domenica 13 febbraio 2022

Romanzo 2

 


 Non avevo ancora terminato di leggere questa lunga lettera quando  subito ne giunse una seconda, una terza ed una quarta, a poche decine di minuti di distanza l’una dall’altra. Raccolsi insieme tutte le pagine delle quattro comunicazioni inviate in sequenza, senza far caso al tempo che scorreva veloce su quel fiume di parole concitate, impressioni e lucide immagini di un passato emerso dalle nebbie più remote della memoria.  Nelle successive mail Ohxen’im prese a raccontare di sé come di una adolescente. Descrisse inoltre con dovizia di particolari, i tratti somatici di un giovane chiamato Coneh, con cui doveva esser stata in grande confidenza. Come mi aveva già riferito, questa figura amica non apparteneva alla sua infanzia, ma al tempo indefinito e sfuggente  del suo sé sognante. Riprese dunque il racconto dal giorno in cui si era recata a ridosso delle recinzioni della riserva situata in un’estesa area collinare.  

 E-mail n°3, n° 4, n° 5

  Il dì successivo  mi levai molto tardi, indossai abiti freschi di lavatoio e calzai un paio di sandali vecchi e, per il qual motivo, assai comodi, quindi agguantai la sacca appesa alla parete e, in un attimo, mi ritrovai a sgambettare verso l’istituto didattico rionale, uno dei due di Tarhar A’Ru. Un tempo se ne contavano più di venticinque nella sola area  urbana. All’epoca dei padri dei padri,  gli spiazzi aperti adibiti ad aree ricreative si tingevano dell’allegria vociante di  piccole creature della nostra specie; talune ancora costrette al dolce abbraccio materno, fra una poppata e una scarrozzata per i vialetti  inghirlandati di spensieratezza; ma tutto ciò riguardava l’infanzia dei nostri tutori genetici, non la nostra: era l’epoca della loro infanzia e di tante altre infanzie prima della loro, che non sarebbero tornate più, nel senso più cupo e realistico che si può intendere! Già la generazione precedente, mostrava in questi luoghi di gioioso trastullo puerile, i segni evidenti di un male, un primo preoccupante sintomo che non si rendeva manifesto in altro modo se non nella drastica riduzione della figliolanza e di quel potenziale meraviglioso, capace di infondere fiducia e prosperità a una civiltà, di ingravidarla di futuro e di gloriosi progetti. 

