domenica 23 maggio 2021

Il robot e il serpente (Storia dell'Mda 45)

 


  In questa prima uscita del ‘progetto letterario’ del quale si è abbondantemente parlato qui, ho voluto proporre l’incipit dinamico (Cioè senza nulla di definitivo) del romanzo ‘Il robot e il serpente’

 

                                                                                                        fabio painnet blade



 

Breve premessa (da omettere le parti retro-colorate in rosso):

 

   Uno psicologo di mezza età ritrova nella posta elettronica del suo computer un’enigmatica missiva. Non realizza a primo acchito chi possa essere, ma pensa si tratti di una vecchia paziente, affetta da chiassà quale malanno e, per giunta, un po’ bislacca. Legge velocemente poche righe cariche di apprensione:                                       

 

 Gentile Dott.  F,

    vi scrivo in un momento , per me, drammatico. Il mio capezzale è distante dal vostro studio, troppo distante nello spazio e ancor più nel tempo per sperare di potervi ricevere prima di esser morta. Sento di procedere speditamente verso la fine. Vi chiedo solo di ascoltare la mia storia, portarmi conforto, garantire che la mia versione dei fatti possa raggiungere un mondo della cui esistenza non posso che nutrire speranze. Tengo in particolare che mi  parliate un po’ di  questo vostro mondo, delle usanze e dei suoi costumi, ma soprattutto delle  genti e della civiltà che in esso hanno convissuto nel corso dei secoli. E’ un luogo felice o vi prosperano odio e rivalità?

     Perché ve lo chiedo?  Vi starete domandando. -  Già:  perché?

Se vi rispondessi che le mie son naturali premure di madre, non capireste. Pensereste di  aver a che fare con una pazza, perlopiù malata e moribonda.  Ed allora non ve lo dirò! Non ora. Non adesso. Forse in seguito comprenderete, ma per farlo dovrete disporvi all’ascolto, o alla lettura delle parole dell’ unico testimone  vivente  di una grande storia.

 

Adian 

                              Ohxen’im bat Asherah , madre di Temah figlia di Havel

 

  Il contenuto della lettera gli  trasmette ovvie curiosità. Incerto sul da farsi invita così la misteriosa donna a spiegarsi meglio, per permettergli di acquisire informazioni sul suo conto. Dall’altra parte l’invito è raccolto senza alcuna titubanza.                                                         L’uomo, qualificatosi come dottor Effe, riceve da quel momento in poi una serie di  comunicazioni e si dispone di buon grado alla lettura.  

 

 

 

                                                            Parte prima

 

  Di solito non ricevo grandi quantità di posta e quindi non ho l’abitudine di consultare la casella elettronica. Da almeno quattro giorni ristagnava infatti una comunicazione solitaria, il cui mittente non pareva appartenere alla ristretta cerchia delle mie frequentazioni e nemmeno a quella, altrettanto scarna, dei miei pazienti. Diviso a metà fra la consueta  indolenza da fine settimana e la curiosità sbrigativa di un temperamento impiccione, mi decisi  a leggere e, in poche battute, a rispondere con tutto il garbo di cui ero capace.

    Come primo approccio inviai all’indirizzo di questa enigmatica missiva alcune semplici domande,  tanto per sapere se si trattasse di una vecchia conoscenza o di una persona che, solo dopo aver conferito con un mio paziente,  si fosse decisa  a scrivermi. Di una cosa ero arcisicuro: un nome del genere non l’avevo mai sentito e neppure avrei avuto la necessaria fantasia per immaginarlo di sana pianta.  .

  Scrissi appena poche righe, intuendo che una simile vicenda avesse un principio lontano e che la donna che si era presentata col nome di Ohxen’im, soffrisse da tempo di disturbi dovuti a visioni notturne molto simili a sogni,  ma di natura alquanto diversa.

Ricevetti la risposta appena un paio d’ore dopo e già, fin dalle prime righe, avvertii nelle sue parole un repentino cambio di personalità: quella che all'inizio mi era sembrata una donna matura, si era calata nei panni di una giovane, forse un’adolescente.

    Mi ritrovai confuso, sebbene non di rado i miei pazienti saltano da una situazione all’altra senza curarsi di seguire un ordine cronologico, o un eloquio regolare. Rammentai però che fui proprio io a chiederle di riprendere il filo della storia dal principio e fui persino molto magnanimo nel concederle la possibilità di dilungarsi, senza imporre limiti di sorta, secondo una prassi clinica volta a garantire tranquillità. Lei non fece altro che attenersi alle mie indicazioni, senza alcun preambolo, senza ulteriori chiarimenti.

 

e-mail  n° 2

 

   La ringrazio per l’invito. Apprezzo la sua premura e la delicatezza mostrata nei miei confronti vale a dire, nei confronti di una perfetta sconosciuta. Dovrei presentarmi, lo so e fornire i miei dati anagrafici, ma al momento ho soltanto bisogno di parlare con qualcuno che sappia rispettare la mia esigenza di riservatezza. Perdoni, dottore, la mia pretesa. 

    Posso dirle tuttavia che da qualche tempo ho cominciato a sognare in maniera assai realistica e che queste visioni mi hanno trasmesso forti turbamenti. Non chiedo che  essere aiutata a vivere serenamente gli ultimi giorni della mia vita. Conosco la sua professionalità, per questo motivo ritengo che potrebbe concedermi un insperato  sostegno psicologico.

  Queste visioni insolite, insomma, sono iniziate pochi mesi fa e da allora non si sono più interrotte. Nel sonno vedo immagini che non appartengono a ricordi recenti e nemmeno lontani: forse non appartengono neppure a me, al mio vissuto;  eppure tutto intorno  scorre in maniera tanto chiara da  farmi smarrire gli appigli  con la realtà. Con la realtà di  ‘questa parte’, che è la nostra.

