lunedì 30 giugno 2025

Senza giardinieri non c'è Natura

 dedichiamo questo post all'articolo pubblicato il 23 Giugno 2025 su NAZIONE INDIANA, 

dal titolo 'Sull'avvenire intelligente delle nostre scuole'. Il contributo di Giorgio Mascitelli ci ha incuriosito soprattutto per l'uso che si fa di Platone. Non è l'articolista ad attribuire determinati significati alle parole del filosofo ateniese. tuttavia il suo commento indiretto, lascia pienamente percorribili i significati , a nostro avviso fuorvianti, impressi dall'interprete occasionale di Platone, che il Mascitelli propone ai lettori come  ' Uno dei topos degli innovatori tecnologici della scuola', cioè come un leit-motiv, un innocuo luogo comune usato come trampolino di lancio dell'innovazione tout court, salvo poi non commentare adeguatamente quanto di implicito rimaneva nel messaggio conchiuso nel topoi in questione, ovvero l'identificazione della memoria come un attributo, quasi sostitutivo dell'intelligenza. Che il cuore, il sunto più significativo della vasta opera di PLatone, sia ignorato tanto dai lettori (come verificabile da commentario del post di NI) quanto dal Mascitelli,  lo mostra chiaramente il seguente scambio di battute fra l'autore e il gentile lettore Domenico : 

- L’intelligenza artificiale puo’ essere un valido aiuto a scuola specialmente per quelle operazioni che richiedono calcoli complessi con procedure che richiedono calcoli di integrali  e derivate , seno e coseno e tangenti. Possono semplificare di gran lunga le operazioni , ma cio’ non toglie che gli studenti devono sempre essere in grado di riprodurre i calcoli manualmente, se no nel futuro chi e’ che programma le macchine per effettuare i calcoli?

 Così replica Giorgio Mascitelli il   :

- E’ una domanda più che legittima che andrebbe rivolta a coloro che caldeggiano l’uso dell’IA nella scuola.



   A nostro avviso, sia interlocutore di turno che Autore , col loro commento non fanno che consolidare anziché dissipare, il vizio contenuto nello slogan attribuito a Platone. Perché  - concedeteci la licenza - di stupido slogan si tratta. Non viene infatti chiarita la posizione indubbia, a considerare l'opera di pLatone, del suo pensiero e dei suoi criteri. Così facendo però i partecipanti alla conversazione finiscono per assecondare il sistema propagandistico che promuove l'IA (I sedicennti 'innovatori' , cioè i fautori della tecnologia chatGpt ad uso scolastico), anziché formulare un ragionamento corretto ma soprattutto più rispettoso del pensiero di un Grande Autore del passato. 



ma veniamo all'articolo.

Sull’avvenire intelligente delle nostre scuole

di Giorgio Mascitelli

    A partire dagli scorsi mesi si è cominciato ad assistere anche in Italia a una campagna mediatica sommessa ma costante sull’uso dell’Intelligenza artificiale a scuola. Dall’appello a non trascurare l’occasione eccezionale e irrinunciabile fino al richiamo del rischio di perdere il treno del futuro passando per la denuncia della paura dell’innovazione, una serie di argomenti già usati nel passato per abituare l’opinione pubblica all’ineluttabilità di altre innovazioni tecnologiche è tornata a circolare. Sarebbe riduttivo spiegare questo fatto con il tentativo di creare una domanda per questo genere di prodotti magari intercettando fondi o creando un consenso per stanziamenti pubblici in tal senso, non perché interessi del genere non esistano ma perché queste reazioni esprimono uno dei punti chiavi dell’ideologia contemporanea in cui la fiducia razionale nella tecnologia produce atteggiamenti irrazionali nei confronti delle conseguenze sociali che le innovazioni generano.

