, si pensi al dipinto del Cenacolo di Leonardo da Vinci. Come ci viene spiegato  egregiamente nel sito Profezie Evangeliche facendo attenzione alla disposizione del piatto dei pesci e di quello del pane sulla tavola dei Discepoli, non sarà difficile attribuire a ciascuno di loro una precisa corrispondenza astronomica. E dunque Pietro il pescatore che altro segno/casa zodiacale avrebbe potuto rappresentare se non quella dei Pesci? Forse Leonardo da Vinci era al corrente dei significati riposti nei testi sacri; i codici segreti, poi…erano il suo forte. Si sa. 

      Illustrazione tratta dal sito Profezie Evangeliche

E  se ancora persistessero dubbi sul significato messianico dei ‘sette tempi’ indicati dal profeta Daniele si vada a consultare il relativo passo tratto dall’Apocalisse di Giovanni, non meno criptico del precedente ma ancora una volta perfettamente in linea coi ragionamenti qui avviati.  Così è scritto in Ap 17, 9-10 , con esplicito riferimento ai versetti precedenti:   “Qui occorre la mente che ha sapienza: le sette teste sono sette colli su cui si è adagiata la      donna ; ma sono anche sette re  dei quali i primi cinque sono passati, uno c’è mentre l’altro non è venuto ancora, ma quando verrà rimarrà per poco tempo.”   

    L’allusione al 'settimo tempo' si riferisce all'Era dell’Acquario, unico  segno con fattezze umane, forse collegato al periodo antecedente la figura onirica del Grande Vecchio, il marcatore del Nuovo tempo di pace e armonia.  Ancora però, siamo nel campo delle pure congetture.  Se nel caso del computo dell’evangelista ogni  ‘re’,  può essere riferito a un' età precessionale (detta anche mese precessionale = 2160 anni solari), nella scala indicata da Daniele profeta  i sette tempi  parrebbero  indicare  i  sette intervalli che seguono l’Età dell’Oro. In  base a  quest’ultima  interpretazione, un ‘tempo’ può essere considerato uno scarto di circa 6500 anni, pressapoco  1/4 di ciclo precessionale. Rispetto a quest'ultima scala (statua del primo sogno del re), dalla fine dell’Età dell’Argento alla fine dell’Era Pesci, corrono tuttavia soltanto sei tempi. Il successivo, il settimo, è presumibilmente quello destinato a ‘durare poco’  e a precedere la Nuova epoca di armonia.                                                             

    Nella figura qui sopra, che rappresenta il tempo della 'tribolazione', si può osservare che la scala zodiacale comincia col segno del Leone, mentre l'epoca storica in cui vive Daniele appartiene al segno dell'Ariete.  Il Leone si è già nutrito col tempo del Toro (notare i particolari del bassorilievo  nella fotografia alla fine). In totale, gli anni della tribolazione sono 38000 (circa 540 gradi precessionali), ai quali si deve aggiungere l'Era dell'Acquario, destinata, secondo gli evangelisti, a terminare anticipatamente. 

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Dopo il suo  secondo sogno e la relativa spiegazione, il re Nabuccodonosor sente una voce che gli ricorda i suoi doveri verso il Dio ebraico. Sostanzialmente la voce lo trasporta in una realtà parallela dove vede avverarsi i  vaticini  rivelati da Daniele. I versetti a chiusura del quarto capitolo riprendono i motivi del secondo sogno e inducono il sovrano a prestar fede al Dio israelita, l’onnipotente Re di tutte le cose e dell’intero Cielo.  Il libro di Daniele salta poi al quinto capitolo, dove compare la figura di Re Baldassar,

La Mano de Dios.

     Prima del famoso gesto del fuoriclasse argentino, Diego Armando Maradona, l’unica Mano di Dio  rimasta impressa nella nostra memoria era stata quella descritta dal profeta Daniele, nell’ omonimo libro.