   Le prime volte che mi capitava di fare tali sogni non riuscivo a mantenerne la memoria, poi i paesaggi presero forme familiari, i volti delle persone che ero certa di non aver mai veduto prima, cominciarono a trasmettermi sensazioni rassicuranti, finché un giorno al primo risveglio, dopo periodi di totale confusione, mi parve tutto estremamente più preciso, più logico. In uno dei primi sogni mi vedevo procedere spedita su un tratto di strada polveroso, ero forse in un bosco e davanti a me ruscellavano  le acque di un torrente posto a confine di una regione  ammantata di mistero. Mani esperte sembravano aver ritratto il volto della natura di quei luoghi, col rigoglio dei grandi arbusti ghiandiferi o con la monumentale autorità dei fitotitani dal fusto largo fino a dodici cubiti. Non so perché  continuo a chiamare tali alberi con quel nome assurdo. So solo che, dall’altra parte (nell’immaginazione onirica) mi sembra tutto perfettamente inserito in un contesto conosciuto sebbene slegato da riscontri reali. Superai così quel  fiumiciattolo, con l'acqua alla vita,  facendo attenzione a non bagnare lo zaino. Quante volte, da bambina, un  luogo simile era stato teatro dei miei giochi. Però in quell’attimo preciso provavo sgomento e  dicevo a me stessa:

 – tieni gli occhi aperti, Ohxen! il bosco può riservare brutte sorprese. Sulla riva opposta mi scrollai l’umidità di dosso con energici calcioni al suolo per poi alzare gli occhi verso l’orizzonte: le rassicuranti architetture delle grandi torri della luce mi avrebbero aiutata a ritrovare la strada di casa, al sopraggiungere  della sera. 

            La notte mi ha sempre trasmesso le peggiori paure e sentivo che  quel luogo  brulicava di oscure e minacciose presenze; meno male che in queste occasioni  portavo sempre con me un armamento leggero. Non erano i quadrupedi dai lunghi denti a preoccuparmi, difficilmente dopo la colonizzazione mihole e le invasioni latranidi, ne avrei potuto incontrare qualcuno perché nel tempo avevano mutato le migrazioni andando ad insediarsi nelle regioni dove la luce nasceva e da dove le dodici lune di Tarhar A’Ru non si sarebbero potute scorgere. Una volta raggiunte le steppe del nord est, alle pendici dei freddi altipiani, non tornarono più nelle terre d’origine, dove rivali efferati  avrebbero minacciato la loro sopravvivenza. 

   Ecco un’altra anomalia: le immagini del sogno si accompagnano sempre ad informazioni precise, nomi, situazioni che conoscevo e ripetevo perfettamente. Nel riprendere coscienza, rammento sempre i nomi delle cose e delle persone, poi la sensazione di familiarità svanisce come rugiada al sole. 

   Il ‘Medio Amadah’, che negli spazi onirici era la terra degli avi e  patria dei popoli amadahntini, era una località priva di coordinate geografiche: non esisteva perciò da nessuna parte del mondo.  In quel luogo sorgeva una città chiamata Tarhar A’Ru. Come ogni agglomerato urbano, anch'esso produceva rifiuti, che venivano ammassati entro apposite aree per lo smaltimento organico le quali erano ubicate a debita distanza e avevano la funzione di garantire scorte  alimentari pressoché illimitate ad ogni genere di predatore, la cui presenza avrebbe altrimenti minacciato la popolazione residente. Per costoro era molto importante conoscere la posizione di questi luoghi maleodoranti, che venivano sistemati a distanza di sicurezza e concentrati entro località circoscritte e vistosamente segnalate sul territorio. Non v’erano dunque motivi per coltivare timori seppure, di tanto in tanto, capitava che qualche esemplare in fregola si portasse nei pressi dell’area edificata, o trovasse dimora in mezzo alla vegetazione. Paura e diffidenza lo potevano rendere pericoloso, dacché l’aggressività delle belve è ravvivata più dal timore che dalla fame. Sapevo perciò di dover girare alla larga da certi tipetti tarchiati dai modi scontrosi e meglio l’avrei fatto se mi fossi tenuta lontano dalle discariche.    

 


     Tempo addietro ne avevo veduto uno – l’immagine mi tornava chiara anche in stato di veglia. -  grattava il terreno fresco del sottobosco in cerca di radici o insetti commestibili. Avevo quindi atteso che si allontanasse facendomi scrupolo di non tradire la mia presenza. Quando però la bestia si era arrestata a pochi passi e aveva cominciato  ad annusare l’aria, avevo percepito un brivido lungo la schiena, una di quelle sensazioni che portano gli intestini a liquefarsi nelle brache in men che non  si dica.  Ma non ne avevo fatto un dramma, perché nelle mie perlustrazioni portavo sempre a tracolla un folgoratore elettrico. Di questo mostriciattolo ricordavo caratteristiche precise: era un prototipo maschio di vecchia generazione, un ibrido che aveva potenziato alcune facoltà e perduto altre, in una mescola di caratteri difficilmente prevedibile. Era stato un primo tentativo sperimentale  a cui ne sarebbero seguiti di nuovi. Il modello Zero punto Zero, meglio conosciuto come mostro squartatore, era stato rimesso in libertà poiché le leggi impedivano la soppressione di un individuo con un innesto genico primario, (della specie mihole) maggiore del quindici per cento. Il tasso ben più alto innestato su Zero punto Zero era servito così a salvargli la vita. In seguito si era velocemente riprodotto mescolando i propri caratteri con quelli di altre specie compatibili, col risultato di sparpagliare nel bosco una considerevole quantità di materiale genico pronto a scattare su arti rapidi e  zanne letali con cui straziare le carni di chiunque avesse avuto la sorte talmente avversa di capitargli davanti. La pelle mi si accapponava all’idea di venir colta da un fortunale nel bel mezzo della notte (unica condizione che avrebbe reso i circuiti della mia arma da passeggio,  nulla più di un ingombrante ammasso di ferraglia ).        

