lunedì 29 gennaio 2024

Lezione sulla meccanica aristotelica. Da un convegno di Giorgio Israel. ( Terza ed ultima parte )

 Segue dalla precedente


Analisi delle due leggi
[ 40: 22 ] 

Se ora enunciassimo sia la legge della dinamica dei moti naturali che la legge della dinamica dei moti violenti, vedremmo immediatamente come non sia possibile enunciare una legge diversa dai moti che sia però analoga a quella newtoniana F = ma. Nello schema a sinistra leggiamo che la velocità (media) V di caduta di un corpo è proporzionale al peso P del corpo stesso, e inversamente proporzionale alla resistenza del mezzo (Con k costante di proporzionalità) V = K ( P/R ).
Nello schema a destra leggiamo che, una forza costante F su cui agisce un moto uniforme la cui velocità (media) è direttamente proporzionale alla forza impressa e inversamente proporzionale al peso del corpo I , sotto la condizione che              F > I (Con  k costante di proporzionalità )  V = K (F/I).
Senza la condizione F>I , questo enunciato potrebbe non avere alcun senso . Aristotele osserva infatti che la relazione vale, cioè che il fenomeno risponda alla legge enunciata, quando la forza motrice (F) è capace di spostare il peso ( I ) del corpo (dunque la resistenza data dal suo peso), altrimenti non potrebbe esserci spostamento. Egli afferma - infatti - che una forza A capace di spostare un corpo B in un certo spazio e in una data quantità di tempo, può far compiere a un corpo che sia la metà di B una distanza doppia nello stesso tempo. Non è detto, però, che la forza riesca a far muovere un corpo di massa e peso doppio di B per una distanza pari alla metà, proprio perché, egli scrive testualmente, in tal caso un solo uomo sarebbe capace di spostare e mantenere in moto un'intera nave. Vediamo quindi (Aristotele riesce qui ad essere molto concreto nella sua spiegazione e non trascuri affatto l'attrito) che potremmo scrivere il tutto introducendo una costante di proporzionalità (K) che indichi V = K
 che moltiplica F/I : V = K (F/I). Se ora volessimo unificare queste due leggi come caso particolare, dovremmo indicare F e P come due forze agenti sul corpo ed I ed R , come due forme di resistenza del mezzo 
V = K( P/R) ; V = K (F/I) 
ottenendo una legge unificata: K (F/R) , ovvero, F = h RV , che evidenzia la proporzionalità fra la forza F e la velocità V. Questa sarebbe dunque la famosa legge sbagliata imputata ad Aristotele che si differenzia dalla proporzionalità di forza e accelerazione (Newton).  Svolgere tuttavia un simile passaggio, cioè l'unificazione delle due leggi, non è corretto, mentre rimane altresì fondamentale mantenere la distinzione fra moti naturali e moti violenti, poiché nei primi ( I moti naturali), il peso non è una forza esercitata dall'esterno sul corpo, ma è un principio di moto intrinseco dovuto alla natura del corpo stesso (quindi intrinseco alla forma del corpo) che lo conduce al suo 'luogo naturale'. Nei secondi (I moti violenti) il peso è un agente sul corpo che è un motore congiunto, e qui il peso ha funzione di freno [ 45:01 ] sul moto, pertanto qui il peso non è assolutamente un caso di motore congiunto esterno, di quelli che producono un moto violento, poiché, in definitiva le due leggi sono e devono rimanere distinte ed ogni tentativo di unificazione teorica è privo di senso. Per essere più precisi, la funzione del peso è, nei due casi, molto differente: primo) nei moti naturali è (come detto) un agente del moto, espressione della sua forma sostanziale; secondo) nei moti violenti è un ostacolo al moto e da esso , dal peso, dipende l'attrito, ossia, l'inerzia, che è la tendenza di 'rimanere a riposo '.  Per questo motivo abbiamo usato simboli diversi anche in questa rappresentazione simbolica. Nel caso dei moti naturali il peso è P (principio intrinseco di moto); in quelli violenti il peso è I (Tendenza all'inerzia).                                                                                                                                                                                                 In definitiva, non è corretto parlare di una sola legge fondamentale della dinamica aristotelica, e non è corretto contrapporla , come legge unica, alla legge delle dinamica di Newton. Dunque, F = h RV non si può definire contrapposta a F = ma (Newton) [46:16]. La contraddizione non esiste, perché il tentativo di unificare le due distinte leggi aristoteliche è viziato dal significato moderno attribuito al concetto di forza e di inerzia [46:33], uso che - come ampiamente ripetuto - è assente nella visione aristotelica propriamente detta. Nella meccanica aristotelica , insomma, l'inerzia non è qualcosa che si riferisce a tutti i tipi di moto (Sia gli stati di movimento che quelli di quiete) , viceversa questo ruolo dell'inerzia (quella cioè riferita a tutti gli stati di moto), rappresenta in cuore della concezione dinamica newtoniana (Meccanica classica). L'idea che uno stato di moto persista quando non viene modificata la causa esterna (esattamente come lo stato di quiete) è totalmente estraneo alla meccanica antica ( Aristotelica), mentre è la meccanica classica che mette sullo stesso piano sia gli stati di quiete che gli stati di moto. Per Aristotele, allora, tutto ciò che si muove lo fa per azione di un altro motore e quando questo cessa di agire ha termine anche la virtù di muoversi ( virtus moventi ) e il moto ha termine. Si può anche dire che la caratteristica del moto violento è proprio quella di cessare e di avere perciò una durata limitata nel tempo per esaurimento della causa motrice. Ci soffermeremo adesso sulla questione del principio d'inerzia, anche perché esso ha introdotto il grossolano equivoco di attribuire al filosofo di Stagira la formulazione del principio d'inerzia. Se andassimo a consultare un preciso passaggio contenuto nel secondo libro della Fisica aristotelica, potremmo  erroneamente concludere che, effettivamente, Aristotele abbia formulato il principio d'inerzia; tuttavia dalla contestualizzazione del brano in questione, si può capire il fraintendimento. Ecco dunque il testo del brano:
