venerdì 26 agosto 2022
giovedì 25 agosto 2022
Il Libro dei Numeri (Prima parte)
atzorifabio64@gmail.com
In questa seconda parte del nostro saggio cercheremo di addentrarci in maniera più decisa nell’intimo dei calcoli che ci hanno consentito di individuare il significato astronomico di alcune cifre ricorrenti, o i loro rapporti, affinché, attraverso il linguaggio di una matematica intuitiva e per nulla complicata (Come quella, d’altronde, che era appannaggio di popolazioni vissute molti secoli fa.), si potesse giungere alla comprensione di alcuni fenomeni, oltre che alla scoperta di misure di particolari ed importanti moti planetari quali: la rotazione della terra intorno al proprio asse, la durata delle ore di luce o di buio, le rotazioni della luna intorno alla terra, le sue eclissi totali o parziali. Non si tratta allora di spaziare con l’immaginazione nelle dinamiche più remote di cataclismi planetari avvenuti milioni, se non miliardi di anni fa (alludo nello specifico alle teorie sull’Enuma Elish e all’ interpretazione che è stata fatta da scrittori come Zecaria Sitchin, delle sue antiche e preziose tavolette), ma di indagare con un metodo efficace i movimenti delle stelle.
Ricorrendo alla congettura fine a sé, priva cioè di adeguate verifiche, i traduttori letterali
come Sitchin, hanno finito per farsi guidare della fantasia più
sfrenata, anziché dal rigore della scienza che, nella sua professione di
traduttore, non deve aver frequentato poi tanto. Le nostre indagini in
definitiva non fanno che confermare quanto e come, civiltà molto antiche si
occupassero più che altro del nostro sistema solare, in virtù di quanto
avessero potuto osservare negli ultimi cinque, seimila, o persino ventimila
anni.
Partiamo
perciò dalle relazioni numeriche (E dunque astronomiche) incontrate già nei
primi capitoli della Genesi. Siamo nell’ordine di quei reperti facenti parte
del Pentateuco e ritenuti dagli esperti (Non da noi!) fra i più antichi della
tradizione rabbinica. I ricercatori più ortodossi hanno attribuito questi primi
documenti al periodo mosaico, e possiamo giurare che essi abbiano presentato
validi argomenti a sostegno delle loro tesi, benché, da parte nostra, non
riteniamo di possedere gli strumenti adatti per suffragare eventuali
confutazioni.
Nei
successivi libri del vasto corpo biblico, fra quelli accettati dal
cattolicesimo, solo alcuni salmi (Fra i quali il Salmo 90,) possono vantare origini
lontane. Il Salmo 90, infatti, riporta un caso emblematico nel quale, dopo
aver sviluppato i termini dell’equazione criptata nel testo, siamo giunti ad
individuare (nella misura di ore solari) una precisa cifra corrispondente alla
durata del grado precessionale. Stiamo parlando della stessa, identica cifra
rilevata anche nel Libro dei Numeri (Che in Genesi diventa 71.4583333 anni
solari). Si tratta dunque di ben due casi, in Salmo 90 e Numeri, in cui vengono
nascoste nel testo identiche cifre che sembrano suggerire non vi sia modo alcuno di appellarsi alla
casualità del dato trascritto da redattori sapienti. Coloro che, nel nome di
una improponibile casualità, cercano di screditare il significato da noi
attribuito a quel preciso numero, rischiano di fare dunque, una meschina
figura! Non meno meschina di quella fatta fare da Charles Snow ai
superbi letterati dei suoi tempi. Per quelli che preferiscono ancor oggi dar
peso alle supposizioni dei dotti, piuttosto che alla verifica del metodo, le
nostre soluzioni possono esser viste come speculazioni opportunistiche, in
virtù delle quali, qualunque cifra avessimo individuato, sarebbe risultata
utile in una rappresentazione cosmica, visto che tante e varie sono le
misurazioni di spazi o tempi che si possono ricondurre alla rappresentazione di
un moto planetario.
Rifiutiamo decisamente questa scontata insinuazione di opportunismo
intellettuale, anzitutto per la ricorrenza di certi dati, e poi per la
precisione assoluta dei numeri (Non stiamo parlando di misure vagamente simili
fra loro, ma di cifre perfettamente sovrapponibili a quelle rilevate
attualmente con l’utilizzo dei migliori strumenti messi a disposizione dalla
tecnologia moderna). Nel caso del grado precessionale (Che è la
trecentosessantesima parte del ciclo della precessione degli equinozi), vorrei
ripetere ancora una volta che, secondo le nostre analisi, è stato rinvenuto
pressoché identico in almeno due libri della Bibbia. Appare dunque, a nostro
modesto avviso, di grande rilevanza la possibilità di un inserimento volontario
da parte dei redattori biblici e di un calcolo necessario alla quantificazione
di quei tempi che riguardano, in sostanza, la velocità del lento movimento di
rotazione giroscopica dell’asse terrestre. Ed allora, il suggerimento che
sentiamo di dover passare ai nostri detrattori, è quello di valutare bene,
prima di giudicare negativamente gli altri casi da noi segnalati, nei quali la
presenza di una specifica cifra appare un’evidenza, non un’eccezione fortuita.