 


    La foresta tuttavia, più che di insidie, risuonava di vita, nell’attraversarla provavo sempre una piacevole fatica, i sensi si acuivano e muscoli sotto la pelle guizzavano come anguille. Sgusciavo nel reticolo cespuglioso senza sosta , saltellando oltre il sentiero battuto, coi piedi nel fango bruno e limaccioso che mi inzaccherava fino alle ginocchia. L’unica minaccia di questi luoghi era data dall’acqua che talvolta risaliva in superficie dai bacini sotterranei, formava pozze invisibili, coperte da un tappeto di fogliame che  potevano ingoiare uno sprovveduto in pochi istanti. La terra umida poteva insomma diventare molto pericolosa e, come nell’ animo di ogni mihole, anche a me  procurava un terrore illogico e ancestrale: nessuno d'altronde aveva mai lasciato le penne in queste fosse melmose, perché mai sarebbe dovuto capitare proprio a me? Temevo troppo l’acqua per farmi sorprendere da simili trappole. Ero disorientata dalla pioggia, atterrita dalla nebbia, detestavo il vapore delle fornaci e perfino un piccolo addensamento nuvoloso poteva destare in me oscuri presagi. Al contrario era la folgore a restituirmi coraggio. La cosa poteva apparire del tutto insensata perché la pioggia non aveva mai fatto vittime, mentre i fulmini del cielo scaricavano a terra un tal potenziale di energia  da lesionare edifici o carbonizzare come uno stecco il più robusto fra i più poderosi lottatori mihole.  Il timore dell’umidità  l’avevo appreso da bambina, era un ingrediente imprescindibile nei racconti dei vecchi, nelle favole o nelle tragedie mitiche del mondo antico, un mondo che aveva maturato questi archetipi in un tempo lontanissimo e che, in un assurdo contro-meccanismo di difesa, pareva adesso minare la fiducia infantile verso la natura, luogo dell’imprevedibile, tana degli istinti e delle crudeltà; qui l’acqua rappresentava il fluido malefico, il demone da combattere e sconfiggere.   Eppure, era in essa custodita anche l’essenza vitale di tutte le creature dell’universo e, se non di quello, dell’intero pianeta. I luoghi selvaggi, insomma, mi attraevano da morire; avevo imparato come coglierne l’armonia , i colori , ogni rumore  e soprattutto i profumi con quella loro proprietà indecifrabile e meravigliosa di saper suscitare memorie lontane; ritrovavo nella Natura la gioiosa vocazione alla maternità, non alla prevaricazione e all’abominio. Nel suo utero smisurato erano state partorite tutte le genti; tuttavia la mia civiltà millenaria, per voce dei saggi, ne coltivava l’insensato timore. Al diavolo i saggi! - Pensai: avrebbero avuto bisogno di una bella svecchiata,  pure loro. 

   Come tutte le femmine mihole, anch’io abbeveravo i miei buoni conflitti interiori nelle esitazioni di un pessimismo latente che si faceva vincere solo dalla forza del ‘mito della sopravvivenza’, unica forma di speranza collettiva nata dalla fiducia sul progresso e sul lavoro degli scienziati. I giovani maschi all’opposto, non vivevano le stesse paure (mitiche) come debolezze, ma come sfide e, in età matura, i più capaci avrebbero intrapreso carriere di alto livello nei laboratori della Salvezza, per ricoprire incarichi di gran prestigio, coi titoli altisonanti di Garanti della Conoscenza, di Custodi Sapienziali, di eruditi e specialisti del ramo tecnico. Io  intendevo diventare come loro e fornire il mio contributo alla realizzazione dei Grandi Piani della Rinascita, i programmi scientifici più ambiziosi che fossero mai stati concepiti da una civiltà. Ed allora, quando mi capitava di immergermi nella vegetazione di quei luoghi paradisiaci gli ammonimenti dei vecchi si scioglievano come rugiada al primo tepore mattutino, la natura pareva sorridermi amica e solleticarmi l’animo coi suoi segreti, le  fragranze cremose pennellate nell’ atmosfera. La menta selvatica aveva il potere di darmi una leggera vertigine. Amavo la menta selvatica e chissà - mi chiedevo - se erano riusciti a trapiantarla anche nell’area del laboratorio, se le creature ne conoscessero il profumo, se anche loro venissero prese da quella dolcissima fitta dietro le orbite che si andava poi ad irradiare negli interstizi più intimi della Dura Madre e da lì in tutto l’organismo, come un anfetaminico sparato nelle vene. Inalai a pieni polmoni e accelerai il passo dove le conifere si infittivano a tal punto da negarmi la possibilità di osservare il cielo e le fluttuanti traiettorie dei suoi folletti vaporosi: quattro nuvolacce malevole non sarebbero riuscite a rovinarmi la giornata - giuravo a me stessa.

   La pianura cominciò intanto a degradare in un pendio leggero che pareva adoperarsi a fondo per fiaccare la mia tenacia. Ad ogni piè sospinto respiravo felicità purissima; mi sembrava di aver camminato a lungo, il pianeta nel frattempo doveva aver impiegato un quarto esatto del suo perenne ciclo attorno a se stesso. Nonostante la fiacca, le mie forze non davano segni di cedimento, ancora poche centinaia di passi e avrei avvistato il lato sud della grande recinzione metallica. Percepii le vibrazioni del bosco, il dolce ondeggiare delle felci giganti, il canto mite delle fronde e tante altre melodie che si conciliavano con gli echi di piccole bestiole laboriose. Quel posto mi pizzicava il cuore di emozioni e aveva il potere di farmi sentire bella, formicolante di desideri e curiosità. Nel bosco avevo tutto ciò che mi occorreva, nel suo grembo mi sembrava di tenere i sogni in una mano e i peggiori crucci si piegavano al cospetto di un ottimismo leggero. Nulla mi avrebbe portato a fondo, nell’abisso, dove le cose semplici si fanno oscure e impenetrabili: tutto insomma era a portata di mano e non v’era altro da fare che cogliere la vita e gioirne come un dono. Mi abbandonai alla dolce spinta del vento, contemplai la danza aggraziata delle foglie secche, le sentivo frusciare sulla punta delle orecchie, sulle spalle, sulle mani. Un tappeto di petali mi mostrava la strada. E finalmente raggiunsi il giardino proibito. Mi soffermai a perlustrare ogni particolare potesse tornare utile, un masso, un albero o un rovo amico che  mi avrebbe fornito la copertura giusta per  osservare senza esser osservata; poi mi decisi consumare un pasto frugale, mentre cesellavo nella memoria tutti i dettagli del paesaggio e dell’ostile barriera metallica. Pianificavo di  tornare al più presto, oltrepassarla e avere finalmente accesso ai luoghi interdetti della riserva.  