   Riprendiamo il racconto del quinto capitolo che si svolge nel tempo  di Baldassar, indicato nel  testo come figlio del deceduto Nabuccodonosor. Non vi sono passaggi intermedi a raccontare gli eventi e dunque l’autore parla subito  di un regale banchetto, al termine del quale il re stesso vede comparire una mano intenta a scrivere sull’intonaco della parete. Profondamente colpito da quel fenomeno paranormale interpella la moglie che lo indirizza  senza indugi alla figura del grande saggio ebreo già noto a suo padre. Naturalmente tutto il racconto non si svolge secondo una cronologia coerente; sembra invece che i testi siano stati ordinati in modo casuale. In realtà, come più volte ripetuto  nei nostri articoli, il senso della trama, i riscontri storici e il filo narrativo da un capitolo all’altro lasciano spesso a desiderare, mentre il corpo degli scritti  sembra più che altro voler  fornire elementi utili alla decodificazione di qualche importante messaggio. Daniele, alla fine, esterna il suo rimprovero al re, prima di fornirgli la traduzione delle tre parole scritte dalla mano ‘ Mene, Teqel, Peres’. Il capitolo termina con la morte del re di Babilonia Baldassar, figlio di Nabuccodonosor .  Ovviamente, gli storici  non confermano minimamente questa linea di successione sul trono di Babilonia e neanche l’analisi della trama sembra filare liscia. Tante circostanze infatti,  non seguono un filo narrativo coerente e lasciano il lettore interdetto, a dimostrazione che l’intento dell’autore non fosse quello di scrivere una bella storia,  ma (semmai) di far passare determinate informazioni. 

Nella ‘fossa’ del (segno del…) Leone

     Nel sesto capitolo compare sulla scena il re Dario, simbolo della corruzione dei costumi del suo popolo. Egli è il monarca che dopo aver lodato e promosso il profeta ebreo, torna sui propri passi, quindi, dietro consiglio di sapienti invidiosi, getta Daniele nella fossa dei leoni. L’unico numero menzionato dall’autore è il trenta: sono infatti 30 i giorni durante i quali il profeta ignora di omaggiare l’effigie sacra del nuovo sovrano di Babilonia. Il reato contemplato nel codice reale, gli garantirà la famosa punizione. L’ennesimo prodigio divino consentirà però a Daniele di uscire illeso dalle fauci delle fiere, e tanto servirà a persuadere il sovrano a concedergli la grazia.

In chiave astronomica i 30 giorni, come abbiamo sempre inteso in queste nostre dissertazioni, potrebbero rappresentare trenta gradi del ciclo corrispondente all’Era del Leone (si tratta però della casa zodiacale che sorgeva all'equinozio di primavera appena dopo la fine dell' epoca aurea, dando inizio alla grande tribolazione). Il dio ebraico sembra infatti dominare sul potere temporale del re-leone e mostrerà,  col suo miracolo e con la grazia concessa al condannato, di sovrastare la potenza tutti le altre divinità babilonesi. Dario non appartiene al casato dei suoi due predecessori e, per questo, potrebbe rientrare nel criterio di interpretazione del primo sogno di Nabuccodonosor. Egli dovrebbe quindi appartenere al periodo corrispondente alla porzione bronzea della statua. L'iconografia  proveniente da antichi reperti conferma che Dario governerà ufficialmente Babilonia dal 522 a.C al 486 a.C. Egli è raffigurato come un leone con le ali per il fatto che il segno dominante  rispetto le successive dieci ere precessionali è per l’appunto quello del Leone, come l’Agnello sarà capofila del Nuovo (ed ultimo) regno della salvezza.                                                                                                    

  