Anticipiamo, a beneficio degli interessati, che i casi appena menzionati col
loro corredo di analisi, saranno descritti meglio nei prossimi passaggi di
questo lavoro.
Dopo aver analizzato in Genesi, la relazione fra la sommatoria delle età dei patriarchi antidiluviani e il numero 120 individuato nei pressi dello stesso capitolo, proveremo a sviluppare il calcolo che ci ha consentito di svelare una rilevazione molto simile, anche nel Libro dei Numeri; in questo testo vi sono rapporti che appaiono a primo acchito come semplici elenchi di persone, nella forma di censimenti della popolazione ebraica. Il Libro dei Numeri, quindi, mette insieme una serie di registri che riportano precisi conteggi di persone che non sarebbero da intendersi, in realtà, soltanto come esseri umani. Abbiamo così affrontato una serie di calcoli partendo dalla possibilità che tali cifre indicassero quantità temporali ben definite, nella fattispecie ore solari.
Così come abbiamo fatto in precedenza per il Libro di Daniele, che peraltro
ha riscosso un discreto numero di contatti da diverse parti del mondo (In
particolare, siamo stati seguiti dagli Stati Uniti, Dalla Russia e dalla
Francia, poi, in misura nettamente minore, anche dai Paesi Bassi dalla
Germania, dall’Ucraina, et al.), anche per il Libro dei Numeri, data l’alta
significatività delle cifre in esso riposte, abbiamo fatto in modo di
suddividere il materiale raccolto in due diversi paragrafi.
L’auspicio è quello di raccogliere quanti più lettori possibile, è quello di
stimolare riflessioni e considerazioni che ci consentano di affinare delle tesi
già abbastanza robuste, se non altro per l’importanza delle correlazioni
individuate. Se poi, dato il rientro dalla pausa estiva, queste nostre attese
si riveleranno corrette, se con questi nuovi articoli riusciremo a migliorare
quanto proposto con i post sulla profezia di Daniele, e sbalzare questi dalla graduatoria dei post
più consultati, potremmo dirci pienamente appagati per l’impegno intrapreso. Ringraziamo in anticipo coloro che
troveranno il tempo e la voglia di seguirci fino in fondo.
Il
Libro dei Numeri
La sorprendente corrispondenza ottenuta
dalla relazione fra la somma
dell’età dei patriarchi e la cifra 120, riportata in Genesi 6: 3-4,
dovrebbe bastare a convincere gli scettici più scettici, tuttavia se esistesse
ancora qualcuno in grado di sollevare dubbi, nel nome di un non meglio
precisato principio di casualità (per nascondere una più verosimile incapacità
di analisi), mi piacerebbe sottoporgli altre curiose corrispondenze da inserire
nel computo dei dati messi a nostra disposizione dagli sconosciuti, e soprattutto
competenti, autori biblici.
Per
l’occasione ho voluto rivisitare alcuni passi del Libro dei Numeri, nella
stesura del quale non è stato difficile notare l’adozione di un chiaro modello
codificato di tipo alfanumerico dal momento che tutto il testo è
contraddistinto dalla presenza di numerose cifre.
Nelle
versioni più conosciute, il Libro dei Numeri comincia col censimento del popolo
d’Israele. Nell’opera compaiono altri censimenti ed anzi ne occupano un
vasto spazio, ma ciò non sembra aver convinto
nessuno a prodigarsi nell’impegno di comprendere il motivo di tanta attenzione
per questi puntigliosi registri demografici. Ufficialmente, nelle righe di
prefazione, i traduttori anticipano che, in sostanza, l’intero corpo di scritti
è composto da un insieme eterogeneo di leggi e narrazioni, spesso vivaci e –
così mi è capitato di leggere – ‘…intense anche sotto il profilo teologico’. Il
Sinai è lo sfondo naturale che appare costantemente nei primi dieci capitoli :
esso è lo spartiacque che divide i due grandi versanti dell’itinerario nel
deserto verso la terra della libertà: dalla schiavitù d’Egitto all’intimità con
Dio al Sinai, dal Sinai all’orizzonte tanto atteso della terra promessa. I
traduttori si soffermano molto su aggettivi e descrizioni evocative, quasi a
voler sottolineare il carattere spirituale che impregna l’intero racconto; si
offre al lettore la rappresentazione di un momento molto importante perché
carico di attesa per la vigilia dell’ultima partenza prima dell’arrivo sulle
sponde del fiume Giordano, tappa finale del viaggio. Il libro disegna la marcia
con una sequenza di scene legate alle località attraversate e mescola
narrazioni suggestive con norme legislative e registri dal sapore più freddo,
meno coinvolgente. L’ultimo quarto del libro è ambientato nelle steppe del
Moab, dove il popolo in marcia incontra gli ultimi inconvenienti della lunga
peregrinazione. Anche qui, i traduttori pongono in risalto come gli ostacoli
siano soprattutto interiori, come lo è la tentazione verso i culti della
fertilità dei Madianiti che tuttavia non dovrà contaminare la purezza del
‘popolo di Dio’. Questo sembra essere un tema molto importante per il
redattore, che segna già nei primi paragrafi una serie di peccati da espiarsi
con una puntuale oblazione all’indirizzo del Signore Dio del popolo d’Israele.