                                                                     §§§ 


  Non avevo ancora terminato di leggere questa lunga lettera quando  subito ne giunse una seconda, una terza ed una quarta, a poche decine di minuti di distanza l’una dall’altra. Raccolsi insieme tutte le pagine delle quattro e-mail inviate in sequenza, senza far caso al tempo che scorreva veloce su quel fiume di parole concitate, impressioni e lucide immagini di un passato emerso dalle nebbie più remote della memoria.

  Nelle successive comunicazioni Ohxen’im prese a raccontare di sé come di una adolescente. Descrisse inoltre con dovizia di particolari i tratti somatici di un giovane chiamato Coneh, con cui doveva esser stata in grande confidenza. Come mi aveva già riferito, questa figura amica non apparteneva alla sua infanzia, ma al tempo indefinito e sfuggente  del suo sé sognante. Riprese dunque il racconto dal giorno successivo in cui si era recata a ridosso delle recinzioni della riserva situata in un’estesa area collinare. 

 

  Il dì seguente mi levai molto tardi, indossai abiti freschi di lavatoio e calzai un paio di sandali vecchi e comodi, con le cuciture a vista oramai consunte, agguantai la sacca attaccata a un gancio sulla parete e, in un attimo, mi ritrovai a sgambettare verso l’istituto didattico rionale, uno dei due di Tarhar A’Ru. Un tempo se ne contavano più di venticinque. A metà strada incontrai Coneh, pareva alquanto seccato per il ritardo. Lo salutai senza fornire spiegazioni per l’orario insolito e senza accennare alla sera prima. Il portone dell’edificio era sbarrato e cominciammo a correre, poi lo tempestammo di pugni, urlacchiammo scuse scontate per motivare il ritardo, finché le ante si schiusero un poco e lasciarono intravedere mezzo corpo di un donna dall’aria irascibile: <<Dovete finirla con questo fracasso! A quest’ora non vi faccio entrare.>> La posizione delle sue braccia lanose non lasciava  adito a repliche.

   Desistetti levando gli occhi al cielo, poi guardai Coneh in una supplica di perdono. Dopo aver compreso che da quell‘accesso non sarebbe passato neppure un corrazzato della milizia, recitammo una coroncina di epiteti, e prima di allontanarci,  mandammo a farsi fottere il donnone scontroso e tutta l’istituzione formativa  scolastica. Trovammo presto un poggianatiche su cui trascorrere il tempo quando già la prima fase didattica della giornata era  andata a farsi benedire.

<<Quale strazio ci attende ancora? >> Feci a Coneh.

<<Non rammenti eh? Zucca vuota! Come farai a memorizzare le quindici tabelle video-didattiche del kher [Professor] Sholem?>>

<<Lasciami riprender fiato dannato saputello, crepo dalla fame.>>

<<Non hai mangiato niente prima di uscire di casa?>>

<<Magari ne avessi avuto  il tempo.>>

<<Ho portato con me delle buone focacce>> Disse Coneh. Consumammo in silenzio le poche fette di companatico e alcuni dolci di miglio. Subito dopo scoppiammo in una risata.

<<Ma sì…Chi se ne frega di quello zoticone di Sholem. Al diavolo lui e tutti i suoi indottrinamenti del cavolo!>> 

    <<Facciamo due passi?>>Propose, certo di trovare una facile approvazione. <<Ed ora sputa il rospo. Come è andata ieri sera? Li hai veduti?>>Mi chiese con impazienza . 

<<Mmh…Ho davvero troppa fame per riempirmi la bocca di sole parole. >>  E così dicendo mi  massaggiai lo stomaco. Con riluttanza lui cedette e mi offrì  le sue focacce.

 Le lezioni  trascorsero lente fino al segnale dell’intervallo, poi ci recammo alla mensa. Al termine dei masticamenti, ci attardammo a conversare dei futuri impegni, dei sogni irraggiungibili e dei rispettivi scampoli di tediosa routine familiare. Gli argomenti più banali fornivano un ottimo pretesto per stare insieme. A vederlo, questo affezionato compagno,  non differiva  poi  tanto da  altri coetanei, se non nella maniera in cui contemplava il mio profilo o nel tono di voce con cui cercava di attirare l' attenzione. Egli rappresentava per me tante cose piacevoli, come il divertimento o la complicità. Era a quel tempo un adolescente prestante, con  la zazzera birichina che si poggiava sui lineamenti del volto pulito. Se avessi per caso incespicato in quegli occhi scuri, resi più dolci dalla fiacca digestiva, avrei colto i versanti meno esposti della sua immaginazione. Ma non lo feci. Mai mi soffermai su quel respiro ruvido che trasudava emozioni pulite, o sul rossore d'imbarazzo con cui imprigionava i gesti più banali in un guscio di tenera goffaggine. Insomma non pensavo quasi mai a lui se non per farlo partecipe delle mie mascalzonate, soprattutto quelle che andavo progettando ad insaputa dei miei vecchi  e del mondo intero. Coneh non faceva parte né dell’una né dell’altro, non potevo quindi lasciarlo all’oscuro.

<<Un bel buco. Ecco che ci vuole! Dovremmo riuscire a scavare un passaggio in pochissimo  tempo e superare la recinzione. Ieri ho tracciato una mappa. Ce l’ho tutta qua dentro.>> Ammiccai, picchiettando il dito sulla tempia.

<< Ho individuato un accesso sicuro, lontano dagli occhi dei vigilanti. Il problema è  quella maledetta rete, piuttosto. Ho pensato che tornerebbe molto utile un’elettro-vanga.>> Coneh non avrebbe sperato in nulla di più facile per compiacermi. 