          Sempre secondo la storia ufficiale, il suo regno terreno sarebbe invece appartenuto all’Era precessionale dell’Ariete (2160 anni precedenti a ‘Zero Pesci’), ma perché in questo capitolo (Il sesto) viene menzionato l’episodio della ‘fossa dei leoni’? La nostra interpretazione, in base alle cifre riportate nel testo, indicherebbe che nei 30 giorni (gradi precessionali di 2160 anni solari durante i quali Daniele insiste nel suo ‘reato’ di venerare il dio ebraico, blasfemo a Babilonia), in sostanza, sta imponendo il suo potere a quello pagano che nella scala precessionale corrisponderebbe alla prima Era del Leone. Il dio di Daniele quindi  preserva il suo devoto dalla punizione e impone al Leone la propria volontà che lo stesso Dario, di fronte all’evidenza del prodigio appena veduto, non tarderà a riconoscere. Se proiettiamo la figura della grande statua dai piedi d’argilla sui simboli appena descritti sembra allora che questo episodio - in senso precessionale - appartenga alla porzione bronzea della statua; ma per capire questo passaggio dobbiamo ipotizzare che l’autore del Libro di Daniele operi sulla base di due livelli temporali: uno effettivo (storico, contemporaneo), l’altro precessionale. L’Autore dunque, utilizza l’aggancio storico della propria epoca, per poi proiettarlo  sulla scala precessionale corrispondente agli ultimi 39000 anni solari, intervallo di  tempo compreso su scala minore,  fra Leone e Pesci (+ Acquario; o 'Aquario'); ciò perché gli evangelisti chiamati in causa  operano allo stesso modo rispetto a un periodo di 13000 anni solari. Per avere migliori ragguagli dell’operazione intentata nei Vangeli, consiglierei la consultazione di un interessantissimo lavoro sul sito Profezie Evangeliche .

Una volta familiarizzato con questa  sorprendente lettura mitografica, non sarà difficile applicare lo stesso ragionamento anche al Libro di Daniele. L’aggancio con i tempi della storia ufficiale, riguardano in questo caso il periodo trascorso dal profeta a Babilonia, come deportato. Si parla  perciò di un periodo compreso grossomodo all'inizio dei cinquecentocinquanta anni precedenti la venuta del Cristo (=Zero Pesci), all'inizio del quale Daniele fu fedele servitore  di ben tre monarchi;  il regno di questi prestigiosi sovrani non combacia tuttavia minimamente con le date individuate dagli accademici, propensi a considerare il Libro di Daniele  come opera di genere pseudoepigrafa, ovvero, scritta da un anonimo autore  che utilizza il nome di un personaggio famoso,  costruita come vaticinium ex eventu , che sarebbe a dire come falsa-profezia posteriore ai fatti annunciati. Se quindi, il periodo complessivo dovesse corrispondere allo stesso lasso di tempo chiamato da Renè Guenon, l’ultimo Manvantarah e se l’autore che chiamiamo Daniele, avesse voluto fornire una visione cronologica dei suoi tempi per rapportarla alla Grande scala precessionale (In virtù di una tecnica narrativa ripresa poi anche dagli evangelisti), potremmo automaticamente considerare la testa d’oro della statua come primo periodo Satya Yuga ; e potremmo anche ipotizzare che con esso avesse avuto fine l’Età dell’Oro, dando inizio a quella che, una precisa letteratura apocalittica ha classificato come  epoca della grande tribolazione.   Il  periodo dell’abominio , comincia nel sogno del re con l’abbattimento del grande albero. Nella scala guenoniana questo periodo sarebbe dunque cominciato 19000 anni prima della nascita del Cristo, per dilatarsi fino all’epoca moderna, cioè ai nostri giorni.  Teniamo conto di questo computo temporale che potrà tornarci utile quando andremo ad scandagliare le profondità del mistero conchiuso nella profezia dei Settanta anni. Ma prima, bisogna riprendere il filo del grande racconto di Daniele da quei capitoli che trattano l'avvento delle quattro terribili bestie.

   A chiusura di questo articolo vorrei richiamare l’attenzione dei più su alcune importanti analisi      che ho avuto modo di consultare sul sito Axis Mundi. Gli Autori che si sono occupati del tema da noi proposto, quello dell’inizio del periodo della ‘grande tribolazione’, concordano sul fatto che la  fine dell’Età dell’Oro sia stata simbolicamente rappresentata nei racconti mitici di varie culture, con la figura dell’albero o del legno, al quale, sovente, veniva fatto seguire il simbolo dei due bastoncelli; in chiave astronomica il riferimento  è  alla casa precessionale dei Gemelli, nel senso che, a partire da questa epoca, il pianeta sarebbe incorso in uno stravolgimento del primo ordine per poi subire un lungo periodo di devastazione provocato dal fuoco.


