mercoledì 23 luglio 2025

Senza giardinieri non c'è Natura. (Seconda parte)

 Il mio commento approvato e pubblicato nel post dell' articolo di Giorgio Mascitelli, sul sito Nazione Indiana, mira a far notare come, a fronte di un pezzo scritto con l'intento di criticare l'uso della IA nelle scuole, si finisce per far passare un'analogia piuttosto discutibile, quando non pericolosa, fra scrittura e tecnologia, inducendo velatamente il lettore a ritenere che, in fin dei conti, così come la scrittura è diventata utile (utilità attribuita quindi alla 'tecnologia' scrittura) se non indispensabile allo sviluppo e all'emancipazione della cultura. Tuttavia, come cercheremo di confutare in questo articolo, partendo da una premessa sbagliata anche la conclusione finirà per essere fallace e quindi l'IA come acquisizione tecnologica può portare sviluppi ben diversi dalla scrittura, la quale - a nostro avviso - non può essere ritenuta una tecnologia nel senso moderno del termine. 

   L'articolista Giorgio Mascitelli introduce cioè un criterio improprio ponendo la scrittura come una qualsiasi tecnologia volta a facilitare la trasmissione della memoria e quindi a sostituirsi al metodo orale, che secondo gli 'innovatori' della modernità indicati dal Mascitelli, avrebbe costituito un importante metodo per emancipare la cultura e quindi lo sviluppo di una civiltà superiore. I contenuti impliciti in questo assunto, sono vari e  poco attinenti a concepire il senso più profondo dello strumento scrittura, la cui origine - com'è noto - parte dalla possibilità che ad un certo punto del suo sviluppo, la mente umana abbia cominciato a tradurre in figure dipinte, le immagini che costituivano la base del proprio pensiero. Con le immagini estremamente semplificate, in guisa di segni rappresentativi, trasformate prima  in geroglifici e poi in ideogrammi riferiti allo schema figurato, si è poi passato alle lettere e alla scrittura vera e propria, senza che questo passaggio limitasse le facoltà artistiche con le quali il processo era iniziato. Il risultato ottenuto non può essere considerato sostitutivo delle prime forme di rappresentazione grafica, che infatti non sono state messe da parte dal genere umano, semmai si sono perfezionate rimanendo fortemente ancorate anche alle sue dinamiche di conoscenza , analisi e rappresentazione della realtà, e fin ad oggi ritenuti a ragion veduta importanti metodi di sviluppo ed emancipazione, anzitutto della mente, della capacità critica e di indagine individuale. Chiusa questa necessaria parentesi e assodato che la scrittura non ha sostituito altri e più importanti  metodi di rappresentazione artistica (come invece sta facendo la tecnologia digitale e la stessa IA), quindi non ha definito un salto tecnologico, si può capire che la scrittura non ha nulla a che vedere con i principi di sviluppo tecnologico moderno, con la sua falsa ambizione di traghettare il genere umano verso traguardi di superiorità intellettuale, culturale, civile, nei confronti delle popolazioni vissute nel passato. Insinuarlo fra le righe, lasciando passare il concetto scrittura = tecnologia, vuol dire , viceversa non aver compreso un batacchio arrugginito, delle culture che ci hanno preceduto e quindi non poter progredire verso un futuro migliore, in tutti i sensi. 

Commento su Nazione Indiana, al post di Giorgio Mascitelli dal titolo: Sull'avvenire intelligente delle nostre scuole 

