Non avevo ancora terminato di leggere questa lunga lettera quando subito ne giunse una seconda, una terza ed una quarta, a poche decine di minuti di distanza l’una dall’altra. Raccolsi insieme tutte le pagine delle quattro comunicazioni inviate in sequenza, senza far caso al tempo che scorreva veloce su quel fiume di parole concitate, impressioni e lucide immagini di un passato emerso dalle nebbie più remote della memoria. Nelle successive mail Ohxen’im prese a raccontare di sé come di una adolescente. Descrisse inoltre con dovizia di particolari, i tratti somatici di un giovane chiamato Coneh, con cui doveva esser stata in grande confidenza. Come mi aveva già riferito, questa figura amica non apparteneva alla sua infanzia, ma al tempo indefinito e sfuggente del suo sé sognante. Riprese dunque il racconto dal giorno in cui si era recata a ridosso delle recinzioni della riserva situata in un’estesa area collinare.
E-mail n°3, n° 4, n° 5
Il dì successivo mi levai molto tardi, indossai abiti freschi di lavatoio e calzai un paio di sandali vecchi e, per il qual motivo, assai comodi, quindi agguantai la sacca appesa alla parete e, in un attimo, mi ritrovai a sgambettare verso l’istituto didattico rionale, uno dei due di Tarhar A’Ru. Un tempo se ne contavano più di venticinque nella sola area urbana. All’epoca dei padri dei padri, gli spiazzi aperti adibiti ad aree ricreative si tingevano dell’allegria vociante di piccole creature della nostra specie; talune ancora costrette al dolce abbraccio materno, fra una poppata e una scarrozzata per i vialetti inghirlandati di spensieratezza; ma tutto ciò riguardava l’infanzia dei nostri tutori genetici, non la nostra: era l’epoca della loro infanzia e di tante altre infanzie prima della loro, che non sarebbero tornate più, nel senso più cupo e realistico che si può intendere! Già la generazione precedente, mostrava in questi luoghi di gioioso trastullo puerile, i segni evidenti di un male, un primo preoccupante sintomo che non si rendeva manifesto in altro modo se non nella drastica riduzione della figliolanza e di quel potenziale meraviglioso, capace di infondere fiducia e prosperità a una civiltà, di ingravidarla di futuro e di gloriosi progetti.
La mia tutrice genetica, così si chiamavano le madri di sangue, mi avrebbe tenuto con sé fino al termine del periodo puberale, poi le sarebbe succeduta una nuova ‘madre’, o tutrice istituzionale, che si sarebbe occupata della mia libera educazione, la scelta cioè di quel percorso nell'ambito delle arti liberali che avrebbe esacerbato le migliori potenzialità del mio essere pensante, al quale sarebbe seguito , in accordo con lo sviluppo di specifiche capacità, una ulteriore percorso formativo della professione, durante il quale, stavolta, avrei appreso le tecniche di rilevazione, le conoscenze profonde della Natura con le sue leggi e i più intimi segreti della disciplina che si fosse rivelata più congeniale al mio carattere e al mio animo, ed alla fine avrei raggiunto, assieme ad altri, la maturità e le capacità necessarie per costituire, col miglior livello di specializzazione occupazionale, la spina dorsale produttiva del paese che avrebbe magnificato nei secoli dei secoli la memoria della nostra stirpe. La mia tutrice genetica, Asherah, aveva tuttavia potuto beneficiare di un’età lieta in compagnia di numerosi fratelli e sorelle. In realtà meno, molti meno di quelli della generazione precedente, cioè della propria tutrice. Io invece rimasi figlia unica, e già mi andò bene in confronto a quelle tante unioni che non generavano figli. Presa dalle malinconiche memorie di un mondo esistito solo nei racconti, non mi accorsi di Coneh che si era avvicinato da tergo senza