venerdì 1 ottobre 2021

Nabuccodonosor's nightmares (Seconda parte)

          

  Non  so se negli scritti sacri delle antiche civiltà che si sono succedute nel corso della storia, vi sia stata una figura analoga a quella del profeta Daniele. Il Libro che porta il suo nome viene associato a una letteratura apocalittica per motivi evidenti, ma se considerassimo i numeri secchi menzionati nel testo, ecco che salterebbero all’occhio una serie di ‘coincidenze’ con cifre più volte riportate nel  Vecchio e  del Nuovo Testamento. I racconti mitici appartenenti a culture diverse e distanti fra loro nello spazio e nel tempo, sembrano combaciare nella trama, ma non nel nome e nel ruolo dei principali personaggi che mutano da cultura a cultura. Vien da pensare a Deucalione e Pirra, riconducibili al Noè ebraico o,ancor prima, al Gilgamesh sumero. In pochi tuttavia avanzano il sospetto di plagio, mentre appare più verosimile che sia avvenuto nel tempo un semplice trasferimento d’informazioni da una cultura (dominante), a un’altra (dominata), resa possibile dall’utilizzo di un  linguaggio specifico conosciuto e adottato dai sapienti.  Per dirla con Lev Tolstoj, tutto ciò potrebbe rientrare nella logica e  nei metodi degli studiosi di professione, avvezzi ad adattare il fluido scorrer delle vicende umane a  schemi preconfezionati nei canoni di procedure  tanto frequenti quanto equivoche, sovente  scambiate  per ‘cronaca storica’. Poco importa, poi, se permangono dubbi sul fatto che suddetti racconti mitici mantengano nei secoli/millenni la loro intelaiatura originale, la ripropongano cioè in tempi successivi al periodo della colonizzazione, quando gli obblighi imposti dagli occupanti parrebbero oramai andati in prescrizione. Si è inoltre scoperto che certi resoconti provengono da una tradizione orale ancora più antica, forse derivata da un primo e comune ceppo. Date queste premesse, perché dunque, una volta ripresa l’autonomia politica e culturale, determinati popoli non hanno nuovamente adottato i loro testi tradizionali? In pratica  la  tradizione acquisita  non verrebbe  modificata nella sua struttura narrativa, ma solo nel nome dei mitici protagonisti (come si è precedente scritto per il mito greco di Deucalione e Pirra). Il metodo storico tende perciò a ricostruire la realtà adattandola a uno schema, così come gli antichi costruivano le loro storie adattandole al mito. Per forza le date finiscono per saltare! Ma noi non entreremo nel merito di questo criterio, non ne denunceremo ancora la fallibilità, perché ciò che ci interessa valutare è solo la corrispondenza dei cicli astronomici su scala globale. Secondo questo approccio, è il secondo sogno quello che risolve molte incognite. Nel primo sogno, così come nelle visioni del profeta Daniele, egli  nella veste di autore,  sembra voler stabilire  una relazione coi periodi di regno del sovrano in carica, in una sorta di adulazione della sua gestione del potere. Non vi è perciò volontà di riportare  una cronaca esatta con relativa datazione che, a detta degli stessi storici, rimane  assai difficile da valutare in base ai dati menzionati. Nel secondo sogno, invece, l’autore sembra preoccuparsi soprattutto del  CONTESTO TEMPORALE LA in  scala  cosmica. E’ quindi  innegabile che,  nella visione del grande albero, egli rimanga entro il periplo dell’interpretazione pura ,  per  poi  stabilire successivamente corrispondenze numeriche esatte con  le fasi di un ciclo astronomico piuttosto duraturo in stretto rapporto con le case zodiacali precessionali 

Primo sogno di Nabuccodonosor (Capitolo 2° del Libro di Daniele).