Insomma, nonostante il vasto materiale letterario, sembra proprio che la questione dei numeri e delle cifre, a sentire il parere dei teologi, non abbia alcun significato, non riguardi nulla che valga la pena di esser ricordato o indagato più a fondo. Stramberie di questi ebrei fissati con la precisione delle carte, si dirà nei tempi a venire. Non per noi! Tanto per riprendere il testo dall’angolazione che più ci compete, ho subito riportato nella Tabella 2 A le cifre esatte della quantità di individui appartenuti alle dodici tribù di Israele; tali elenchi si potranno trovare, senza modifiche di sorta, in una qualunque versione della Bibbia masoretica, un volume praticamente immancabile nella libreria di ogni tipica famiglia europea.
Tab 2 A
________________________________________________________________
Orientamento nome
Uomini da 20 anni in su 1°
cens. 2° cens.
e ordine di tribù 1° cens 2° cens
marcia
------------------------------------------------------------------------------------------------
Sud Ruben Elisur 46500 43730
II linea
Simeone 59300 22200 151450 106430
Gad 45650 40500
________________________________________________
Est Giuda Nacason 64600 76500
I linea
Issacar 54400 64300 186400 201300
Zabulon 57400 60500
__________________________________________________
Ovest Efraim Elisama 40500 32500
III linea Manasse 32200 52700 108100 130800
Beniamino 35400 45600
__________________________________________________
Nord Dan Achiezer 62700 64400
IV linea Aser 41500 53400 157600 163200
Neftali 53400 45400
Nelle
colonne a destra della tabella abbiamo trascritto le sommatorie corrispondenti
al primo e al secondo censimento, nelle quali è annoverata la quantità
complessiva degli (uomini) israeliti. Nel capitolo in cui si parla della
disposizione delle tribù nell’accampamento israelita, non deve passare in
secondo piano la descrizione dell’ordine di marcia imposto alle tribù da
Yahweh. All’inizio, proprio nella prima linea,
viene menzionata la tribù di Giuda. Questa compagnia, formata in totale
da 186400 individui, si accamperà a oriente e sarà la prima a muoversi. La
seconda tribù citata sarà quella di Ruben, nella seconda linea, una compagnia
di ben 151450 individui che si accamperà a Sud e sarà la seconda a muoversi. La
terza tribù, sarà quella di Efraim,
nella terza linea. I censiti di questa tribù saranno 108100, che si
accamperanno a ovest e saranno i terzi a muoversi. L’ultima e quarta tribù sarà
quella di Dan, nella quarta linea di marcia. Questa tribù conta 157600
individui che si accamperanno a nord e saranno i quarti ed ultimi a muoversi.
La descrizione dell’esatta disposizione di marcia orientata sui quattro punti
cardinali, sembra seguire uno schema circolare. Se la prima tribù – Quella di
Giuda - rappresentasse la costellazione che all’equinozio di primavera di
quell’epoca presente nel cielo a Est prima del sorgere del sole, non faremmo
alcuna fatica ad associarla alla casa dell’Ariete. Di conseguenza, potremmo
identificare con la seconda tribù, la costellazione del solstizio estivo
(Capricorno), la terza quella dell’equinozio d’autunno (Bilancia) ed infine, la
quarta, potrebbe rappresentare la casa zodiacale presente nel cielo al
solstizio invernale prima dell’alba (Cancro). Questa disposizione potrebbe
perciò anticipare lo spostamento delle costellazioni in transito da est in senso orario, che ricalcano la traiettoria
ciclica della precessione degli equinozi, secondo una linea assolutamente
invisibile perché troppo lenta per esser percepita dall’occhio e dal cervello
umano. Tuttavia, lo schema della precessione è riproducibile graficamente (vedi
figura successiva del cielo notturno).