che me ne avvedessi in tempo per salutarlo calorosamente, come usavo fare spesso. Lui, di sicuro, era arrivato prima e celava il suo disappunto per il ritardo con cui mi ero fatto viva quel giorno. Sapevo che il suo animo ordinato e preciso, soffriva al presentarsi del più piccolo imprevisto. Lo salutai senza fornire spiegazioni per l’orario insolito e senza accennare alla sera prima. Il portone dell’edificio per l’istruzione era sbarrato e cominciammo a correre, lo tempestammo di pugni urlacchiando scuse scontate mescolate a qualche malaparola, con un impeto screanzato che un donnone massiccio almeno quanto il portone dell’entrata principale, si affrettò a smorzare e lo fece con un tono inviperito e un avambraccio poderoso che mulinava nell’aria minacciosamente. Non conveniva davvero insistere, dunque, scoraggiati dal presentimento che da quell'accesso non sarebbe passato nemmeno un corazzato della milizia d’ordine, andammo a sederci su un poggianatiche a poca distanza. Levai gli occhi al cielo, poi guardai il mio buon compagno in una supplica muta che valeva una esplicita richiesta di perdono. Quello annuì paziente, mentre recitava fra i denti una coroncina di epiteti coi quali, prima di allontanarci, mandammo a farsi sfottere il donnone scontroso e tutto l'avviamento formativo extra-scolastico (Era detto 'avviamento formativo extra-scolastico' quel ramo della formazione direttamente indirizzato all'apprendimento delle tecniche per lo svolgimento di un preciso compito e lavoro, finalizzato alla produzione di beni materiali, o servizi). Nel mio caso, questo secondo stadio formativo riguardava il ramo della genetica, per il quale mi dimostrai, fina da bambina, estremamente recettiva.
Trovammo
presto un posticino tranquillo in cui trascorrere il tempo: la prima fase
didattica della giornata oramai, era andata a farsi benedire.
<<Quale strazio ci attende ancora?
>> Feci a Coneh.
<<Non rammenti eh? Zucca vuota! Come farai
a memorizzare le quindici tabelle video-didattiche del kher [Professor]
Sholem?>>
<<Lasciami riprender fiato dannato
saputello, crepo dalla fame.>>
<<Non hai mangiato niente prima di uscire
di casa?>>
<<Magari ne avessi avuto il
tempo.>>
<<Ho portato con me delle buone
focacce>> Disse Coneh. Consumammo in silenzio le poche fette di
companatico e alcuni dolci di miglio per poi
scoppiare in una risata complice.
<<Ma sì…Chi se ne frega di quello zoticone
di Sholem. Al diavolo lui e tutti i suoi indottrinamenti del
cavolo!>>
<<Facciamo due
passi?>>Propose lui, certo di trovare una facile approvazione. <<Ed
ora sputa il rospo. Come è andata ieri sera? Li hai veduti?>>Mi chiese
con impazienza .
<<Mmh…Ho davvero troppa fame per riempirmi
la bocca di sole parole.>> E così dicendo
mi massaggiai lo stomaco. Con riluttanza lui cedette e mi
offrì le sue ultime focacce.
Le lezioni trascorsero lente fino al segnale dell’intervallo,
dopo il quale potemmo recarci alla mensa. Al termine dei masticamenti, ci
attardammo a conversare dei futuri impegni, dei sogni irraggiungibili e dei
rispettivi scampoli di tediosa routine familiare. Gli argomenti più banali
fornivano un ottimo pretesto per stare insieme. A vederlo, questo affezionato
compagno, non differiva poi tanto
da altri coetanei, se non nella maniera in cui contemplava il mio
profilo o nel tono di voce con cui cercava la mia attenzione. Egli
rappresentava per me tante cose piacevoli, come il divertimento o la
complicità. Era a quel tempo un adolescente prestante, con la
zazzera birichina che si poggiava sui lineamenti dolci di un volto roseo. Se
avessi per caso incespicato in quegli occhi scuri, resi più morbidi dalla
fiacca digestiva, avrei colto i versanti meno esposti della sua immaginazione.