    La mia tutrice genetica, così si chiamavano le madri di sangue, mi avrebbe tenuto con sé fino  al termine del periodo puberale, poi le sarebbe succeduta una nuova ‘madre’, o tutrice istituzionale, che si sarebbe occupata della mia libera educazione, la scelta cioè di quel percorso nell'ambito delle arti liberali che avrebbe esacerbato le migliori potenzialità del mio essere pensante, al quale sarebbe seguito , in accordo con lo sviluppo di specifiche capacità, una ulteriore percorso  formativo della professione, durante il quale, stavolta, avrei appreso le tecniche di rilevazione, le conoscenze profonde della Natura con le sue leggi e i più intimi segreti della disciplina che si fosse rivelata più congeniale al mio carattere e al mio animo, ed alla fine avrei raggiunto, assieme ad altri, la maturità e le capacità necessarie per costituire, col miglior livello di specializzazione occupazionale, la spina dorsale produttiva  del paese che avrebbe magnificato nei secoli dei secoli la memoria della nostra stirpe. La mia tutrice genetica, Asherah, aveva tuttavia potuto beneficiare di un’età lieta in compagnia di numerosi fratelli e sorelle. In realtà meno, molti meno di quelli della generazione  precedente, cioè della propria tutrice. Io invece rimasi figlia unica, e già mi andò bene in confronto a quelle tante unioni che non generavano figli. Presa dalle malinconiche memorie di un mondo esistito solo nei racconti, non mi accorsi di Coneh che si era avvicinato da tergo senza che me ne avvedessi in tempo per salutarlo calorosamente, come usavo fare spesso. Lui, di sicuro, era arrivato prima e celava il suo disappunto per il ritardo con cui mi ero fatto viva quel giorno. Sapevo che il suo animo ordinato e preciso, soffriva  al presentarsi del più piccolo imprevisto.  Lo salutai senza fornire spiegazioni per l’orario insolito e senza accennare alla sera prima. Il portone dell’edificio per l’istruzione era sbarrato e cominciammo a correre, lo tempestammo di pugni urlacchiando scuse scontate mescolate a qualche malaparola, con un impeto screanzato che un donnone massiccio almeno quanto il portone dell’entrata principale, si affrettò a smorzare e lo fece con un tono inviperito e un avambraccio poderoso che mulinava nell’aria minacciosamente. Non conveniva davvero insistere, dunque,  scoraggiati dal presentimento che da quell'accesso non sarebbe passato nemmeno un corazzato della milizia d’ordine, andammo a sederci su un poggianatiche a poca distanza. Levai gli occhi al cielo, poi guardai il mio buon compagno in una supplica muta che valeva una esplicita richiesta di perdono. Quello annuì paziente, mentre recitava fra i denti una coroncina di epiteti coi quali, prima di allontanarci, mandammo a farsi sfottere il donnone scontroso e tutto l'avviamento formativo extra-scolastico (Era detto 'avviamento formativo extra-scolastico' quel ramo della formazione direttamente indirizzato all'apprendimento delle tecniche per lo svolgimento di un preciso compito e lavoro, finalizzato alla produzione di beni materiali, o servizi). Nel mio caso,  questo secondo stadio formativo riguardava il ramo della genetica, per il quale mi dimostrai, fina da bambina, estremamente recettiva. 

  Trovammo presto un posticino tranquillo in cui trascorrere il tempo: la prima fase didattica della giornata oramai, era andata a farsi benedire.

<<Quale strazio ci attende ancora? >> Feci a Coneh.

<<Non rammenti eh? Zucca vuota! Come farai a memorizzare le quindici tabelle video-didattiche del kher [Professor] Sholem?>>

<<Lasciami riprender fiato dannato saputello, crepo dalla fame.>>

<<Non hai mangiato niente prima di uscire di casa?>>

<<Magari ne avessi avuto  il tempo.>>

<<Ho portato con me delle buone focacce>> Disse Coneh. Consumammo in silenzio le poche fette di companatico e alcuni dolci di miglio per poi  scoppiare in una risata complice.

<<Ma sì…Chi se ne frega di quello zoticone di Sholem. Al diavolo lui e tutti i suoi indottrinamenti del cavolo!>> 

    <<Facciamo due passi?>>Propose lui, certo di trovare una facile approvazione. <<Ed ora sputa il rospo. Come è andata ieri sera? Li hai veduti?>>Mi chiese con impazienza . 

<<Mmh…Ho davvero troppa fame per riempirmi la bocca di sole parole.>>  E così dicendo mi  massaggiai lo stomaco. Con riluttanza lui cedette e mi offrì  le sue ultime focacce.

    Le lezioni  trascorsero lente fino al segnale dell’intervallo, dopo il quale potemmo recarci alla mensa. Al termine dei masticamenti, ci attardammo a conversare dei futuri impegni, dei sogni irraggiungibili e dei rispettivi scampoli di tediosa routine familiare. Gli argomenti più banali fornivano un ottimo pretesto per stare insieme. A vederlo, questo affezionato compagno,  non differiva  poi  tanto da  altri coetanei, se non nella maniera in cui contemplava il mio profilo o nel tono di voce con cui cercava la mia attenzione. Egli rappresentava per me tante cose piacevoli, come il divertimento o la complicità. Era a quel tempo un adolescente prestante, con  la zazzera birichina che si poggiava sui lineamenti dolci di un volto roseo. Se avessi per caso incespicato in quegli occhi scuri, resi più morbidi dalla fiacca digestiva, avrei colto i versanti meno esposti della sua immaginazione. Mi trattenni dal farlo. Mai mi soffermai sul respiro ruvido che trasudava emozioni pulite, o sul rossore con cui imprigionava i gesti più banali in un guscio di tenera goffaggine. Insomma, non pensavo quasi mai a lui, preferivo semmai farlo partecipe delle mie mascalzonate, soprattutto quelle che andavo progettando da tempo, ad insaputa dei miei vecchi  e del mondo intero. Coneh non faceva parte né dell’una né dell’altro, e quindi non l’avrei di certo  lasciato all’oscuro.