Con orgoglio si fece  carico dell’impegno.<< Me ne occupo io. Considerala cosa fatta.>>

<<Scaverei là sotto perfino con le unghie.>>Ammisi, con mimica esplicita. <<Rimane da decidere il tempo giusto per superare la recinzione.>>

Sorseggiai la mia bevanda quindi, con una fermezza che non andava cercando pareri,  esposi i miei piani:   

<<Ci muoveremo al sopraggiungere del vespro. A quell’ora l’intero settore sarà deserto, eccezion fatta per le ‘creature’ e qualche volatile insonne.>>

<<Già, non sarà difficile rintracciarle. Sappiamo che durante la notte si ritirano nei pressi del ruscello, nel quadrante ovest dell’area. Ah, se potessimo conoscere in anticipo la tabella dei controlli giornalieri.>> Disse sconsolato.

<<Roba non da poco.>> Aggiunsi.<< Lo studio sul campo non prevede pause perché i ricercatori devono registrare il maggior numero di informazioni possibili, ma io so che alla sera, almeno una volta ogni dieci aurore, l’intero settore viene presidiato da un piccolo drappello di addetti alla sicurezza. Non sospetteranno mai della nostra presenza. Dovrò comunque indagare a fondo: mio padre Khaled è sempre prodigo di chiarimenti e informazioni quando fingo di  interessarmi  al suo lavoro.>>

Coneh si sfregò le mani: <<Sarebbe un bel colpo avere certi ragguagli. Se avessimo modo di utilizzare gli specchi mimetici potremmo scoprire un mucchio di altre cose interessanti.>>

<<Puoi immaginarlo?>> Gli dissi. <<…Spiare quegli esseri quando si scambiano effusioni. O tenere fra le braccia i loro piccoli...Credi ce lo concederebbero?>>

<<Certamente. Appena si riprodurranno non ci faremo sfuggire l’occasione. E magari riusciremo perfino ad osservarli mentre si accoppiano.>> Coneh si rese conto del mio disagio, non aveva mai pensato di spiare le creature in un momento così intimo. Perché gli era scappato di bocca proprio ora?

   Le sue pupille incandescenti caddero sulle mie. Finsi indifferenza e cominciai a fissare un punto indefinito sulla parete, concentrando sull’ insignificante bersaglio ogni particolare mi tornasse in mente, cercando di prevenire eventuali intoppi o di escogitare il miglior percorso possibile una volta dentro la riserva. Apposta, il giorno prima, avevo speso molto tempo dietro quel cespuglio.

   L’oggetto che accendeva il nostro entusiasmo faceva parte del ceppo Mda 45, un genotipo di ultima generazione piuttosto sofisticato. Nessuno prima di lui era stato esaminato tanto a fondo in ogni specifica fase della crescita. Le procedure di collaudo avevano fornito dati incoraggianti. Con la loro progettazione, avvenuta molto tempo prima, si erano poste le basi sperimentali per il ripopolamento del pianeta e da questi tentativi aveva preso corpo la prima fase del Progetto della Rinascita, un disegno ambizioso ideato allo scopo di generare campioni altamente prolifici con cui far fronte alla piaga del calo demografico.

    La riduzione del tasso delle nascite si era verificata molte altre volte, ma non aveva creato squilibri tali da compromettere l’incremento della popolazione.    Improvvisamente,  all’alba  dell’ultima  era, quella  antecedente  al quinto  evento catastrofico planetario*, gran parte degli abitanti delle regioni più popolose del pianeta avevano cominciato a manifestare un declino di fertilità assai più critico che in passato. Al principio la genesi della super-specie era andata incontro a molte difficoltà tecniche, derivate per lo più da effetti collaterali successivi al processo di ibridazione indotta;  i primi esperimenti sulle razze potenzialmente compatibili avevano portato i ricercatori a conoscenza del fatto che, per via naturale, si sarebbero potuti generare solo individui sterili. Questo handicap aveva reso necessaria la cooperazione fra i migliori genetisti dell’Amadah e i medici chirurghi del ramo trapiantologico.  Attraverso  un   intervento   multidisciplinare  essi avrebbero tentato un primo innesto tissutale (di organi riproduttivi)  da  un  esemplare di  femmina fertile  a  uno  sterile, derivato  per l’appunto dall’ ibridazione. Lo scopo era quello di ottenere da un individuo infecondo, uno capace di accogliere in grembo un ovulo inseminato artificialmente e di portarlo a maturazione fino alla gestione completa della gravidanza.  Questi fatti erano noti a tutti in quanto negli ultimi tempi erano diventati una priorità per la martellante propaganda delle rappresentanze di governo.  

 

                                                                       §  §  §

  

   Quando terminai di leggere questa lunga sfilza di missive, erano le quattro e mezza del mattino. Mi preparai un robusto caffè e senza perdere un istante provai a focalizzare meglio alcuni dubbi lasciati insoluti nella  prima, frettolosa lettura. Rimasi incuriosito dalla figura del genitore della donna, dalla qualità del loro vincolo parentale. Avrei così potuto sapere qualcosa di più riguardo la sua famiglia di provenienza.

   Determinati elementi non si possono indagare in modo troppo palese, per non intaccare il carattere di necessaria spontaneità richiesto al paziente. Il mio ruolo non doveva dettare i tempi e non poteva determinare il solco della deposizione. Le scrissi allora poche indicazioni che lei sarebbe stata libera di seguire, oppure no.

 

 

                                                Gentile Ohxen’im,

  se la sente di parlarmi ancora di suo padre?

Vorrei comprendere meglio le  mansioni

e le  responsabilità del  suo importante

  impegno  scientifico


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Al termine di ognuno dei quattro cicli temporali precedenti  (della singola durata di circa 26.000 anni), una calamità di portata globale aveva provocato l’annientamento di gran parte delle aree abitate del pianeta, oltreché lo scompenso della sua ricchezza biologica e faunistica. Ma nei periodi successivi una spinta procreativa vigorosa e spontanea, aveva favorito il regolare ripopolamento. Ora che però cominciava a  prospettarsi una grave carenza di soggetti fecondi, nella coscienza popolare prese a diffondersi il timore di un possibile rischio di estinzione. In un tal contesto allarmistico non fu difficile indirizzare robusti finanziamenti verso una serie di proposte programmatiche dalle quali avrebbe avuto inizio la pianificazione di una ricerca  che si poneva come massimo e più urgente obiettivo la creazione di una specie ibrida in grado di manifestare migliori potenzialità riproduttive.