Mi trattenni dal farlo. Mai mi soffermai sul respiro ruvido che trasudava
emozioni pulite, o sul rossore con cui imprigionava i gesti più banali in un
guscio di tenera goffaggine. Insomma, non pensavo quasi mai a lui, preferivo
semmai farlo partecipe delle mie mascalzonate, soprattutto quelle che andavo
progettando da tempo, ad insaputa dei miei vecchi e del mondo
intero. Coneh non faceva parte né dell’una né dell’altro, e quindi non l’avrei
di certo lasciato all’oscuro.
<<Un bel buco. Ecco che ci vuole!
Dovremmo riuscire a scavare un passaggio in pochissimo tempo e superare la
recinzione. Ieri ho tracciato una mappa. Ce l’ho tutta qua dentro.>>
Ammiccai, picchiettando il dito sulla tempia. <<Ho individuato un accesso
sicuro, lontano dagli occhi dei sorveglianti. Il problema è quella maledetta
rete, piuttosto. Ho pensato che tornerebbe molto utile un’elettro-vanga.>>
Coneh non avrebbe sperato in nulla di più facile
per compiacermi e con fare baldanzoso si
fece carico dell’impegno.
<< Considerala cosa fatta.>>
<<Scaverei là sotto perfino con
le unghie.>> Ammisi, con una mimica esplicita .
<<Rimane da decidere il tempo
giusto per superare la recinzione.>>
Dissi, mentre sorseggiavo la
bevanda rimasta nel fondo del bicchiere, quindi, con una fermezza che non
andava cercando pareri, esposi i miei piani.
<<Ci muoveremo al sopraggiungere del
vespro. A quell’ora vaste porzioni del settore saranno lasciate incustodite,
nei dintorni non vi sarà anima viva, eccezion fatta per le ‘creature’ e qualche
volatile insonne.>>
<<Bene, non sarà difficile rintracciarle.
Sappiamo che durante la notte si ritirano nei pressi del ruscello, nel
quadrante ovest dell’area. Ah, se potessimo conoscere in anticipo la tabella
dei controlli giornalieri.>> Disse il giovane sconsolato.
<<Roba non da poco.>> Lo
rassicurai.<< Lo studio sul campo non prevede pause perché i ricercatori
devono registrare il maggior numero di informazioni possibili, ma io so che
alla sera, almeno una volta ogni dieci aurore, l’intero settore viene
presidiato da un piccolo, sonnolento drappello di addetti alla sicurezza. Non
sospetteranno mai della nostra presenza. Dovrò comunque indagare a fondo: mio
padre Khaled è sempre prodigo di chiarimenti quando fingo
di interessarmi al suo lavoro.>>
<<Sarebbe un bel colpo avere certi
ragguagli.>> Coneh si sfregò le mani.
<<Se avessimo modo di utilizzare gli specchi
mimetici potremmo scoprire un mucchio di cose interessanti.>>
<<Puoi immaginarlo?>> Gli dissi.
<<… spiare quegli esseri quando si scambiano effusioni. O tenere fra le
braccia i loro piccoli...Credi ce lo concederebbero?>>
<<Certamente. Appena si riprodurranno non
ci faremo sfuggire l’occasione. E magari riusciremo perfino ad osservarli
mentre si accoppiano.>> Coneh si rese conto del mio disagio, non aveva
mai pensato di spiare le creature in un momento così intimo. Perché gli era
scappato di bocca proprio ora?