 <<Un bel buco. Ecco che ci vuole! Dovremmo riuscire a scavare un passaggio in pochissimo tempo e superare la recinzione. Ieri ho tracciato una mappa. Ce l’ho tutta qua dentro.>> Ammiccai, picchiettando il dito sulla tempia. <<Ho individuato un accesso sicuro, lontano dagli occhi dei sorveglianti. Il problema è quella maledetta rete, piuttosto. Ho pensato che tornerebbe molto utile un’elettro-vanga.>>

Coneh non avrebbe sperato in nulla di più facile per compiacermi e con fare baldanzoso  si fece carico dell’impegno.

<< Considerala cosa fatta.>>

<<Scaverei là sotto perfino  con le unghie.>> Ammisi, con una mimica esplicita .

  <<Rimane da decidere il tempo giusto per superare la recinzione.>>

   Dissi, mentre sorseggiavo la bevanda rimasta nel fondo del bicchiere, quindi, con una fermezza che non andava cercando pareri, esposi i miei piani.  

<<Ci muoveremo al sopraggiungere del vespro. A quell’ora vaste porzioni del settore saranno lasciate incustodite, nei dintorni non vi sarà anima viva, eccezion fatta per le ‘creature’ e qualche volatile insonne.>>

<<Bene, non sarà difficile rintracciarle. Sappiamo che durante la notte si ritirano nei pressi del ruscello, nel quadrante ovest dell’area. Ah, se potessimo conoscere in anticipo la tabella dei controlli giornalieri.>> Disse il giovane sconsolato.

<<Roba non da poco.>> Lo rassicurai.<< Lo studio sul campo non prevede pause perché i ricercatori devono registrare il maggior numero di informazioni possibili, ma io so che alla sera, almeno una volta ogni dieci aurore, l’intero settore viene presidiato da un piccolo, sonnolento drappello di addetti alla sicurezza. Non sospetteranno mai della nostra presenza. Dovrò comunque indagare a fondo: mio padre Khaled è sempre prodigo di chiarimenti quando fingo di  interessarmi  al suo lavoro.>>

<<Sarebbe un bel colpo avere certi ragguagli.>> Coneh si sfregò le mani.

<<Se avessimo modo di utilizzare gli specchi mimetici potremmo scoprire un mucchio di cose interessanti.>>

<<Puoi immaginarlo?>> Gli dissi. <<… spiare quegli esseri quando si scambiano effusioni. O tenere fra le braccia i loro piccoli...Credi ce lo concederebbero?>>

<<Certamente. Appena si riprodurranno non ci faremo sfuggire l’occasione. E magari riusciremo perfino ad osservarli mentre si accoppiano.>> Coneh si rese conto del mio disagio, non aveva mai pensato di spiare le creature in un momento così intimo. Perché gli era scappato di bocca proprio ora?