" E' impossibile dire perché un corpo che è stato posto in movimento nel vuoto dovrebbe fermarsi in un posto anziché in un altro. Come conseguenza, esso resterà necessariamente in quiete o, se è in moto, si muoverà indefinitamente finché un qualche ostacolo non entri in collisione con esso".  (Aristotele, II° Libro della Fisica.) [49:09]
Il riferimento al vuoto - dice Israel - ci avrebbe già dovuto mettere sull'avviso, poiché l'attenzione di Aristotele è rivolta indubitabilmente a questo problema. Secondo quanto detto finora, in effetti, potremmo concludere che quello enunciato sia proprio il principio d'inerzia, tuttavia, è esattamente l'opposto del principio d'inerzia, difatti, Aristotele lo usa per negare la possibilità del vuoto. (Implicitamente, cioè, il corpo non viene inteso come immerso nel vuoto, è sottinteso che vi sia sempre una qualche forma di attrito - magari dell'aria - che fa da ostacolo. Egli parte dunque dalla premessa che nessun moto terrestre possa durare all'infinito. Ben diverso è il caso del moto circolare  , delle sfere celesti, le quali, non trovandosi sulla terra ma facenti parte del mondo super-lunare, ruotano sì all'infinito ed in modo armonico 'e regolare' (Oggi sappiamo non sia esattamente così ma, dato il periodo, il concetto può passare pure per buono) ;  d'altra parte tutti i testi di Aristotele sono pieni zeppi di tentativi alla ricerca di una dimostrazione  dell'inesistenza del vuoto assoluto. Non v'è dunque alcun dubbio rispetto le convinzioni di Aristotele, per il quale il vuoto non poteva esistere. Ne conseguiva che ogni moto sulla terra era soggetto a ostacoli dovuti all'attrito [50: 10]. 
Lo spazio aristotelico, quindi, non è il nostro spazio, quel luogo cioè che siamo abituati a concepire come un contenitore vuoto (Metafisica), geometrico ed astratto, nel quale   i corpi materici 'galleggiano', lo spazio di Aristotele è l'insieme dei corpi. Il 'luogo ' di un corpo non è , pertanto, uno spazio delimitato da una griglia di coordinate cartesiane (Definizione moderna) , ma - aristotelicamente parlando - il luogo di un corpo è il minimo corpo che lo contiene, così come la botte per il vino. Anche il contenitore è un elemento materiale. Notiamo che questa definizione di spazialità è strettamente legata all'idea di finitezza della materia e della inesistenza del vuoto, così almeno le cose sembrano essere sulla terra. Oltre di essa, nel cosmo superiore, i moti celesti non rispondono a tali caratteristiche , essi tracciano infatti traiettorie circolari e illimitate nel tempo. Essi, estranei alle dinamiche e alle leggi del mondo sub-lunare, si svolgono allora in coerenza con le figure perfette della geometria euclidea ma per Aristotele non rispondono alla concezione che le vuole infinite. Le rette delle traiettorie, infatti hanno lunghezza limitata , altrimenti il corpo in movimento non raggiungerebbe mai il suo status (O 'luogo naturale'). Ricordiamo che il mondo sub-lunare, è composto dalla quaterna elementare : fuoco, acqua, aria , terra, mentre nel mondo super-lunare è presente una quinta sostanza (Quintessenza) detta Etere, la quale verrà indicata con poche varianti sostanziali, anche nella fisica dell' Ottocento [53:30].
L' Etere non è soggetto alla forza di gravità, esso infatti è leggero. Non si altera o modifica in alcun modo e ciò fornisce per Aristotele e i suoi contemporanei, il motivo per il quale i moti celesti sono inalterabili e circolari. Essi violano dunque il principio di cessazione del moto terrestre. L'andamento continuo/perpetuo  di questi corpi caratterizza la dinamica delle sfere planetarie che sono 'Atti puri', prive di potenzialità ed eternamente mobili. E ciò, ancora una volta, sancisce che nel pensiero aristotelico la separazione del mondo terrestre e di quello celeste è insindacabile. Il primo è il mondo del imperfetto, mutabile e corruttibile, il secondo  è l'esatto contrario del primo. Aristotele riprende l'idea platonica dei moti planetari e preserva i carattere perfetto dei moti circolari, pensiero che dominerà la cultura scientifica europea fino al Seicento e dominerà con tale forza fino agli studi di Galileo che, tuttavia, non saranno sufficienti a far cadere nell'immediato, le convinzioni precedenti. Galileo avrà , sicuramente maggior peso più avanti con le ricerche di cinematica e con la nuova raffigurazione di un cosmo non più geocentrico, benché non modificherà la geometria dello spazio il quale, anche dopo di lui, rimarrà confinato nei limiti dello sferico, del limitato. Le rette delle traiettorie, infatti, continueranno a considerarsi finite , così da non farle uscire dai confini del cosmo. Sarà Newton, altresì , a parlare di universo aperto e infinito, illimitato e di struttura cartesiana. 