   Nel secondo capitolo dell’omonimo  Libro, il futuro ‘profeta’ Daniele non si è ancora guadagnato la fiducia del re Nabuccodonosor. Irrompe nella vicenda indovinando di sana pianta il sogno del sovrano e fornendone un’interpretazione tanto convincente da garantirgli una sfilza di onorificenze e titoli nobiliari. Secondo la versione più comune, l’immagine onirica della grande statua dalla testa d’oro, il tronco d’argento , le gambe e il bacino di bronzo e i piedi di ferro e argilla, viene intesa come la premonizione dei regni che seguiranno quello del re babilonese. Quel che più ci interessa della faccenda è l’aggancio simbolico stabilito dal narratore, che introduce nel testo le vicende storiche della sua epoca, (fig A). La testa d’oro rappresenterebbe quindi l’autorità del regnante in carica (Qui si accenna a Nabuccodonosor. Secondo una versione recente della Bibbia masoretica, quella più in uso fra catechisti, la vita di Daniele si dispiegherà nel periodo di governo di tre successivi monarchi) in una fase di ordine e armonia che comprenderà anche il regno di suo figlio Baldassar, a cui succederà Dario che interromperà il casato precedente per portare al potere un esponente del popolo dei Medi (Busto d’argento). A questo regno le scritture ne fanno seguire  un terzo rappresentato dal bronzo che per i traduttori della Bibbia Cei versione 1980  (ovviamente interessati a magnificare il carisma del profeta) simboleggerebbe l’avvento di Alessandro Magno.                                                                         


 L’ultima porzione inferiore della statua, quella fatta di ferro e d’argilla, sempre secondo la versione biblica appena menzionata (1980), indicherebbe la presa del potere dei Seleucidi di Siria e dei Lagidi d’Egitto, in un vincolo ritenuto fragile destinato a dissolversi, esattamente come una lega di ferro e creta. Tralasciando e bypassando le infinite speculazioni sulla questione simbolica, abbiamo preferito soffermarci su un solo punto non suscettibile di interpretazione: l’origine di queste epoche. La testa d’oro della statua, sarebbe infatti immediatamente riconoscibile come il periodo di armonia menzionato nei testi di altre culture col nome  di Età dell’Oro. Il punto centrale della questione diventa allora il seguente : quando avrebbe avuto fine questa epoca florida e pacifica?. 

   A scanso d’equivoci, bisogna ricordare che tutti i popoli del passato arcaico hanno fatto  coincidere le proprie origini con un’epoca di pace politica e ordine sociale; per gli egiziani era lo Zep Tepi, per gli ebrei il leggendario paradiso dell’Eden, e così via. Il profeta Daniele, o l’autore sconosciuto del libro che porta il suo nome, pare  in realtà riproporre caratteristiche di uno schema acquisito dai testi di civiltà precedenti (i numerosi  indizi sono stati raccolti e ben illustrati da Giorgio de Santillana e Herta von Dechend). Se davvero - come afferma la maggioranza degli studiosi - questo Libro Sacro fosse stato redatto due secoli prima di Cristo, bisognerebbe desumere che i fatti descritti fossero già accaduti. Ciò che però rimane certo è che tutti avessero raccontato situazioni simili, ovvero di un lungo periodo in cui fosse avvenuto un processo di degradazione del primo ordine, un tempo cioè in cui i fasti e le glorie iniziali avessero via via lasciato il posto a uno scenario apocalittico, a prosecuzione del quale sarebbe sorto  un nuovo ‘regno’ di armonia destinato a durare ab-eternum.

   Secondo Rene Guenon, il periodo dell’Età dell’Oro coincide con il Satya Yuga (Indùismo) della durata di 26000 anni solari, e coincide con la prima età dell’ultimo Manvantarah , lungo un  arco di tempo che va da circa 39000 anni solari  - a partire dall’ultimo periodo della storia umana (Kali Yuga) -  a circa 65000 anni solari, al termine cioè, del Satya Yuga che, con Guenon,  anche noi abbiamo cominciato  ad equiparare alla mitica Età dell’Oro. Il rapporto delle epoche intermedie dell’ultimo Manvantarah (il suo inizio e la durata) l’abbiamo messo in relazione (fig. A) con l’immagine della statua del primo sogno del re babilonese Nabuccodonosor, così da aver modo di  valutare, in base ai numeri del  testo biblico, una scala temporale coerente con questa prima raffigurazione. Abbiamo  così cercato di dare un significato astronomico ad ogni cifra menzionata dal profeta Daniele, tenuto conto che, per arrivare a conclusioni  verosimili, dovremo seguire con un certo rigore una fitta serie di passaggi.