   Le sue pupille incandescenti caddero sulle mie. Finsi indifferenza e cominciai a fissare un punto indefinito sulla parete, concentrando sull’ insignificante bersaglio ogni particolare mi tornasse in mente, cercando di prevenire eventuali intoppi o di escogitare il miglior percorso possibile una volta dentro la riserva. Apposta, il giorno prima, avevo speso molto tempo dietro quel cespuglio

  L’oggetto che accendeva il nostro entusiasmo faceva parte del ceppo Mda 45, un genotipo di ultima generazione piuttosto sofisticato. Nessuno prima di lui era stato esaminato tanto a fondo in ogni specifica fase della crescita. Le procedure di collaudo avevano fornito dati incoraggianti. Con la loro progettazione, avvenuta molto tempo prima, si erano poste le basi sperimentali per il ripopolamento del pianeta. Da questi tentativi aveva preso corpo la prima fase del Progetto della Rinascita, un disegno ambizioso ideato allo scopo di generare campioni altamente prolifici con cui far fronte alla piaga del calo demografico. La riduzione del tasso delle nascite si era verificata molte altre volte, ma non aveva creato squilibri tali da compromettere l’incremento della popolazione. Improvvisamente,  all’alba  dell’ultima  era, quella  antecedente  al quinto vento catastrofico planetario*, gran parte degli abitanti delle regioni più popolose del pianeta avevano cominciato a manifestare un declino di fertilità assai più critico che in passato. Al principio la genesi della super-specie era andata incontro a molte difficoltà tecniche, derivate per lo più da effetti collaterali successivi al processo di ibridazione indotta;  i primi esperimenti sulle razze potenzialmente compatibili avevano portato i ricercatori a conoscenza del fatto che, per via naturale, si sarebbero potuti generare solo individui sterili. Questo handicap aveva reso necessaria la cooperazione fra i  migliori genetisti dell’Amadah e dei medici chirurghi  del ramo trapiantologico.  Attraverso  un   intervento   multidisciplinare  essi avrebbero  tentato un primo innesto tissutale (di organi riproduttivi)  da  un  esemplare di  femmina fertile  a  uno  sterile, derivato  per l’appunto dall’ ibridazione. Lo scopo era quello di ottenere, da un individuo infecondo, uno capace  di  accogliere  in  grembo  un  ovulo  inseminato  artificialmente  e di portarlo a maturazione fino alla gestione completa della gravidanza.  Questi fatti erano noti a tutti in quanto negli ultimi tempi erano diventati una priorità per la martellante propaganda delle rappresentanze di governo.  

 

*  Al termine di ognuno dei quattro cicli temporali precedenti  (della singola durata di circa 26.000 anni), una calamità di portata globale aveva provocato l’annientamento di gran parte delle aree abitate del pianeta, oltreché lo scompenso della sua ricchezza biologica e faunistica. Ma nei periodi successivi una spinta procreativa vigorosa e spontanea, aveva favorito il regolare ripopolamento. Ora che però cominciava a  prospettarsi una grave carenza di soggetti fecondi, nella coscienza popolare prese a diffondersi il timore di un possibile rischio di estinzione. In un tal contesto allarmistico non fu difficile indirizzare robusti finanziamenti verso una serie di proposte programmatiche dalle quali avrebbe avuto inizio la pianificazione di una ricerca  che si poneva come massimo e più urgente obiettivo la creazione di una specie ibrida in grado di manifestare migliori potenzialità riproduttive.

 

                                                                            §  §  §

   Quando terminai di leggere questa lunga sfilza di missive, erano le quattro e mezza del mattino. Mi preparai un robusto caffè e senza perdere un istante provai a focalizzare meglio alcuni dubbi lasciati insoluti nella  prima, frettolosa lettura. Rimasi incuriosito dalla figura del genitore della donna, dalla qualità del loro vincolo parentale. Avrei così potuto sapere qualcosa di più riguardo la sua famiglia di provenienza.  Determinati elementi non si possono indagare in modo troppo palese, per non intaccare il carattere di necessaria spontaneità richiesto al paziente. Il mio ruolo non doveva dettare i tempi e non poteva determinare il solco della deposizione. Le scrissi allora poche indicazioni che lei sarebbe stata libera di seguire, oppure no.