Analizziamo ora la ragione per cui il movimento delle case zodiacali non può essere quello, perfettamente visibile, del consueto cielo notturno. L’occhio umano percepisce infatti un movimento graduale delle costellazioni che vanno da est verso ovest ogni notte. Se l’autore del testo avesse voluto far riferimento a questo ciclo quotidiano, e quindi avesse voluto dire che la costellazione dell’Ariete si sposta da est verso ovest, perché mai avrebbe fatto corrispondere la somma finale con la cifra 603550? Crediamo cioè che il senso di marcia indicato dal testo possa essere quello della precessione perché, in caso contrario, non avrebbe alcun senso che la somma delle quattro rilevazioni fornisse il tempo della durata esatta del grado precessionale, che come detto è stato inizialmente calcolato in 70 anni, corretto successivamente col più preciso 71,5 anni..
Direzione precessionale del movimento del Capricorno E dell’Ariete : ß
Questo
dato tanto preciso ci permette di capire che l’autore stia raccontando le fasi
di un movimento legato alla precessione, il quale per esser rilevato avrebbe
richiesto (secondo il nostro parere) l’intervento di quattro eruditi della
casta sacerdotale, così da coprire il lasso di tempo necessario a registrare la
traiettoria degli astri in oltre settanta lunghi anni solari. Entro il proprio
periodo di osservazione, ciascun astronomo avrebbe poi suddiviso le quantità
dei tre sottogruppi fornendo, col consueto linguaggio mitico, altre tre misure
da sommarsi in sequenza per ottenere la somma finale. Una dinamica molto simile
è presente anche nel Libro di Daniele, nel quale si parla di un capro che,
letteralmente ‘rompe le corna’ al montone/ Ariete. In termini mitici, come poi
vedremo nell’analisi di quel libro biblico, il capro che muove verso l’Ariete
indica un senso di rotazione preciso: il capro/Capricorno si sovrappone, cioè
occupa il posto che precedentemente era dell’Ariete. Gli rompe le corna, quindi
sostituisce i due cicli precessionali che sono i Pesci e l’Acquario, l’uno più
lungo dell’altro, come specificato nelle righe del testo canonico (Ed anche
questa dismetria racchiude un forte simbolismo cosmico). Dunque, tornando al
Libro dei Numeri, se l’Ariete/Giuda si muove per primo andrà a puntare, dritto
dritto, in direzione del segno zodiacale occupato dalla quarta fila (Il Cancro)
ed a sua volta lascerà libero il posto all’equinozio pimaverile e con lo
sguardo rivolto a est, che verrà occupato dal Capricorno. Le costellazioni si
muovono nel cielo simultaneamente, ma per rispettare la narrazione favolistica
l’autore delinea un senso di marcia sequenziale: per prima si muoverà la tribù
di Giuda, per seconda la tribù di Ruben, e così via...L’ordine definito servirà
più che altro a rendere il racconto verosimile, secondo la natura dei
personaggi.
Nel
primo censimento sono pertanto
risultati, calcolatrice alla mano, 603.550 unità, come sommatoria
complessiva dei vari tempi indicati nel
primo censimento. Prima di soffermarci sul significato di questa cifra, occorre
specificare che, evidentemente, nel rispetto del ragionamento intrapreso, le
diverse quantità di individui (probabili misure temporali) sono calcolate in
successione, a partire dalla prima Giuda/Ariete. Se dunque, le 186400 unità
rappresentassero - in senso temporale - ore solari anziché uomini, esse
indicherebbero 7766,6666 giorni, a loro volta pari a 21,5740 anni. Non sappiamo
il motivo di questa scelta, la ragione cioè per la quale il conteggio si limiti a circa ventuno anni solari. Forse si tratta
del tempo in cui l’osservatore ha potuto rilevare e registrare il suo calcolo,
prima di morire. Forse no! La nostra è solo un’ipotesi! Da quel momento in
avanti, sempre secondo il nostro ragionamento, potrebbe essere entrato in gioco
il suo successore, che nel frattempo aveva pazientemente seguito lo spostamento
nel cielo notturno della seconda costellazione (Capricorno/Ruben). Dato il
carattere di successione con cui si è ottenuta la somma finale, dovremmo
ipotizzare che il lavoro di osservazione e registrazione di questo secondo
sacerdote (?) fosse durato dalla morte del suo predecessore alla sua e, quindi,
come indica il dato biblico, per la bellezza di 151450 ore solari, pari a
6310,4166 giorni, ovverosia 17,5289 anni.