Le sue pupille incandescenti caddero sulle mie. Finsi indifferenza e cominciai a fissare un punto indefinito sulla parete, concentrando sull’ insignificante bersaglio ogni particolare mi tornasse in mente, cercando di prevenire eventuali intoppi o di escogitare il miglior percorso possibile una volta dentro la riserva. Apposta, il giorno prima, avevo speso molto tempo dietro quel cespuglio
L’oggetto che accendeva il nostro entusiasmo faceva parte del ceppo Mda 45, un genotipo di ultima generazione piuttosto sofisticato. Nessuno prima di lui era stato esaminato tanto a fondo in ogni specifica fase della crescita. Le procedure di collaudo avevano fornito dati incoraggianti. Con la loro progettazione, avvenuta molto tempo prima, si erano poste le basi sperimentali per il ripopolamento del pianeta. Da questi tentativi aveva preso corpo la prima fase del Progetto della Rinascita, un disegno ambizioso ideato allo scopo di generare campioni altamente prolifici con cui far fronte alla piaga del calo demografico. La riduzione del tasso delle nascite si era verificata molte altre volte, ma non aveva creato squilibri tali da compromettere l’incremento della popolazione. Improvvisamente, all’alba dell’ultima era, quella antecedente al quinto vento catastrofico planetario*, gran parte degli abitanti delle regioni più popolose del pianeta avevano cominciato a manifestare un declino di fertilità assai più critico che in passato. Al principio la genesi della super-specie era andata incontro a molte difficoltà tecniche, derivate per lo più da effetti collaterali successivi al processo di ibridazione indotta; i primi esperimenti sulle razze potenzialmente compatibili avevano portato i ricercatori a conoscenza del fatto che, per via naturale, si sarebbero potuti generare solo individui sterili. Questo handicap aveva reso necessaria la cooperazione fra i migliori genetisti dell’Amadah e dei medici chirurghi del ramo trapiantologico. Attraverso un intervento multidisciplinare essi avrebbero tentato un primo innesto tissutale (di organi riproduttivi) da un esemplare di femmina fertile a uno sterile, derivato per l’appunto dall’ ibridazione. Lo scopo era quello di ottenere, da un individuo infecondo, uno capace di accogliere in grembo un ovulo inseminato artificialmente e di portarlo a maturazione fino alla gestione completa della gravidanza. Questi fatti erano noti a tutti in quanto negli ultimi tempi erano diventati una priorità per la martellante propaganda delle rappresentanze di governo.
* Al termine di ognuno dei quattro cicli temporali
precedenti (della singola durata di
circa 26.000 anni), una calamità di portata globale aveva provocato
l’annientamento di gran parte delle aree abitate del pianeta, oltreché lo
scompenso della sua ricchezza biologica e faunistica. Ma nei periodi successivi
una spinta procreativa vigorosa e spontanea, aveva favorito il regolare
ripopolamento. Ora che però cominciava a
prospettarsi una grave carenza di soggetti fecondi, nella coscienza
popolare prese a diffondersi il timore di un possibile rischio di estinzione.
In un tal contesto allarmistico non fu difficile indirizzare robusti
finanziamenti verso una serie di proposte programmatiche dalle quali avrebbe
avuto inizio la pianificazione di una ricerca
che si poneva come massimo e più urgente obiettivo la creazione di una specie
ibrida in grado di manifestare migliori potenzialità riproduttive.
Quando terminai di leggere questa lunga sfilza di missive, erano le quattro e mezza del mattino. Mi preparai un robusto caffè e senza perdere un istante provai a focalizzare meglio alcuni dubbi lasciati insoluti nella prima, frettolosa lettura. Rimasi incuriosito dalla figura del genitore della donna, dalla qualità del loro vincolo parentale. Avrei così potuto sapere qualcosa di più riguardo la sua famiglia di provenienza. Determinati elementi non si possono indagare in modo troppo palese, per non intaccare il carattere di necessaria spontaneità richiesto al paziente. Il mio ruolo non doveva dettare i tempi e non poteva determinare il solco della deposizione. Le scrissi allora poche indicazioni che lei sarebbe stata libera di seguire, oppure no.