 “Gentile Ohxen’im,

se la sente di parlarmi ancora di suo padre? Vorrei comprendere meglio le  mansioni e le  responsabilità del  suo importante impegno  scientifico”

   La mia professione richiede tanta pazienza e ancor più riservatezza. E’ perfettamente naturale dunque, mantenere nei confronti delle persone il  riserbo più stretto; talvolta, come in questo caso, non mi identifico nemmeno con loro. Quando  scrivo infatti, lascio che sia una lettera dell‘alfabeto a rappresentare  la mia identità.  Devo dire che i casi clinici con cui ho a che fare sono davvero impegnativi e spesso mi obbligano ad utilizzare specifiche  tecniche di ipnosi regressiva, una pratica che non riscuote particolari simpatie, men che meno negli ambienti accademici, dove è ritenuta poco professionale, del tutto priva di fondamenti scientifici. ‘Fondamenti scientifici‘, che paroloni! Non ricordo più in quale rivista ho letto che un matematico inorridirebbe a sentirsi chiamare ‘scienziato‘ e persino uno scienziato, da parte sua, non reagirebbe diversamente se scambiato per ‘medico‘. Per dire che, anche dai rispettivi pulpiti, si hanno concezioni piuttosto ambivalenti riguardo il metodo scientifico propriamente detto. Insomma, io l‘ipnosi la pratico e nessuno finora si è mai lamentato. Non sono peraltro l’unico strizzacervelli a  farlo.  Come in tutte le terapie gli effetti collaterali non mancano. Cominciano infatti a essere numerose le sedute che destano in me molte perplessità, non tanto in merito all’efficacia dell’ipnosi regressiva – che reputo, a conti fatti , uno strumento valido per indagare a fondo la psiche – quanto alle realtà che emergono durante le sedute stesse, realtà che fanno da sfondo ai racconti riportati dai soggetti sotto ipnosi. Quando ricevetti i primi comunicati, fui quindi colto da pesanti interrogativi. Indagando la mente umana, non di rado mi imbatto in vicende che trovano riscontri attendibili nelle testimonianze storiche, magari non sempre in quelle ufficiali, questo no ma, come per il metodo scientifico, chi può pontificare che la verità risieda nei resoconti certificati dagli esperti piuttosto che in quelli apocrifi? Di un fatto sono tuttavia ero arcisicuro: lo stato ipnotico in cui cadono i pazienti impedisce loro di mentire.  Alle sei meno un quarto, quando oramai mi apprestavo a schiacciare un pisolino, tirai un’occhiata alla posta elettronica: la donna aveva scritto ancora come se, nel sonno, fosse stata ghermita da un instancabile impeto. Il caffè non fu più necessario, la curiosità sostituì l’effetto di almeno dieci dosi di caffeina ma la confusione nella mia testa non accennava a placarsi. Ohxen’im riprese senza indugi, come se non si fosse interrotta:

e-mail  n° 6, n°7.

Il lavoro e le intuizioni del mio amato genitore  Khaled El Bahi’r [Erudito e specialista di massimo livello delle caste sapienziali], avevano giocato un ruolo decisivo per il successo di siffatte ricerche.