I toni sono ragionevoli e moderati: si ricorda che in ogni caso l’IA non sostituisce l’insegnante, ma è un prezioso strumento in grado di rinnovare la didattica, addirittura in un supplemento dedicato all’argomento del Corriere della sera, Paolo Ferri con indubbia abilità persuasiva nei confronti  del mondo docente arriva a suggerire che chatGpt potrebbe incaricarsi della stesura di verbali e di altre corvée burocratiche che infestano la vita dell’insegnante. Eppure è difficile che vengano discusse opinioni come quelle di Manfred Spitzer : “I bambini a scuola imparano a percepire, pensare, comprendere, pianificare, valutare e decidere (insomma a svolgere una serie di funzioni cognitive) dapprima sotto la guida di un maestro e poi in modo autonomo. Così facendo si modificano le connessioni tra le cellule nervose responsabili di quelle funzioni cognitive e si vanno letteralmente a formare sia il cervello sia la personalità degli individui. Ne consegue quindi che delegare o lasciare fare il lavoro intellettivo alle macchine debba per forza portare a un livello di apprendimento minore da parte dei bambini” (Intelligenza artificiale, trad.it 2024, pp.558-559). La cosa interessante di questa posizione non è soltanto che Spitzer è un neurologo, ma che essa viene espressa all’interno di un libro sull’intelligenza artificiale che è decisamente ottimistico sulle prospettive, insomma quanto di più lontano ci possa essere dall’approccio apocalittico, per usare la vecchia categoria di Umberto Eco. Per esempio, nella disputa tra coloro che parlano di pappagalli stocastici a proposito dei chatbot, alludendo con questo termine ad algoritmi più veloci e potenti ma in sostanza legati alla vecchia logica dei calcolatori, e coloro che ritengono che in realtà questi algoritmi siano riusciti a creare un salto qualitativo agendo come delle vere e proprie reti di neuroni, Spitzer si schiera senza dubbio da quest’ultima parte. Insomma l’allarme non viene lanciato da un allarmista. Se andiamo a rileggerci quanto si scriveva negli anni Novanta sull’importanza della rete e sulle sue prospettive, ciò che colpisce oggi è l’assoluta incapacità di vedere i problemi sociali che essa avrebbe provocato, anche quando erano facilmente prevedibili. Basta prestare attenzione a un problema come quello delle fake news, che esistevano già nell’ambito mediatico tradizionale: in fondo pensare che avrebbero potuto essere diffuse ancor più efficacemente tramite la rete non era poi così assurdo,  e invece all’epoca abbondiamo di descrizioni estatiche di una società futura in perenne crescita grazie alla libera circolazione della conoscenza, quasi che i vincoli giuridici che regolano la proprietà intellettuale fossero stati aboliti da internet, mentre non vi era nessuna previsione delle dinamiche sociali indesiderate. Ancora una volta vorrei sottolineare che questo tipo di atteggiamento non è spiegabile solo con uno spirito pubblicitario, ma rientra in una forma mentis ideologica che vale la pena di analizzare perché sull’IA nella scuola si sta riproponendo esattamente lo stesso tipo di atteggiamento degli anni Novanta. In generale, quando si parla dell’innovazione tecnologica nella nostra società e se ne elencano benefici e rischi, si parte da una considerazione astratta della nuova tecnologia che viene descritta come funzionante, senza effetti collaterali di alcun genere, in una società concepita come spazio vuoto, in cui non ci sono conflitti di interesse e forze economiche e sociali che perseguono dinamiche totalmente indifferenti al bene collettivo. Al massimo si riconosce la necessità di alcuni adeguamenti di ordine giurisprudenziale, meglio se risolti con la governance ovvero senza nessun vincolo di legge, saltando a piè pari qualsiasi considerazione sul fatto che uno dei problemi centrali del nostro tempo è l’indebolimento della legislazione rispetto all’azione dei grandi gruppi finanziari e industriali.

    Eppure una macchina, intelligente o stupida che sia, da questo punto di vista non è importante, non è solo uno strumento, ma è un condensato di rapporti sociali che stanno a monte del suo impiego e della sua progettazione. Il tipo di uso per cui ogni macchina è progettata è strettamente collegato agli investimenti effettuati per produrla e alla domanda sociale a cui risponde, che in un sistema capitalistico è innanzi tutto generare profitti. Questo non vuol dire che in astratto non la si possa usare in maniera creativa o differente rispetto alla logica generale, ma tendenzialmente la diffusione del suo uso seguirà questa logica generale del profitto. E l’Intelligenza Artificiale non fa eccezione. Ora se poniamo mente a dove nasce l’IA nelle sue attuali applicazioni, incontriamo le logiche del capitalismo neoliberista, del downsizing, dell’ottimizzazione dei tagli sui posti di lavoro anche in attivo per produrre più profitti. Allo stesso tempo è la società della concorrenza di tutti contro tutti e della frammentazione delle relazioni. Dunque se l’IA appare indiscutibilmente come un progresso irrinunciabile e si diffonde capillarmente, succede anche perché risponde a questi interessi e a queste logiche in maniera più efficiente delle tecnologie precedenti. Introdurre l’IA nelle scuole significa fare i conti con questo genere di dinamiche e non immaginare astrattamente il suo uso in quella ideale (o idealizzata?), cioè completamente distaccata dai meccanismi sociali dominanti e, naturalmente, allo stesso tempo iperconnessa grazie alle macchine prodotte da quella stessa logica sociale, alla quale ci si immagina estranei. 