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martedì 11 maggio 2021

La Bibbia nelle considerazioni di un matematico (seconda parte)

  

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  Agli albori del terzo millennio può ritenersi colto un letterato che non ha mai sentito parlare del fenomeno della precessione degli equinozi? Può ritenersi credibile ? Oppure deve esser posto alla stregua di un intellettuale che non ha mai letto un solo capitolo della Bibbia?                                                       _________________________________________________________                                                         

   E-mail n° 2 (risponde il matematico, Professor P)

caro fabio, 

   l'indirizzo è corretto, ma temo di non aver nulla da dire su certi argomenti. come avrà capito dal mio "dibattito" con lui, biglino ed io abbiamo gli stessi "nemici" (coloro che leggono a bibbia alla maniera dei teologi e della chiesa), ma non gli stessi "amici" (coloro che combattono le assurdità dei "nemici" inventando altre altrettanto assurde).  

                        ____________

E-mail n° 3

  Caro Professore ,

  legga bene questo contributo come omaggio alla sua autorità:

http://profezieevangeliche.blogspot.com/2019/06/la-lista-dei-re-dei-regni-di-giuda-e.html

Poi mi dirà se un simile studio meriti di rimanere celato. E  rifletta su come si può perdere l'occasione di trarre facili profitti dal lavoro altrui. Troveremo altri intellettuali più svegli  di lei disposti a condividere l'autorialità del nostro saggio

  La gente ignorante prima nega una cosa;  poi la minimizza; infine decide che la sapeva già da tempo                                                       

                                                                                                         Alexander von Humboldt

                                                            _________________________

   E-mail n° 4

         caro fabio, interessante, ma la mia impressione è la stessa di quando ho letto (si fa per dire) i lavori di newton sulle "cronologie degli antichi regni": capisco che queste cose possano interessare a qualcuno (anzi, a molti), ma la mia domanda è: perché mai dovremmo preoccuparci delle cronologie di due piccoli regni di migliaia di anni fa, giuste o sbagliate che siano? solo perché stanno scritte nella bibbia? cos'ha la bibbia di speciale, rispetto alla letteratura mitopoietica di decine o centinaia di altri simili regni antichi? newton almeno una risposta ce l'aveva: sospettava che fosse sbagliata tutta la datazione antica. ma lei?

     a presto, e buoni calcoli!

                                                                       _________________________

 E-mail n° 5

 Caro e preg.mo Professor P ,

        della letteratura mitopoietica frega niente a nessuno e in quanto alla storia dei regni antichi se ne fa un gran dire ma, stringi strigi, nessuno si è mai preso la briga di leggerla. 

    Perché la Bibbia dovrebbe essere diversa da analoghi racconti mitici? (questa è la sua domanda)

 - Risposta: Perché è l'unica raccolta di testi alfabetici e cifrati, a contenere correlazioni (non-confutabili e molto precise) con la durata di fenomeni astronomici. E a ben vedere i numeri non sono stati mai alterati nel tempo, come il testo alfabetico. Ecco perché! 

  Mi dicono tuttavia che, ultimamente la CEI ha provveduto a farlo (basta avere una vecchia edizione e confrontarla con una recente. E' tutto vero! I numeri sono stati  cambiati per far tornare i conti apparentemente sballati!), incorrendo così nella celebre maledizione apocalittica: "...a chi vi aggiungerà qualcosa Dio farà cadere addosso i flagelli descritti in questo libro; e a chi  toglierà qualche parola a questo libro profetico  Dio lo priverà dell'albero della vita  e della città santa, descritti in questo libro".   (Ap Gv 22, 18-19.) Divertente eh? A leggere la cronaca di questi tempi, sembra pure vero. Tutankhamon o  Montezuma, in confronto, fanno tenerezza! 

                                                              La zuccheriera di Nonna Papera   


         
Tornando a noi aggiungerei che perfino il Pentateuco contiene misure molto precise ricavate da banali rapporti aritmetici. Banali, ma non intuitivi, a quanto sembra. Il criterio con cui sono stati criptati rappresenta il vero mistero, perché sono stati lasciati proprio sotto il nostro naso. A negarlo per partito preso,  si finisce per fare una brutta figura. Dopo la nostra chiara esposizione, come negare che le liste dei regni di G e I, se sommati correttamente, non contengano il numero 720?  Se quindi, queste ed altre  relazioni non contestabili come tali (cioè come risultato di operazioni aritmetiche) venissero descritte da un celebre intellettuale, anziché da un signor nessuno, con crede che potrebbero riscuotere una discreta popolarità? Perché, da buon specialista, non cerca conferme? E magari non accerta come sono state ottenute certe cifre, anziché, rompersi la carena del buon senso nelle secche di uno scetticismo irragionevole che, davvero, non si addice al suo carisma di asciutto ragionatore. Grazie comunque per l'incoraggiamento a proseguire i 'miei calcoli'. Devo però dire che lo sforzo è stato minimo, dacché appartengono a una matematica appannaggio di popolazioni vissute migliaia di anni fa. E' la modalità di decriptazione utilizzata, casomai, a destare stupore: questi eruditi ebrei, in fin dei conti, conoscevano la mente umana meglio della matematica, ecco perché dico che hanno racchiuso i loro segreti nella zuccheriera di Nonna Papera, in bella vista, e là sono rimasti tutto questo tempo.  



                             Spero così di aver soddisfatto la sua domanda.