  Il prototipo dalle eccezionali capacità riproduttive aveva creato una forte attesa nell’opinione pubblica e, qualora l’impianto tissutale previsto per la femmina avesse dato i frutti sperati, sarebbe venuto al mondo il primo esemplare della super-razza destinata a ripopolare il pianeta. Le genti amadahntine avrebbero potuto così sperare ancora di perpetuare nel tempo la purezza e la nobiltà delle origini della stirpe mihole, oscurate da un livido senso di rassegnazione. L’opportunità del riscatto cominciò così a farsi strada nelle coscienze afflitte. Si era calcolato che il potenziale di fecondità dei discendenti in linea retta dal primo Emmedià, sarebbe divenuto, in breve, almeno dieci volte superiore a quello dei suoi progenitori ( il quale era stato ottenuto in seguito a incroci di esemplari puri, minuziosamente scelti fra i più dotati della specie). Questo individuo avrebbe pertanto fornito il primo mattoncino genico attivo da impiantare nella femmina divenuta fertile. A conti fatti, si trattava di un vero e proprio azzardo sperimentale, poiché ad ogni fase si correva il rischio di invalidare i precedenti risultati. Nessuno quindi avrebbe potuto calcolare la percentuale di rischio di un mancato attecchimento. Ad ogni modo, in riferimento ai più recenti resoconti specialistici, i traguardi degli scienziati  sarebbero stati rapidamente raggiunti. Il loro ottimismo giunse a prevedere che perfino le qualità fisiche e intellettive dei futuri super-ibridi avrebbero toccato numeri da record assoluto. Entro poche generazioni essi sarebbero pertanto potuti esser confusi  con esemplari  mihole ed entro dieci -  in un tempo stimato di circa ottomilacinquecentosettantacinque anni - realizzare le attese per le quali erano stati generati. Dato però che, in futuro si sarebbero  allontanati  sempre di più dal ceppo primigenio (mihole), alcuni  studiosi  cominciarono a provare attenzioni  pervertite, specialmente quelli stranieri, sopraggiunti nel paese al seguito di esperti del ramo edile e poi invitati dal governo in carica ad affiancare il corpo di ricerca del Kher heb Kaled El Bahi’r. Dopo i primi tempi, essi cominciarono infatti a concepire e promuovere differenti modalità di impiego dei nuovi esemplari i quali, secondo insindacabili principi economici, si sarebbero potuti utilizzare come forza lavoro attiva. In pratica, già prima di ultimare la fase sperimentale, qualcuno aveva reclamato le garanzie del  futuro  profitto  e  tramava   dietro le  quinte  per garantirsi  l’ appoggio  dei governanti, col   beneplacito  dei   quali  varare  norme  per  i diritti  di sfruttamento dei prototipi. Diritto che, specie nelle province occidentali, si riteneva di poter e dover esercitare in virtù di una supposta superiorità razziale. 

 Questi   propositi  trapelarono però  solo  in  un  secondo  momento, quando cioè il rapporto di collaborazione fra gli scienziati dei due paesi (divisi da profonde differenze etiche, sociali e culturali) entrò in una fase di non-ritorno, ovverossia, quando per i ricercatori amadahntini  sarebbe stato impossibile rivedere i trattati di cooperazione ratificati coi governi delle regioni occidentali dell’Azihg.    

  Mi abituai così a parlare al riparo da orecchie indiscrete, specie quando mi lasciavo prendere  la mano da giudizi di sapore polemico. Il corpo docenti del  mio istituto, come negli altri presidi didattici di Tarhar a’Ru, era infatti diviso fra coloro che appoggiavano i programmi degli scienziati stranieri e quelli che li contestavano aspramente, questi ultimi erano anche i critici più agguerriti del governo; col sostegno  alle loro posizioni cresceva anche il timore di esser segnalati alle autorità. A me tuttavia,  importava soprattutto di tenere mio padre fuori da tali contese: già aveva le sue buone gatte da pelare e non avrei voluto di certo complicargli la vita. Egli mi aveva educato secondo un codice di  rispetto per la libertà e dignità individuale e l’idea di operare selezioni genetiche allo scopo di ottenere una razza da schiavizzare, offendeva la mia coscienza. Non mi pareva corretto nemmeno fare ciò che lui stava facendo, portare avanti cioè, quel dannato programma scientifico che si reggeva sullo smantellamento di equilibri naturali e sulla liberazione di forze sconosciute che avrebbero potuto scatenare dinamiche imprevedibili.