capisaldi del pensiero aristotelico:
- Tutto ha termine (Il celebre: 'Tutto si tiene')
- Il vuoto assoluto, non esiste.
- L'infinito non è contemplato e non esiste un luogo senza un termine naturale.
- Ogni cosa deve alfine raggiungere il suo 'luogo naturale'.                                             

Lezioni su Cartesio.
   Anche Cartesio (Descartes) fornisce un'immagine geometrica dell'universo. Anche lui tocca i rapporti fra matematica e fisica. Scriveva Alexandre Koyré (Storico e filosofo della Scienza): 'Nessuno mette in dubbio il valore intrinseco della matematica e della geometria.' 
  Tutti i filosofi perciò, Aristotele compreso, hanno considerato e ammesso che il rigore e la certezza che implicano le leggi della geometria possano spiegare il mondo e perciò la stessa natura fisica dell'universo. Aristotele ci dice che il rigore della geometria si occupa però di fenomeni 'astratti' , i cerchi e le rette non sono quindi, reali, ovvero non sono figure fisiche vere. La geometria è dunque una scienza astratta, distante dal reale che non è mai preciso, né regolare. 
 L'ipotesi galileiana che il mondo fisico sia riconducibile alla matematica, è  pertanto solo un'ipotesi, convalidata tuttavia, da successi indiscutibili. Anche se la storia ha dimostrato quanto funzioni la rappresentazione geometrica del mondo, essa è pura metafisica, mentre una scienza che si poggia sui sensi, come postulato da Aristotele , non può essere metafisica. La scienza di tipo cartesiano, invece, non può fare a meno di una visione metafisica delle cose. Che il mondo e l'universo siano entità matematiche, è dunque un principio metafisico, fermo restando che questo tipo di concetto abbia portato successi dal punto di vista del calcolo geometrico, di tempi e traiettorie. Cartesio, come Platone prima di lui, sapevano bene queste implicazioni, ma sostennero l'impostazione metafisica, nello studio del mondo reale. La scienza moderna, che da questi prende l'abbrivio, si sfama dunque dei suoi successi senza preoccuparsi della crisi dei suoi fondamenti prima o poi porterà a delle contraddizioni . Quindi, dice ancora Koyré: 'La crisi della scienza moderna verrà superata solo quando essa si farà carico della contraddizione insita nei suoi fondamenti concettuali e comincerà a cercare modelli coerenti con essi.' 