Il lavoro
del secondo sacerdote, alla sua morte, sarebbe quindi stato seguito da un terzo
erudito, che avrebbe calibrato i suoi calcoli sul movimento della costellazione
della Bilancia/Efraim, ovvero la terza in linea di successione, partendo dalla
sua sede, a ovest. Dopo ventuno anni e diciassette anni, questo terzo
sacerdote-astronomo avrebbe proseguito le sue rilevazioni per le successive
108100 ore, dunque per 4504,1666 giorni corrispondenti a 12,5115 anni solari.
Il quarto astronomo succeduto agli altri tre, avrebbe a sua volta lavorato come
i suoi predecessori per 157500 ore, e quindi – sempre secondo il primo
censimento – per 6566,6666 giorni, che rappresentano la durata di 18,2407 anni.
Se, a questo punto, addizionassimo le sommatorie dei quattro eruditi che si
sono alternati nello studio del firmamento, otterremmo un valore prossimo al
grado precessionale, ovvero 69,8 anni.
Giuda - 186000 ore =
21,5740 anni +
Ruben - 151450 ore =
17,5289 anni +
Efraim - 108100 ore = 12,5115 anni +
Dan - 157600 ore = 18,2407 anni = 69, 8551 anni
Nel secondo censimento, lo stesso ragionamento matematico porterà inequivocabilmente alla somma ( Giuda, Ruben, Efraim, Dan)) di 71, 458 anni e questo dato ci ha fatto concludere che lo scopo del lavoro intrapreso dai quattro membri della (eventuale) casta sacerdotale, potrebbe esser stato quello di rappresentare favolisticamente in quantità di uomini, al posto delle ore, la durata di un grado precessionale. A nostro avviso quelle cifre non possono indicare altro che la durata del grado precessionale, così come lo avevano fino ad allora calcolato gli antichi astronomi israeliti. - continua
mercoledì 17 agosto 2022
Il grado precessionale
atzorifabio64@gmail.com
La trecentosessantesima parte del ciclo precessionale degli equinozi
Una volta
assimilata una certa familiarità con le concezioni del moto di oscillazione dell'asse terrestre, potremmo addentrarci entro analisi più precise rispetto alla
valutazione della sua millenaria durata.
Robert Bauval afferma che gli antichi Egizi possedevano precise conoscenze di questi fenomeni e, per quanto ci risulta, anche i Caldei non gli erano da meno. Ce ne giunge notizia ufficiale dagli studi di Ipparco da Nicea, il quale, in tutta probabilità, conferiva una durata esatta al fenomeno della precessione degli equinozi. Di queste misure in forma scritta non ci è giunto praticamente nulla, eccezion fatta per la citazione sull’Almagesto tolemaico, dal quale abbiamo dedotto, ma non verificato con certezza, il primato dell’astronomo greco. Secondo quanto esposto in precedenza, Ipparco da Nicea si rifaceva a studi che si attenevano al criterio del polo fisso dell' Eclittica. La durata dell’intero ciclo precessionale rilevata in questo modo sarebbe stata calcolata al giorno d'oggi nella misura di 25725 anni solari esatti, tuttavia, tenendo conto anche del movimento del Polo dell'Eclittica, il vero valore del periodo precessionale diverrebbe di 25784 anni solari medi, ovvero, più lungo di 59 anni. Una conseguenza di questo fatto è il cambiamento della posizione della stella polare durante il trascorrere dei millenni. La domanda che trova risposta nel libro della Genesi (esattamente in Genesi 5 e Genesi 6) sarebbe dunque la seguente: gli autori della Bibbia, o più precisamente gli Autori dei libri della Genesi, conoscevano il lento moto dell’asse terrestre che determina il movimento della stessa stella polare? La risposta potrebbe essere negativa, a meno di non voler considerare una data relazione come frutto del caso. Essi dunque, dati alla mano, conoscevano bene il fenomeno della precessione degli equinozi, ma evidentemente, non il lento movimento del polo dell’Eclittica (Abbiamo ipotizzato che i redattori biblici avessero cominciato a riportare dati correlati al fenomeno dell’ Obliquità dell’Eclittica nel Libro di Daniele) che, come detto - per compiere i loro calcoli - devono aver considerato fisso. Che conoscessero il fenomeno della precessione degli equinozi e che lo valutassero accuratamente nella misura di 25725 anni solari. è dimostrato dalla relazione 8575 / 120 , tratta da Genesi 5 ( Sommatoria età patriarchi = 8575 e Genesi 6; 3-4 = 120) che indica la durata esatta (anni 71,45833333. Anticamente i numeri decimali venivano riportati come rapporto di quantità finite) della trecentosessantesima parte del ciclo precessionale, lungo - come detto - 25725 anni.