Secondo incubo di Nabuccodonosor:   l’albero abbattuto                                                  (Capitolo 4° del Libro di Daniele)

    I precedenti simboli sembrano comparire nuovamente nel sogno del Grande Albero, un enigma per il re Nabuccodonosor, che domanda al profeta Daniele una spiegazione convincente. Ed egli, ancora una volta, non lo deluderà. Questo secondo enigma sembra riproporre una seconda struttura cronologica  riferita a tutti i tempi, in cui sono  chiamate in causa grandezze e misure su scala globale, o per meglio dire, precessionale. A differenza del primo sogno, nel secondo l’autore non ricorre a un aggancio con la cronaca storica, non si preoccupa di fornire coordinate temporali riconoscibili, ma affronta la questione da un'angolazione unicamente astronomica. I simboli si fanno così estremamente espliciti, se non altro perché ripropongono rappresentazioni assai comuni nella letteratura mitologica del passato non più prossimo, attraverso la tradizione di culture assai distanti in senso geografico e cronologico da quella ebraica. Il motivo dell'albero trova infatti molte assonanze nella mitologia norrena (Ygdrasill), in quella egiziana e perfino nelle civiltà precolombiane (Per ulteriori approfondimenti, suggerirei di tirare uno sguardo all’opera di Giorgio de Santillana, IL Mulino di Amleto, ma anche al bel libro di Andrea Casella dal titolo Alle radici dell’Albero Cosmico). In virtù di quanto ci ha proposto una vasta letteratura mitografica, è possibile dissipare ogni velo di scetticismo sul tema dell’albero, sovente utilizzato dagli antichi redattori per rappresentare un grande periodo di pace, equilibrio e prosperità; ancora una volta sembra ovvio il riferimento all’Età dell’Oro. Così racconta il sovrano di Babilonia:


                    Andrea Casella - Alle radici dell'albero cosmico






Dan 4, 8-10     


La descrizione nasconde fra le sue suggestioni, importanti caratteristiche fisiche e descrizioni     collimanti con la rappresentazione dell’asse immaginaria intorno alla quale ruota il nostro pianeta. Nabuccodonosor  insiste sul motivo dell’ombra, sotto cui potevano  pascere ‘animali della terra’. A pensarci bene, le descrizioni andrebbero benissimo anche come raffigurazione favolistica dell’asse terrestre. Ad essa infatti , e alla sua perenne rotazione, dobbiamo l’ombra che chiamiamo notte, ed è quel riparo dalla luce solare che ci consente di osservare nel cielo le costellazioni, ovvero la rappresentazione celeste di vari animali che, proprio per questo, denominiamo fin dai tempi più remoti, zodiaco (zoo-diaco = dieci animali).

Il sogno del re continua con le seguenti parole (Dan 4, 10-15):

       Mentre contemplavo le visioni sul mio giaciglio, ecco  un vigilante, un santo scendere dal cielo e gridare ad alta voce: ‘tagliate l’albero e spezzate tutti i suoi rami, scuotete le sue foglie e spargete tutti i suoi frutti.

Gli animali fuggano dalla sua ombra e gli uccelli (fuggano) dai suoi rami. Tuttavia il ceppo con tutte le radici lasciatelo nel terreno , legato con catene di ferro e di bronzo nell’erba del campo;  