     La sessualità e il vigore procreativo dei prototipi ottenuti col programma chimico-genico erano notevolmente migliorati in seguito alla scoperta delle cosiddette ‘impronte incompatibili’, fattori studiati a lungo dall’equipe diretta da mio padre (il kher heb Khaled El Bahi’r), che aveva rivelato alla comunità scientifica e al mondo intero una realtà paradossale: due attitudini (alla conoscenza e alla procreazione) non potevano, in uno stesso individuo, essere mantenute alla pari. L’una escludeva l’altra in misura non prevedibile. Secondo quanto era stato studiato e verificato, le cure ormonali si sarebbero potute indirizzare al rinforzo di una declinazione genetica (provocando uno squilibrio in un senso o nell’altro), perdendo tuttavia la facoltà di controllo rispetto alle fasi del successivo sviluppo. In parole povere, se l’innesto genico avesse privilegiato le proprietà e le funzioni dell’intelletto si sarebbe dovuto rinunciare a quelle procreative e viceversa, se il derivato genetico avesse mantenuto forti attitudini riproduttive, difficilmente avrebbe beneficiato di spiccate doti cognitive. Questo fatto l’avevo ben compreso. Gli accesi dibattiti che animavano le lezioni di chimica organica e di fisiologia ormonale, erano infatti ancora vivi nella mia mente. In quelle discipline avevo conseguito ottime valutazioni e perfino un piccolo primato di resa scolastica nei confronti di Coneh e di tanti altri cervelloni suoi pari. E sì, era stata una bella soddisfazione prendermi gioco di lui, anche se nulla aveva il potere di divertirmi quanto l’imbarazzo acerbo che ne colorava le gote ogniqualvolta le nostre dissertazioni sconfinavano negli scoscesi pendii dell’erotismo adolescenziale. E non poteva farci nulla, il poveretto, per evitare  le mie villanie.  Mi capitava spesso di ripensare a quei periodi di frivola innocenza, specie il giorno in cui ricorreva l’anniversario della mia venuta al mondo. Coneh conosceva bene quella scadenza e per l’intero corso della giornata faceva in modo di non privarmi per un solo istante della sua compagnia. Farne menzione esplicita, tuttavia, o manifestare una qualsiasi forma celebrativa, non rientrava nelle consuetudini della nostra tradizione. Tradizione o meno, Coneh continuò a riservarmi l’omaggio di un partecipato segno commemorativo. Era inoltre particolarmente sensibile al mio interesse per gli esperimenti del laboratorio scientifico situato sulle colline rosse e della stravagante abitudine di far visita agli Emmedià. Gliene avevo fatto menzione molte volte: intraprendevo la marcia al primo mattino e percorrevo la foresta, poi quando finalmente giungevo  a ridosso della rete di protezione, mi accovacciavo ad aspettare, nella speranza di intravedere in lontananza il profilo della famosa creatura. Non pretendevo altro, anche se avessi dovuto attendere fino al tramonto. La sola  speranza di poter scorgere il giovane Mda 45, magari in compagnia della femmina che gli stava sempre accanto, aveva il potere di accendere una immensa gioia. Avevo descritto molte volte la creatura, conoscevo ogni particolare della sua bellezza selvaggia, benché l’avessi avvistata una sola volta, ma quella volta mi aveva procurato l’emozione più intensa di tutta la vita.


continua qui

 

5 commenti:

  1. Bastiano20:25:00

    m'incuriosisce e mi confonde. Ha qualche attinenza con il tema dei post?
    quando continua?

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  2. Sì certo. Vorrebbe riprendere molti argomenti della nostra ricerca. Non so come andrà .
    Proverò a pubblicare una puntata ogni sabato, max domenica mattina.
    Mi piacerebbe sapere cosa ti ha lasciato perplesso.

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  3. Bastiano05:42:00

    No, più che altro non capisco quando e dove si svolge il racconto. Oppure è fantasy allo stato puro?

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  4. Apprezzo tanto la scrittura quanto le illustrazioni. Complimenti!

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  5. Grazie a tutti. Ma non si tratta di genere fantastico.

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