                                                                _____________________

E-mail n° 6

caro fabio,

 grazie per l'apprezzamento. ma onestamente non riesco a capire l'interesse delle cronologie antiche, giuste o sbagliate che siano. se anche fosse vero che le cronologie dei regni di giuda e israele contengono il numero 720, e non ho motivo di negarlo, a chi potrebbe interessare? a me no di sicuro. La bibbia non vedeva al di là del proprio naso. ci sono gioielli di profondità in testi coevi di altri paesi, dalla grecia all'india alla mesopotamia. perché mai perdere tempo, con i numeri soprattutto, su un libro che credeva che il rapporto fra la circonferenza e il diametro di un cratere circolare fosse uguale a 3 (primo libro dei re, VII, 23-26; secondo libro delle cronache, IV, 2-5) ?  c'è di meglio al mondo, ma naturalmente ognuno ha i suoi gusti, ci mancherebbe. 

 a presto, e buonanotte ormai

                                                                      __________________ 

E-mail n° 7

 Caro P, voleva dire che i redattori biblici avrebbero dovuto scrivere che il cratere aveva una circonferenza di 31,4 cubitiCioè la loro conoscenza della matematica si potrebbe dedurre dalla precisione di questi rapporti? e' questo il concetto?

                                                                 __________________________

E-mail n° 8 (risponde Professor P)

Esatto!

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 E-mail n°9

Caro  P,

Tornando a bomba sui nostri ragionamenti, mi pare che c’eravamo interrotti su una delicata questione: Gli autori della Bibbia conoscevano la matematica?

   Lei sostiene di no, motivando questa possibilità col fatto che  ‘veri’ matematici avrebbero dovuto sviluppare la relazione circonferenza/diametro del cerchio nella sua forma completa (decimale quindi).  A questo giudizio un po’ categorico, vorrei controbattere indicando l’approssimazione più famosa della Bibbia, il 72*,  che nessun accademico metterebbe in discussione come misura della durata della trecentossessantesima parte di un ciclo precessionale. Molto strano che non ne compaia menzione nel suo bel libro (Testo che non posso citare per espressa volontà del Professore P). Preferisco credere nella sua malafede piuttosto che in una imperdonabile quanto improbabile disattenzione.  Nel caso da lei menzionato (della relazione fra circonferenza e diametro di un cerchio) nel libro 1Re e nelle Cronache, trattasi di evidente approssimazione, dovuta alla consuetudine di avvalersi di cifre tonde al posto di quelle decimali che proprio non si potevano utilizzare in una narrazione favolistica*. 

 * Il Mulino di Amleto, (Garzanti Ed.) è il miglior testo in circolazione sull’argomento.

                                                                            la prova

 Nessuno dubita, quindi, che gli antichi osservatori del cielo conoscessero il fenomeno precessionale e,  in via del tutto indiziale, appare persino inimmaginabile che sapessero calcolare certi fenomeni  cosmici e non l’esatta relazione fra circonferenza e diametro di un cerchio. Tuttavia vorrei ragionare in modo più rigoroso. Per dimostrare che conoscessero, fra le altre cose, la durata del ciclo precessionale, bisogna infatti trovare testimonianza scritta della  misura decimale riferita al 72.

E qui si pone un limite all’interpretazione delle nostre rispettive posizioni perché, dovrebbe riconoscerlo, se veramente le cifre decimali indicanti l’esatta misura dell’ approssimazione 72, fossero celate  nel testo biblico, la sua idea che vuole gli autori biblici piuttosto ‘ignoranti’ in fatto di matematica, non avrebbe più ragion d’essere. Non è concepibile infatti che padroneggiassero l’astronomia non sapessero calcolare un banale pi greco. Insomma, entrambe le ipotesi non potrebbero più convivere sotto lo stesso tetto !  Ne è persuaso Professor P?    

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E-mail n° 10

no, non sono persuaso. un popolo che non aveva nemmeno idea di come approssimare il pi greco, non poteva ovviamente calcolare il periodo della precessione degli equinozi. e non ci sono notizie di nessuna conoscenza matematica biblica più che elementare (sappiamo che contavano fino a due,   visto che ci sono due libri dei re e due cronache... ).  le ricordo che anche gli indiani scrivevano in quel periodo testi sacri, nei quali si trovano comunque fior di risultati matematici, anche a proposito del pi greco. idem per i babilonesi e gli egizi. uno scrive ciò che sa, e gli ebrei evidentemente non sapevano nulla di scientifico. e infatti, lei è costretto a fare salti mortali, al proposito. il libro di santillana non è per nulla scientifico. andava benissimo per un letterato come calvino, che comunque poi l'usava per scriverci le sue cosmicomiche, ma per il resto è una sopravvalutata e inconcludente divagazione filosofico-letteraria scritta da un dilettante, che era laureato in fisica, ma che insegnò sempre storia (e si vede).  la precessione degli equinozi è una scoperta di ipparco, che a differenza degli ebrei e di santillana era un serio scienziato, che sapeva cosa stava facendo, e soprattutto aveva i mezzi tecnici per trarne le dovute conclusioni.  in ogni caso, è inutile fare i salti mortali per trovare coincidenze numeriche nascoste in testi sacri che, nella migliore delle ipotesi, parlano per metafore, quando ci sono i lavori scientifici che parlano chiaramente    e precisamente.