La
relazione a cui ho fatto cenno, ben delineata nei numeri riportati in Genesi 5
e Genesi 6, ci induce a considerare, come misura conosciuta dagli antichi, la
quantità di 25725 anni solari. Questo numero, basato sul principio dell’
immobilità del polo dell’Eclittica (e non quello della sua variazione, scoperto
in tempi recenti e di cui però – a nostro avviso - risulta traccia nel Libro di
Daniele), indica che il criterio sia frutto dell’ingegnosità umana e non di
intelligenze aliene, le quali, muovendosi nello spazio, non avrebbero
certo potuto ignorare
la dinamica esatta
dei sopra citati
movimenti astrali. Pertanto, se le antiche civiltà avessero attinto le
loro evolute nozioni scientifiche oggi ritroveremmo nei reperti cifre e misure
già perfettamente sovrapponibili a quelle stimate con mezzi moderni. O dovremmo
credere che le civiltà extraterrestri non disponessero di dati aggiornati?
Ironia a
parte, teniamo a sottolineare e ribadire che, questo nostro lavoro porterà alla
luce elementi astronomici riconducibili con minime approssimazioni alle stime attuali e comunque, in riferimento
allo stesso fenomeno, i testi presentano varie valutazioni, non ripetono
costantemente le stesse, a dimostrazione che le sacre cifre fossero trascritte
di volta in volta affinché, attraverso i dati iniziali, si potessero operare
opportuni aggiustamenti. E questi, infatti, ci sono rimasti, sia in forma
scritta, quanto orale, ma sempre espresse nel linguaggio scientifico
dell’epoca, ovvero nel linguaggio del mito. Che piaccia o no, dobbiamo al
giorno d’oggi accettare l’idea che il calcolo degli antichi astronomi fosse
frutto delle loro conoscenze e non di entità
venute da chissà dove. Ben più difficile per il lettore poco
documentato, è di sicuro concepire e capire l’idea che il calcolo di simili
cicli temporali si sarebbero potuti
realizzare grazie alla competenza di solerti osservatori che si sono anzitutto
preoccupati di tenere dettagliati archivi di una minuziosa documentazione
tecnica.
In linea di
massima, per l’uomo moderno risulta piuttosto complicato, se non impossibile,
immaginare che in epoche tanto remote semplici uomini sapessero seguire lo
spostamento impercettibile di una costellazione, o di un pianeta. Se pensiamo al
fenomeno della precessione
degli equinozi e
alla sua durata (stimata nella misura di quasi ventiseimila anni solari), in
molti, fra studiosi e astronomi, danno per scontato che nei tempi antichi
nessuno avrebbe avuto i mezzi per scoprirlo prima del 127 AC. In sostanza,
anche gli ‘esperti’ del nostro secolo, quasi all’unanimità, concordano fra loro
nell’affermare che, per registrare con precisione un movimento così lento, ed
oltretutto nel corso di poche decine di anni, sarebbero necessari strumenti
estremamente sofisticati, completamente sconosciuti invece agli antichi
astronomi. Questa semplice posizione, spesso sostenuta da esimi cattedratici, ha dato adito
alle ipotesi più svariate sulla
possibilità di ingerenza aliena sul
nostro pianeta poiché - secondo
molti - soltanto attraverso la trasmissione diretta di informazioni, le antiche
civiltà degli umani avrebbero potuto registrare con precisione simili misurazioni
astronomiche. Sappiamo che oggi questa convinzione, con tutti i suoi limiti
scientifici, fertilizza e incentiva un commercio editoriale assai redditizio,
quindi non deve stupire la messa al bando dei testi e delle idee di Giorgio de
Santillana, uno dei primi ad affermare la possibilità che calcoli e misure
scoperte dagli antichi studiosi dei cieli, fossero da attribuire alla semplice
capacità di osservare i moti delle stelle, a patto che gli osservatori in
questione fossero stati in grado, non solo di tenere dati e misure in memoria,
ma anche di preservarle da possibili tentativi di occultamento.