Il successo della fisica newtoniana può essere compreso nella previsione dei cicli cosmici (brevi), o fenomeni come eclissi, influssi gravitazionali, o altro ancora, ma sempre entro distanze planetarie modeste e tempi tarati sul ciclo di vita umano. Aldilà dei tempi brevi, però, quelli in cui  la rappresentazione geometrico- matematica può essere applicata al cosmo con successo, il calcolo predittivo diventa fallibile. Se infatti considerassimo tempi lunghi (In rapporto all' uomo e alla durata della sua vita),  e quindi se parlassimo di tempi e spazi dell'intero ambiente cosmico, la previsione newtoniana fallirebbe le sue previsioni e ciò deve portare dunque a una rivisitazione dei principi e dei concetti di natura metafisica di cui abbiamo detto, e che  - ribadisce ancora professor Giorgio Israel - non fanno parte del pensiero aristotelico.  


Fine trascrizione.  

martedì 16 gennaio 2024

Lezione sulla meccanica aristotelica (Seconda parte)

 Concetti di Fisica


   I capisaldi della meccanica classica sono stati dettati da Descartes, da Galileo e da Newton. 
Principio d' inerzia (Descartes)
Un corpo su cui non agisce alcuna forza se è in quiete rimane in quiete, se è in moto continua invece a muoversi con moto rettilineo uniforme. 

Legge della dinamica(Newton)
F=ma

  Per Galileo la presente legge della dinamica risulta valida solo se il corpo è immerso nel vuoto, ovvero, se lo spazio non presenta impedimenti di vario genere (a patto che si difalchino gli impedimenti. Osserviamo però che nel moto naturale, i fenomeni cioè che si svolgono sulla terra, la condizione di vuoto non è reale, bensì, solo teorica. L legge della dinamica newtoniana è allora un concetto metafisico. Secondo questa legge un corpo  ,secondo la sua massa, si muove nello spazio con accelerazione proporzionale a F.

La prima osservazione da fare rispetto a queste due leggi è che non possono essere unificate in una sola. Entrambe infatti si fondano su un  principio metafisico , dacché in natura una forma di attrito è sempre presente e non può essere eliminata, sia che si tratti di un'altra forza interagente col sistema, come la gravità, si che si tratti della resistenza dell' aria (Cioè dell' attrito). Le condizione necessarie alla loro verifica sperimentale non possono essere che ipotetiche, e lo erano specialmente in passato, quando non si conoscevano procedure per eliminare in laboratorio tali influssi ambientali . Il principio di inerzia cartesiano troverebbe perciò la sua conferma solo ottenendo sperimentalmente uno spazio completamente vuoto, una condizione dunque, sconosciuta agli antichi filosofi greci. In quello spazio idealmente concepito, è bene ricordarlo, anche l' osservatore perturba con la su presenza gli elementi e il loro movimento. Tale condizione metafisica, è pertanto irrealizzabile in un ambiente naturale. Analogamente, anche le legge della dinamica newtoniana presuppone una situazione estrema, e quindi senza alcun impedimento o attrito, che nella natura fisica non è possibile eliminare [13:49]. Le due leggi sono pertanto leggi ideali ma non reali, le quali derivano da condizioni che, come avverte Galileo, devono sussistere senza impedimenti, ostacoli, o attriti.  "Anche quando la geometria definisce figure regolari - Aggiunge Israel - non rappresenta figure naturali, in quanto in natura, seppure in essa sussistono forme simili a figure geometriche regolari, la regolarità spaziale o temporale di fatto non esiste. Si tratta allora di principi astratti che possono essere riprodotti sperimentalmente qualora vengano eliminati gli ostacoli presenti in natura."
Aristotele invece non 'defalca' nulla, [15:49], poiché gli elementi che disturbano la sperimentazione umana, sono parte integrante (non eludibile) del mondo fisico, e si presentano così come li percepiamo, ragion per cui essi vanno inclusi e non estratti dalla sperimentazione. Aristotele si rivela così un empirista puro, infatti egli si limita a riportare solo ciò che osserva evitando di formulare leggi di carattere astratto. Il suo punto di vista si allontana dunque da quello della meccanica classica, la quale propone leggi (Come F=ma) ideali che servono a prevedere l'andamento di particolari fenomeni fisici.
   [17:13] Secondo quanto abbiamo visto finora, a differenza della meccanica aristotelica, la meccanica  classica ha un carattere essenzialmente quantitativo. Rispetto al concetto di materia, dunque, la meccanica classica è intimamente legata al ruolo dei parametri spaziali, ovvero, alla forma. Notiamo invece, che in Aristotele il movimento (oggetto della meccanica propriamente detta, significa soprattutto cambiamento. Non è questo un aspetto facile da capire in quanto noi 'moderni' riduciamo tutto alla quantità. Per noi, e perciò, per i fisici della nostra epoca, il movimento è dato dallo spostamento di un corpo da un punto ad un altro, entro un tempo specifico, e quindi, con una determinata velocità e accelerazione. Si tratta pertanto di aspetti spaziali e temporali del movimento, ma per Aristotele questi non sono che un solo aspetto del movimento visto che, per lui, il concetto di moto è dato preferenzialmente al concetto di modificazione. Ad esempio è movimento la profonda mutazione di un seme che diventa progressivamente e attraverso passaggi complessi, una mela, quindi un oggetto di forma e qualità molto differenti. Tutto ciò che si trasforma per Aristotele è in movimento e dunque questo sarebbe l'oggetto di studio della meccanica. 