                                                            ________________________

E-mail n° 11

 Sì, di matematica ne sapevano poco, infatti non risultano operazioni più complicate delle 4 cardinali.    Ma averle così ben celate indica una indubbia conoscenza della mente umana. Almeno questo, deve riconoscerlo! Pure Calvino non eccelleva in materie scientifiche, chi dice di no!  Ma non sono io a consacrarlo e smerciarlo nelle antologie didattiche. Rilevo solo quanto può esser stata influenzata la sua opera (tanto celebrata), mica i risultati scientifici dell’incontro con Santillana. Non è comunque di erudizione matematica che si cercavano conferme bibliche, ma di semplici numeri. Avendo già esposto il procedimento elementare ( dalle età dei patriarchi. ricorda?) con cui siamo risaliti alla misura (corrispondente a quella moderna) di 71,458333 anni, mi è sembrato non si possa negare che gli ebrei la conoscevano e che l’abbiano riportata esattamente altre volte nel Pentateuco (Forse non era farina del loro sacco, ma questo lo sta deducendo lei, visto che non si può  proprio negare l’avessero scritta) e non l’hanno fatto attraverso ‘salti mortali’ o una ricerca per combinazioni alla Drosnin (prima o poi qualche combinazione che ci soddisfa , si trova) , ma attraverso operazioni elementari, quindi intuitive.Io parlo di questo.  In effetti de Santillana non pone nessuna base scientifica, ma nel momento in cui si trovano queste correlazioni (che lei crede – illogicamente -  siano il frutto di complicate trame combinatorie) in maniera così semplice, quelle di Santillana diventano intuizioni e pure brillanti. Anche l’idea che in fondo attraverso l’osservazione si possa monitorare in molti anni ciò che la tecnologia permette di fare in poche ore, non credo sia campata per aria. Ripeto, non ci fossero queste cifre decimali tanto simili e ripetute, così da scongiurare la possibilità che siano casuali, non ci sarebbe nulla da obiettare, le sue osservazioni sarebbero pienamente condivisibili. Ma queste cifre rimangono là, identiche, nei testipiù antichi della Bibbia, ed allora qualche riflessione occorre farla, anche se non si ha tempo da perdere. E se questi numeri compaiono assai prima di Ipparco e le ragionevoli ipotesi operative  di Santillana non sarebbero credibili, quale opzione rimane in gioco? Gli alieni?                                                                                                                    Non capisco come possa  rifiutare l’idea dell’esistenza di queste cifre che non può né considerare casuali, né successive a Ipparco e neppure pensare che una semplice divisione aritmetica, per essere individuata, richieda ‘salti mortali’ (gliel’ho detto è stato abbastanza semplice ricavare il 71,4583333 dai censimenti del libro dei numeri e dal salmo 90.) Non crederà anche lei alla ‘pista aliena’? Mi dica di no, la scongiuro. Ma se lo nega, non può poi far finta che i numeri non siano dove li abbiamo trovati  e che nessuno ce  li abbia messi!

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giovedì 6 maggio 2021

La Bibbia nelle considerazioni di un matematico (prima parte)

 

Mi affaccio nuovamente su una delle questioni più importanti trattate e argomentate in questo blog, quella cioè della Bibbia e dei suoi contenuti cifrati.  Pochi giorni fa, un fugace scambio con uno stimato neurologo  (del quale manterrò per il momento l’anonimato),  mi ha riportato ad alcuni significativi passaggi della corrispondenza intrapresa con un'altra figura dotta, un matematico che, per sua espressa volontà,  chiamerò Professor P.                  In questo contributo ho voluto proporre le sue posizioni e soprattutto le sue convinzioni rispetto al valore e ai significati del testo biblico, che si sono rivelate del tutto sovrapponibili a quelle dello stimato medico  (Professor F), al quale inoltro l’invito a seguire il nostro dibattito nella speranza trovi buone ragioni per intervenire e, volendo, per rendere pubblica la sua identità. In caso contrario può naturalmente servirsi dell’anonimato con il  nickname che gli sembrerà più opportuno. L'operazione da me intrapresa in questo scambio 'a distanza', ambisce a un confronto essenziale, finalizzato alla ricerca di conferme, o di preziose smentite, che possano fornirmi l'occasione di rivedere, aggiustare o, piuttosto, estirpare di netto quanto da me/noi indagato e pazientemente riportato fra le pagine digitali di questo spazio.  

Ecco dunque i primi passaggi delle e-mail che - grazie   all’intercessione del   biblista ed esperto di ebraico antico Mauro Biglino - ci siamo ‘cortesemente’ scambiati col Professor P.

 Attenzione, la mediazione dello scrittore torinese non significa affatto che condivido il suo  pensiero rispetto ai temi di cui si è detto, verso il quale invece mi sono posto come acerrimo detrattore, palesando così la sua sincera disponibilità a seguire un dialogo evidentemente, per lui, non privo di interesse. Lode dunque, a Mauro Biglino, per la sua encomiabile cortesia. 

Ecco la prima comunicazione inviata al Professor P , di seguito le mie repliche.

1^ e-mail

Gent. Professor P,

   la ringrazio per la disponibilità e ringrazio anche lo scrittore Mauro Biglino che, nonostante l’evidente inconciliabilità delle nostre rispettive posizioni, ha deciso di aiutarmi, mostrando una delicatezza genuina e non comune. O forse, animato dalla sua proverbiale curiosità,  nutre anche lui un particolare interesse per certe tematiche. Chissà. I matematici da me interpellati,  hanno invece preferito schivare ogni confronto,  per  scarsa  dimestichezza  con la  materia devozionale,  si son affrettati a motivare; mentre dal pulpito opposto, quello dei teologi, l’indifferenza è stata perfino maggiore. A sentir parlare di ‘riscontri matematici’ anche questi ultimi, dunque, si son tirati pregiudizialmente indietro. Il Cardinale Gianfranco Ravasi, in una e-mail alquanto sbrigativa, ha definito le nostre analisi (senza nemmeno tirarci un’occhiata), ‘ipotesi fantasiose’, ignorando forse che la traccia iniziale che vuole i testi sacri depositari  di precisi contenuti scientifici, non proviene da un fesso qualsiasi, qual io posso essere, ma da un certo Giorgio De Santillana. Se questa è la profondità di pensiero del più alto rappresentante dell istituto della Pontificia Cultura, bisognerebbe davvero convincere il Capoccia a tirar via la Bibbia dalle mani dei pretiAdesso però, vorrei mettere da parte il mio sarcasmo spicciolo per catapultarla subito nel vivo della faccenda  compendiata nell’allegato che porta il suo nome  il cui contenuto è raccolto in questo breve articolo https://arteeordineanarchico.blogspot.com/2021/04/gli-anni-dei-patriarchi-antidiluviani.html  pubblicato pochi giorni fa su questo stesso sito.

                                                                                                                                 Illustrazione di fabio painnet blade


Continua con le risposta del matematico