Naturalmente un’obiezione a questa analisi critica è che essa è troppo astratta e lontana dalle esperienze reali di studenti e insegnanti. E’ un’obiezione assolutamente fondata, alla quale si può replicare solo che un determinato meccanismo sociale, anche se astratto, non per questo motivo non ha effetti molti tangibili nella vita delle persone. Se prendiamo in esame in concreto l’esperienza individuale, è verosimile che con l’IA avremo un aumento delle possibilità di fare cose, che prima erano difficili o impossibili, e allo stesso tempo una minore coscienza del modo e delle ragioni di farle, come mostra Spitzer. Il modello implicito sembra essere colui che ha un macchinone da duecento chilometri orari ed è stato bocciato all’esame di teoria della patente per incapacità di capire le norme del codice della strada.  Uno dei topos degli innovatori tecnologici della scuola è la citazione del passo di Platone in cui viene condannata l’introduzione della scrittura perché avrebbe indebolito le facoltà mnemoniche individuali.

                                             Platone afferma che la scrittura avrebbe indebolito le facoltà mnemoniche ?

    Il senso di questo esempio è che una perdita individuale viene ricompensata da un aumento della facoltà della memoria a livello sociale e collettivo: insomma la diminuzione di memoria del singolo venne ampiamente compensata dall’aumento della capacità di memorizzazione della società nel suo complesso tramite il ricorso alla nuova tecnologia della scrittura. Nel caso dell’IA questo esempio rivela due punti di crisi: in primo luogo che la scuola non può per suo compito istituzionale sacrificare le capacità degli individui, ma al contrario ha il dovere di svilupparle; in secondo luogo l’unica cosa che verrà rafforzata sembrano essere i processi di accumulazione di un capitale che estrae i propri profitti anche sfruttando determinate relazioni umane come quelle presenti nel mondo scolastico. Infatti, quando Bill Gates dice che tra pochi anni l’intelligenza artificiale renderà superflui gli insegnanti, da un punto di vista pedagogico afferma un’assurdità, nel senso che la scuola esiste solo all’interno di un rapporto docente-discente, che è una relazione di tipo umano. Se però prendiamo questa affermazione all’interno dell’ideologia corrente, essa diventa un’espressione assolutamente coerente di un programma. Questo programma è quello che vuole eliminare la scuola come forma di socializzazione del sapere in nome di un radicale individualismo e di un processo di accumulazione non regolato da nessuna istanza. L’intelligenza artificiale ha il compito nel concreto di creare le possibilità tecnologiche per realizzare l’effettiva caduta dell’idea di scuola, che, se fosse annunciata in maniera diretta ed esplicita, solleverebbe proteste, e allo stesso tempo di iscrivere tale perdita sotto la categoria del progresso, quindi come elemento fatale e indiscutibile nella nostra società. Il grande vantaggio dell’IA nella scuola è quello di indurre la gente a credere che un’assenza di scuola sia la scuola del futuro.       Le ragioni sistemiche dell’introduzione dell’IA a scuola sono queste e se qualcuno affermasse che comunque a livello individuale è possibile usare l’IA in maniera costruttiva, risponderei che non ho difficoltà a crederlo, ma che questi usi individuali saranno eccezioni trascurabili rispetto all’impatto del suo impiego generale. In realtà anche a livello collettivo si potrebbero immaginare usi pertinenti e creativi, ma solo a patto di sottoporre a una radicale critica politica l’uso e la concezione stessa dell’IA attualmente dominanti. Questo il compito di docenti e studenti, cioè degli esseri umani che abitano la scuola. 

L'articolo originale con il suo commentario in aggiornamento si trova   qui 

al quale è seguito un nostro commento che proporremo nel prossimo post (su questo blog, ma che, se passerà la moderazione del sito di NI, si potrà leggere direttamente in quello spazio

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