      In questo brano, l’albero al centro della terra (il richiamo all’Albero al centro del giardino dell’Eden viene spontaneo; in entrambi i casi si tratta di piante miracolose che generano la Vita (perché l’inclinazione dell’asse terrestre con i suoi cicli stagionali è a tutti gli effetti la causa principale della proliferazione della Vita sul pianeta), foriero di benessere sociale e di armonia, viene perentoriamente abbattuto da un vigilante con conseguente perdita del primo ordine, che è essenzialmente ordine celeste. Il cielo stellato cambia assetto drasticamente ma vi è una grossa incognita sulla durata di questo epocale stravolgimento.  In alcune tradizioni questo passo è raffigurato come uno sconquasso di portata globale, e anche Giovanni, nell’Apocalisse, parla di un grande terremoto. Tuttavia le radici del colossale vegetale rimangono intatte e ben presto daranno vita a un nuovo arbusto, che è una nuova fase di armonia. La perdita dei riferimenti astrali (anche di quello polare con la sede delle costellazioni) simboleggiato dalla confusione fra gli animali in fuga, è un fattore estremamente significativo ed ampiamente argomentato nell’ importante opera di Giorgio de Santillana e Herta von Dechend, ‘Il mulino di Amleto’. Non credo che si possano sollevare dubbi sulle loro efficacissime soluzioni, anche se noi proporremo, per questo mutamento dell'orientamento polare, una singolare idea mai vagliata prima .

  La catene di ferro e di bronzo citate nel passo precedente ci riportano per analogia, alle descrizioni della grande statua (primo sogno di Nabuccodonosor) dagli arti inferiori di bronzo e dai piedi di ferro e argilla. I due metalli ricorrono ancora nelle parole dell’autore, sembrano quindi indicare coerentemente la fine del lungo periodo che precederà quello nuovo. Questo tempo può essere tranquillamente associato all’episodio del vigilante che abbatte l’albero. Il profeta, rivolgendosi per due volte al re babilonese racconta quindi all’inizio la cronologia di regni temporali (primo sogno), mentre nel secondo sogno proietta questo ciclo in uno scenario cosmico della durata di  'sette tempi'. Ecco il numero che aspettavamo! La stessa rappresentazione la troviamo anche in Esiodo, mentre nella civiltà Maya in mezzo a queste epoche se ne trova una che ripropone il motivo del legno, frassino per la precisione, come l’Ygdrassill norreno. Tuttavia la quantità di sette tempi si ricava anche dalla scala indicata da Guenon, nella sua stima del Manvantarah indù. Il ‘tempo’ , in questo caso corrisponderebbe ad un unità di mezzo semiciclo precessionale, cioè circa 6500 anni (13.000/2 anni solari). Tuttavia, e in questo caso il profeta lo spiegherà bene nella sua interpretazione, non saranno di questa durata i sette tempi indicati nel sogno.                                                                                                                                  Dan 4, 12-14                                                                                                                                        .                                                ...sia bagnato dalla rugiada del cielo e la sua sorte sia insieme con le bestie sull’erba della terra.si cambi il suo cuore di uomo  e gli sia dato un cuore di animaleSette  tempi  passeranno  per lui.

Da un decreto dei vigilanti viene la decisione e dalla parola dei santi la sentenza, perché i viventi sappiano che l’Altissimo domina sui regni umani.Egli dà il regno a chi vuole e  pone sul trono il più umile   degli uomini   


    Dal verso 12 al versetto 14, si possono trovare una serie di importanti indicazioni. La più enigmatica è quella del ‘trapianto’ di cuore. Il vigilante ordina che il cuore di uomo, sede dell’anima, venga sostituito col cuore di animale. Non v’è dubbio che il passo voglia dire che il sovrano, una volta morto, continuerà a rappresentare un preciso orientamento astrale, ma sotto forma di costellazione (generalmente un animale). Il suo cuore, quindi l’anima, trasmigrerà in cielo e prenderà posto fra gli altri animali dello zodiaco. Egli sarà dunque catasterizzato e il suo segno, un tempo simbolo del casato terreno, rappresenterà su nel cielo, un preciso ciclo cosmico.

Il versetto che invece, sarà considerato una delle prime, se non la prima profezia messianica in assoluto, è quello che annuncia la possibilità, per gentile concessione dell’Altissimo, di portare sul trono dei tempi e degli uomini, il più umile di loro. Con queste parole, secondo un personale punto di vista che – sono certo – Giorgio de Santillana avrebbe apprezzato grandemente, viene data  la precisa collocazione cronologica del fatidico punto ‘zero Pesci’, il periodo cioè in cui terminerà l’era dell’Ariete per dare inizio a quella cristiana.

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