   Ora si potrà comprendere meglio l'orrore da me provato per l'uso strumentale che si fa ancor oggi, di Platone,  la cui opera immensa, non mi sembra sia stata tramandata oralmente bensì attraverso testi scritti. Il perfido greco forse voleva cominciare a colpire la memoria, ergo le facoltà intellettive, del torbido genere umano? La memoria , si è detto. Le biografie parlano di un Einstein un po’ carente sotto il profilo mnemonico, mi pare di ricordare. E allora? Viene lecito chiedersi quale significato abbia la memoria nella costruzione di quella Conoscenza tanto cara al filosofo ateniese. La memoria è anzitutto una capacità compensabile, così come lo sono altri sensi, altre abilità. Mica ci vuole Einstein per capire che memoria e intelligenza non sono sinonimi, né  complementari. Un sistema che progredisce in misura utile alla memoria pertanto non può essere parimenti assimilato ad un sistema che produce un supporto all'intelligenza propriamente detta la quale può, come suggerisce il caso di Albert Einstein, progredire ugualmente anche in condizioni di carenza mnemonica.  Ed inoltre che fine ha fatto il valore di quel linguaggio simbolico col quale Platone affrontava il problema di tramandare la Conoscenza ai posteri, sviluppato  successivamente ed esplicitamente nel suo Mito della caverna? L’emancipazione dell’uomo dunque passava per ben altre questioni e non capisco proprio l’origine della citazione che, alla fine sembra aver il solo scopo di paragonare impropriamente la scrittura alla moderna tecnologia.  Ancora una volta si trattano gli autori della tradizione arcaica, interpretando i loro insegnamenti con gli schemi mentali e l’approccio analitico di un uomo moderno. Non capisco nemmeno come si possa pensare che per gli antichi la scrittura fosse semplicemente un supporto alla memoria, quindi all’intelligenza stessa, dato che implicitamente si è voluto lasciar intendere che l’una fossa prerogativa dell’altra. All’opposto, il significato e il valore dell’intelligenza (il nous intuitivo, anzitutto), come insegna proprio Platone, sta nella facoltà di ‘lettura interiore ( leggersi dentro = intelligenza), non certo nella quantità delle informazioni ricordate per lungo tempo, che relega la facoltà mnemonica a struttura puramente materiale dato che la si può comprendere e misurare entro le categorie fisiche dello spazio-tempo. La memoria , come la carta, è dunque il supporto organico/materiale (quindi ben diverso dalla struttura delle idee e della psiche ψυχή ) del pensiero, ossia il mezzo col quale l’idea trova la maniera di manifestarsi nel mondo fisico/materia. Ma non ne è la causa! Il significato profondo non sta nelle pagine di un libro, nè nella possibilità di ricordarle. Se pur distruggessimo tutti i libri della Divina Commedia, non ne distruggeremmo il significato. E nemmeno dimenticandola riusciremmo a scalfire il messaggio veicolato che troverebbe modo di manifestarsi ancora in quanto patrimonio della psiche, quindi dell’anima estranea allo spazio-tempo. Neppure il cervello può essere paragonato o considerato sede della psiche, altro elemento connesso impropriamente e materialisticamente al significato di intelligenza e ciò è dimostrato dall’importanza (scarsa) che (nel mondo antico) si attribuiva a quell’organo. Ma è proprio da quanto ci tramanda/suggerisce Platone che si può far fronte ai rischi , facilmente intuibili, che può apportare una falsa-innovazione e perfino si può giungere a comprendere chiaramente e formulare un  criterio selettivo col quale comprendere quali innovazioni siamo davvero tali , nel senso che concorrono al raggiungimento della saggezza/sapienza all’elevazione/salvezza dell’uomo, e quali invece no; che in termini junghiani vorrebbe dire come tenere sotto controllo l’espansione incontrollata dell’ego da cui ogni brama di potere (l’ia è solo l’ultima di queste aspirazioni) prende l’abbrivio.

questo commento è stato pubblicato su Nazione Indiana.

Attendiamo la risposta. 

Dopo aver atteso invano, possiamo affermare che ad oggi,  data della pubblicazione di questo post,  il nostro commento su NI non ha provocato reazioni. Il fatto era peraltro facilmente prevedibile, il Mascitelli non ha ritenuto opportuno replicare, forse perché non ne aveva i mezzi. Ed allora ecco che l'interrogativo posto da un lettore, quello cioè che si chiedeva chi programmerà le macchine in un futuro senza programmatori, dato che l'IA farà piazza pulita anche di loro, si rivela un falso problema dal momento che le idee, o i calcoli specifici della programmazione che valgono qualcosa, non richiedono alcuna figura specializzata per esser mantenuti. Infatti se i calcoli non li eseguirà nessuno significherà inevitabilmente che la programmazione delle macchine non è un'attività importante affinché  l'umanità, intesa come parte della psiche collettiva, possa elevarsi a rango più alto.  A ben vedere oggi i calcoli a mano non si eseguono più neanche nella scuola dell'obbligo, allo stesso modo un domani la figura umana potrà premere un tasto per attivare un programmatore automatico, a seconda del compito che intende svolgere, come oggi preme i tasti di una calcolatrice per eseguire un calcolo complesso.  Sarà questo il massimo sforzo chiesto alla nostra psiche. E non dico 'al nostro cervello' , quello così com'è va benissimo per adeguarsi al livello di una tecno-scimmia. Come già scrisse qualcuno, "siamo nati come dèi, ma ci accontentiamo di essere, o rimanere, scimmie". 

     Ciò significa che delle menti pensanti in futuro potremo  farne tranquillamente a meno e che il genere umano  si affiderà completamente a quel tipo di tecnologia, così come un ragazzino può guidare un'automobile e portarla alla massima velocità senza aver idea di come funzioni la sua parte meccanica ed elettronica, o come si fa uso di piccoli dispositivi Smart senza capire quali condizionamenti possono provocare sullo sviluppo mentale. Che questa tecnologia possa rappresentare un vantaggio per l'intelligenza e per il progresso dell'umanità, è un fattore del tutto incognito, al momento. A meno che non volessimo rispolverare il saggio monito degli antichi, che fecero punire Prometeo (Colui che pensava prima di agire) perché ritenuto dannoso per la Natura, alias Zeus.  Porsi un simile problema, cioè considerare la programmazione delle macchine come fosse una risorsa imprescindibile per un non meglio definito progresso, è come dire  che la Natura per manifestarsi in tutto il suo splendore abbia bisogno dei giardinieri, o che l'idea di Dio  abbia bisogno dei preti, delle gerarchie e del cattolicesimo per poter germogliare nel cuore delle persone. Qui però non si parla né di Dio né di Natura, ma di qualcosa che si vuol sostituire ad essi.  

Nessun commento:

Posta un commento