La vera
abilità andrebbe, a mio avviso, cercata proprio nelle tecniche di criptazione
adottate e non tanto nella qualità dell’osservazione, la quale non sembra, in realtà, complicata. Essa si
fondava anzitutto sulla individuazione del punto in cui avveniva la levata
eliaca di un astro, elemento fondamentale dell’astronomia babilonese, e
necessitava del riferimento fisso rappresentato dalla linea dell’orizzonte (il
‘telescopio’ degli antichi); se quindi ci si accorgeva che una certa stella,
solitamente presente all’alba equinoziale, non era più visibile in quel dato
giorno dell’anno perché in pratica si spostava, significava che gli
‘ingranaggi’ del cielo si erano spostati, ovvero, che la terra non girasse
soltanto attorno al proprio asse ma che vibrasse impercettibilmente anche in
altro modo. Se, quindi, questa stella apparteneva ad una configurazione
zodiacale voleva dire che il sole equinoziale stava lentamente ‘entrando’ in
un’altra figura. Ciò suggerisce che nell’ antichità, ad un certo punto,
divennero ben consapevoli dello spostamento della stella polare e che, perciò,
le civiltà dotate di tali conoscenze, fossero
già perfettamente capaci di mettere
in relazione i diversi movimenti oscillatori del nostro pianeta. Su questo
punto gli specialisti moderni sono entrati
in gran confusione. Per Giorgio de Santillana invece, pare plausibile
che gli antichi fossero in grado di
descrivere con un linguaggio tecnico simile al nostro, cose tanto complicate, e
pare probabile che essi potessero registrare ciò che vedevano, adoperando per
l’occasione un linguaggio specifico assai differente dal nostro. Fermo restando
ciò, possiamo ipotizzare che in un arco temporale di quasi mille anni, gli
antichi osservatori del cielo fossero riusciti a distinguere un moto che copre
un angolo di dieci gradi, individuando, nel quotidiano ruotare del cielo
intorno al polo, una serie di fenomeni e soprattutto una zona contrassegnata
dal ‘cono giroscopico descritto dal movimento lentissimo precessionale,
chiamato ‘buco nero’, che non fa riferimento ad alcuna stella, come avviene per
l’asse di rotazione terrestre ma, rispetto a quest’ultimo moto, è considerato
assai più stabile. Nella loro mente presero forma allora le simmetrie
meccaniche, la macchina del tempo o, come diceva Platone l’ ‘immagine mobile
dell’eternità’. Questa macchina del tempo poteva quindi essere contrassegnata
da stazioni importanti per effetto dello spostamento continuo dell’equatore
celeste causato dal moto giroscopico. Le due circonferenze delimitate dallo
spostamento dell’equatore celeste, si intersecano dunque in due punti opposti,
detti equinoziali, i punti cioè in cui sorge il sole nei due equinozi annuali.
Il sole percorrendo l’eclittica nel corso dell’anno, incontra l’equatore
celeste in un punto che col passare degli anni si sposta lungo la fascia dei
segni zodiacali. Il fenomeno così descritto da Giorgio de Santillana ( Il mulino di Amleto – Adelphi Editore)
è chiamato quindi ‘precessione’, perché i segni zodiacali, per un effetto
ottico conseguente alla prospettiva terrestre, sembrano spostarsi in senso
contrario a quello del sole, ciascuno anticipando la posizione precedente
rispetto al moto eliaco (frutto anch’esso di un’analoga illusione ottica dovuto
alla rotazione della terra). La moderna concezione scientifica in seguito, ha
spogliato il fenomeno della precessione dai suoi grandiosi e antichi
significati, riducendola a una questione di poco conto. E’ bene sapere
tuttavia, che in passato le cosa erano viste diversamente, non solo i moti
delle stelle (in realtà dell’asse terrestre) erano ritenuti importanti, ma ci
si poneva anche lo scrupolo di tramandarli alle generazioni successive, per
questo motivo li si concepì, non come incomprensibili strutture celesti (come
si fa oggi, dove occorrono specialisti del ramo per capire certe formule), ma
nella forma di poemi che, attraverso un linguaggio perfettamente accessibile
alla gente comune, narrassero cicli di regni e di sovrani, storie di uomini e
di dèi impegnati nella sempiterna lotta per la successione.
Ma veniamo
al calcolo aritmetico propriamente
detto. Nella Bibbia masoretica
(ma anche nelle altre), la somma delle età dei discendenti adamitici, Noè
incluso, è uguale a 8575 anni. Se però andassimo a leggere un po’ più avanti,
Genesi 6; 3-4 , troveremmo immediatamente l’altra cifra della relazione che ci
riporta al numero indicato nei Testi. Genesi 6, 3: “Allora il Signore disse: il mio spirito non resterà
sempre nell’uomo, perché egli è carne e la sua vita sarà di centoventi anni.”
Il numero da dividere alla somma delle età dei patriarchi antidiluviani è
allora il centoventi (8575:120=71,458333…) e il risultato di questo rapporto moltiplicato
per 360 (gradi) ci fornirà con estrema precisione il valore di 25725 anni (e
non 25784 anni). Ciò basta, e avanza, per dimostrare quanto affermato in
precedenza.
L’ignoranza
degli umanisti
Charles
Percy Snow, nel sul libello ‘Le
due culture’, denunciava un grave handicap della cultura occidentale.
Egli sottolineava in senso critico
l’antagonismo fra intellettuali
umanisti e ‘scientisti’, ciascuno
dei quali riteneva (sbagliando) che il proprio indirizzo costituisse la
‘totalità’ della cultura. Egli racconta del saccente sarcasmo degli
intellettuali di formazione
umanista, verso quegli scienziati
che non avevano mai letto opere fondamentali della letteratura inglese.