“Gentile Ohxen’im,
se la sente di parlarmi ancora di suo padre? Vorrei comprendere meglio le mansioni e le responsabilità del suo importante impegno scientifico”
La mia professione richiede tanta pazienza e ancor più riservatezza. E’ perfettamente naturale dunque, mantenere nei confronti delle persone il riserbo più stretto; talvolta, come in questo caso, non mi identifico nemmeno con loro. Quando scrivo infatti, lascio che sia una lettera dell‘alfabeto a rappresentare la mia identità. Devo dire che i casi clinici con cui ho a che fare sono davvero impegnativi e spesso mi obbligano ad utilizzare specifiche tecniche di ipnosi regressiva, una pratica che non riscuote particolari simpatie, men che meno negli ambienti accademici, dove è ritenuta poco professionale, del tutto priva di fondamenti scientifici. ‘Fondamenti scientifici‘, che paroloni! Non ricordo più in quale rivista ho letto che un matematico inorridirebbe a sentirsi chiamare ‘scienziato‘ e persino uno scienziato, da parte sua, non reagirebbe diversamente se scambiato per ‘medico‘. Per dire che, anche dai rispettivi pulpiti, si hanno concezioni piuttosto ambivalenti riguardo il metodo scientifico propriamente detto. Insomma, io l‘ipnosi la pratico e nessuno finora si è mai lamentato. Non sono peraltro l’unico strizzacervelli a farlo. Come in tutte le terapie gli effetti collaterali non mancano. Cominciano infatti a essere numerose le sedute che destano in me molte perplessità, non tanto in merito all’efficacia dell’ipnosi regressiva – che reputo, a conti fatti , uno strumento valido per indagare a fondo la psiche – quanto alle realtà che emergono durante le sedute stesse, realtà che fanno da sfondo ai racconti riportati dai soggetti sotto ipnosi. Quando ricevetti i primi comunicati, fui quindi colto da pesanti interrogativi. Indagando la mente umana, non di rado mi imbatto in vicende che trovano riscontri attendibili nelle testimonianze storiche, magari non sempre in quelle ufficiali, questo no ma, come per il metodo scientifico, chi può pontificare che la verità risieda nei resoconti certificati dagli esperti piuttosto che in quelli apocrifi? Di un fatto sono tuttavia ero arcisicuro: lo stato ipnotico in cui cadono i pazienti impedisce loro di mentire. Alle sei meno un quarto, quando oramai mi apprestavo a schiacciare un pisolino, tirai un’occhiata alla posta elettronica: la donna aveva scritto ancora come se, nel sonno, fosse stata ghermita da un instancabile impeto. Il caffè non fu più necessario, la curiosità sostituì l’effetto di almeno dieci dosi di caffeina ma la confusione nella mia testa non accennava a placarsi. Ohxen’im riprese senza indugi, come se non si fosse interrotta:
e-mail n° 6, n°7.
Il lavoro e le intuizioni del mio amato genitore Khaled El Bahi’r [Erudito e specialista di massimo livello delle caste sapienziali], avevano giocato un ruolo decisivo per il successo di siffatte ricerche.
Il prototipo dalle eccezionali
capacità riproduttive aveva creato una forte attesa nell’opinione pubblica e,
qualora l’impianto tissutale previsto per la femmina avesse dato i frutti
sperati, sarebbe venuto al mondo il primo esemplare della super-razza destinata
a ripopolare il pianeta. Le genti amadahntine avrebbero potuto così sperare
ancora di perpetuare nel tempo la purezza e la nobiltà delle origini della
stirpe mihole, oscurate da un livido senso di rassegnazione. L’opportunità del
riscatto cominciò così a farsi strada nelle coscienze afflitte. Si era
calcolato che il potenziale di fecondità dei discendenti in linea retta dal
primo Emmedià, sarebbe divenuto, in breve, almeno dieci volte superiore a
quello dei suoi progenitori ( il quale era stato ottenuto in seguito a incroci
di esemplari puri, minuziosamente scelti fra i più dotati della specie). Questo
individuo avrebbe pertanto fornito il primo mattoncino genico attivo da
impiantare nella femmina divenuta fertile. A conti fatti, si trattava di un