Essi venivano liquidati come ‘perfetti ignoranti’. Charles Snow,
sentendo forse di far parte di questi ultimi, sosteneva invece che l’ignoranza
dei letterati di stampo umanista non fosse meno sorprendente. Così scrive ne Le due culture (C. P.Snow,.
Marsilio editore 2005): “...un paio di
volte mi sono indignato e ho chiesto alla compagnia (di letterati umanisti)
quanti di loro se la sentivano di spiegare cosa fosse la seconda legge della
termodinamica. La risposta era fredda ed altresì, negativa. Eppure chiedevo
qualcosa che è l’equivalente di ‘avete mai letto un’opera di Shakespeare?’.
Credo che se avessi fatto una domanda ancor più semplice – per esempio: ‘che cosa sapete della massa e
dell’accelerazione?’ Che è l’equivalente dell’affermazione: ‘Sapete
leggere?’ non più di una su dieci, di quelle persone (che si reputava)
di elevata cultura mi avrebbe saputo rispondere. Compresi che la maggioranza
delle persone (che si reputano) più intelligenti del mondo occidentale
capiscono di scienza quanto un loro antenato dell’età neolitica”.
Charles
Snow in pratica riteneva un intellettuale che non conosce
Shakespeare al pari di
uno che non conosce il secondo principio della termodinamica.
In virtù di quanto affermato in precedenza, in senso fortemente provocatorio,
mi domando io: agli albori del terzo millennio può ritenersi colto un letterato
che non ha mai sentito parlare del fenomeno della precessione degli equinozi? Può ritenersi credibile? Oppure deve
esser posto alla stregua di un intellettuale che non ha mai letto un
solo capitolo della Bibbia? La luna e la terra, col suo ciclo precessionale o
con quello di rivoluzione intorno al proprio asse e intorno al sole,
rappresentavano fenomeni molto importanti per le antiche civiltà, nulla di
strano dunque che i nostri antenati intendessero studiarne e descriverne i
moti; non deve sorprendere pertanto che avessero imparato a suddividere e
calcolare i loro movimenti in virtù dello spostamento (angolare) degli astri.
Dobbiamo credere allora che essi conoscessero bene la corrispondenza temporale
di un grado rispetto al ciclo precessionale, al moto di rivoluzione della terra
intorno al sole o persino a quello della luna intorno alla terra, la durata
cioè di un trecentosessantesimo di un anno o di una lunazione.
Nella
tabella inserita poco più avanti, (tab
01), abbiamo contrassegnato sotto la lettera M la durata di un ciclo lunare,
pari a 28 giorni solari; sotto la colonna contrassegnata dalla lettere D
abbiamo indicato la durata del ciclo precessionale degli equinozi.che risulta
uguale a 27.725 anni solari; sotto la lettera A abbiamo invece definito il
ciclo della rotazione terrestre della durata di 24 ore solari; sotto la colonna
non segnata da alcuna lettera (La prima colonna da destra) abbiamo infine
voluto indicare il ciclo di rotazione della terra intorno al sole, della durata
di un anno solare. Essendo cicli, essi vanno considerati, in senso spaziale,
secondo il loro valore angolare e quindi, proprio come un angolo, ognuno di
essi può essere scomposto in trecentosessanta porzioni.
Possiamo
ricavare dalla la misura temporale di ciascun grado d’arco a seconda che esso
appartenga rispettivamente (Leggere nella tabella, da sinistra a destra) al
ciclo orbitale della luna, al ciclo precessionale, al ciclo di rotazione
terrestre e all’orbita della terra intorno al sole (Ultima colonna). A questo
punto appare chiaro come ogni trecentosessantesimo rappresenti, secondo il
ciclo di riferimento, un lasso di tempo diverso. Convenzionalmente, e cioè
secondo il criterio che ci siamo imposti di seguire in piena sintonia con le
ragioni di Giorgio de Santillana, la misura di un grado d’arco verrà intesa
come ‘giorno’, a prescindere dal significato del giorno solare propriamente
detto. Un giorno precessionale sarà dunque da intendersi come la
trecentosessantesima parte del ciclo precessionale , e così via, secondo logica
appena esposta. Il metodo, in sostanza, verrà applicato nelle indagini che
riguardano i successivi passi della Bibbia, cosicché, ad esempio, quando nel
Libro di Daniele si parla di 1290 ‘giorni’, noi valuteremo questa cifra in
chiave precessionale con l’applicazione di un calcolo che prevede la durata di
circa 72 anni per ogni ‘giorno’, da cui se ne ricava che la corrispondenza su
scala solare di 1290 giorni sarà di 92.880 anni (1290 x 72).