vero e proprio azzardo sperimentale, poiché ad ogni fase si correva il rischio
di invalidare i precedenti risultati. Nessuno quindi avrebbe potuto calcolare
la percentuale di rischio di un mancato attecchimento. Ad ogni modo, in
riferimento ai più recenti resoconti specialistici, i traguardi degli
scienziati sarebbero stati rapidamente raggiunti. Il loro ottimismo
giunse a prevedere che perfino le qualità fisiche e intellettive dei futuri
super-ibridi avrebbero toccato numeri da record assoluto. Entro poche
generazioni essi sarebbero pertanto potuti esser confusi con
esemplari mihole ed entro dieci - in un tempo stimato di circa
ottomilacinquecentosettantacinque anni - realizzare le attese per le quali
erano stati generati. Dato però che, in futuro si sarebbero allontanati sempre
di più dal ceppo primigenio (mihole), alcuni studiosi
cominciarono a provare attenzioni pervertite, specialmente quelli
stranieri, sopraggiunti nel paese al seguito di esperti del ramo edile e poi
invitati dal governo in carica ad affiancare il corpo di ricerca del Kher heb
Kaled El Bahi’r. Dopo i primi tempi, essi cominciarono infatti a concepire e
promuovere differenti modalità di impiego dei nuovi esemplari i quali, secondo
insindacabili principi economici, si sarebbero potuti utilizzare come forza
lavoro attiva. In pratica, già prima di ultimare la fase sperimentale, qualcuno
aveva reclamato le garanzie del futuro profitto e
tramava dietro le quinte per garantirsi
l’ appoggio dei governanti, col beneplacito
dei quali varare norme per i diritti
di sfruttamento dei prototipi. Diritto che, specie nelle province
occidentali, si riteneva di poter e dover esercitare in virtù di una supposta
superiorità razziale.
Questi
propositi trapelarono però
solo in un secondo momento, quando cioè il
rapporto di collaborazione fra gli scienziati dei due paesi (divisi da profonde
differenze etiche, sociali e culturali) entrò in una fase di non-ritorno,
ovverossia, quando per i ricercatori amadahntini sarebbe stato
impossibile rivedere i trattati di cooperazione ratificati coi governi delle
regioni occidentali dell’Azihg.
Mi abituai così a parlare al riparo da orecchie indiscrete,
specie quando mi lasciavo prendere la mano da giudizi di sapore polemico.
Il corpo docenti del mio istituto, come negli altri presidi didattici di
Tarhar a’Ru, era infatti diviso fra coloro che appoggiavano i programmi degli
scienziati stranieri e quelli che li contestavano aspramente, questi ultimi
erano anche i critici più agguerriti del governo; col sostegno alle loro
posizioni cresceva anche il timore di esser segnalati alle autorità. A me
tuttavia, importava soprattutto di tenere mio padre fuori da tali
contese: già aveva le sue buone gatte da pelare e non avrei voluto di certo
complicargli la vita. Egli mi aveva educato secondo un codice di rispetto
per la libertà e dignità individuale e l’idea di operare selezioni genetiche
allo scopo di ottenere una razza da schiavizzare, offendeva la mia coscienza.
Non mi pareva corretto nemmeno fare ciò che lui stava facendo, portare avanti
cioè, quel dannato programma scientifico che si reggeva sullo smantellamento di
equilibri naturali e sulla liberazione di forze sconosciute che avrebbero
potuto scatenare dinamiche imprevedibili.
m'incuriosisce e mi confonde. Ha qualche attinenza con il tema dei post?
RispondiEliminaquando continua?
Sì certo. Vorrebbe riprendere molti argomenti della nostra ricerca. Non so come andrà .
RispondiEliminaProverò a pubblicare una puntata ogni sabato, max domenica mattina.
Mi piacerebbe sapere cosa ti ha lasciato perplesso.
No, più che altro non capisco quando e dove si svolge il racconto. Oppure è fantasy allo stato puro?
RispondiEliminaApprezzo tanto la scrittura quanto le illustrazioni. Complimenti!
RispondiEliminaGrazie a tutti. Ma non si tratta di genere fantastico.
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