La struttura della materia.

 Aristotele riguardo la struttura della materia ricalca le posizioni di Empedocle il cui pensiero filosofico ha tenuto banco in occidente, per quasi duemila anni. Secondo questi pensatori la materia è costituita da quattro elementi fondamentali [ 20: 46 ]: acqua, terra , aria e fuoco. Aristotele ripropone questa classificazione secondo la presente versione e prospettiva: i quattro elementi fondamentali devono essere percepiti con i sensi, ma soprattutto devono essere 'attivi' cioè capaci di determinare mutamenti di tipo qualitativo. Essi devono inoltre formare coppie di opposti a secondo della loro combinazione con altre quattro qualità primarie: caldo, freddo, umido e secco ( C F U S ). Ognuno degli elementi fondamentali della Natura si contraddistingue secondo l'accoppiamento con le già citate qualità primarie, dimodoché la Terra sia caratterizzata da secco + freddo; l'aria da umido + caldo; l'acqua da freddo+ umido e il fuoco da caldo + secco. 
Per tenerci in linea con la classificazione aristotelica, occorre dire che i quattro elementi fondamentali non sono immutabili, ma si possono trasformare l'uno nell'altro attraverso il cambiamento di una delle qualità primarie con l'opposta, o anche di entrambe. 

La mutabilità degli elementi fisici fondamentali mostra la differenza fra l'approccio filosofico degli atomisti come Democrito, o Leucippo, i quali cercano invece un elemento base della materia che ad un certo punto non può più essere scomposto in frazioni minori e pertanto che risulti immutabile, il che  riduce ogni processo di cambiamento a fattori puramente quantitativi [22: 34]. Ciò presuppone che la sostanza principale costituente della materia, una volta suddivisa in elementi infinitesimali, perda la sua forma macroscopica, cioè le sue caratteristiche qualitative originarie (Minima Naturalia).  Su questo punto però, Aristotele si mostra un po' vago pur ammettendo la possibilità di una suddivisione estrema della materia. 

Moti naturali e moti violenti                                                                                             

   Abbiamo già visto come la pensava Aristotele rispetto l'armonia del mondo che poteva trovarsi esclusivamente nei cicli ordinati dei pianeti al di sopra della sfera lunare. Sotto, tutto si faceva invece mutabile e caotico. In questo spazio sub-lunare troviamo i moti naturali e i moti violenti. Un sasso in caduta libera rappresenta un moto naturale e regolare che segue una traiettoria in linea retta. Questi modi riguardano terra e acqua che sono corpi pesanti. I gas e i vapori, all'opposto, seguono traiettorie meno regolari e tendono sempre all'alto. 

   I moti violenti sono determinati da influssi esterni. Si dicono ad esempio 'moti volenti' il lancio di una pietra o di una freccia. Questi movimenti seguono traiettorie irregolari e non classificabili come 'naturali', o spontanei. Per Aristotele la causa che determina i moti violenti è detta 'motore' o agente. E' tuttavia la meccanica newtoniana a introdurre il concetto di 'azione a distanza' [ 26: 46 ]. Per lungo tempo questo tipo di concezione non veniva insegnata nelle scuole perché si diceva portasse alla magia e al misticismo essendo stato Newton, oltre che scienziato, anche un occultista e un cabbalista. Aristotele sostiene altresì, che occorre dare una spiegazione razionale al movimento indicando quale sia il motore, o agente, del corpo in movimento. Paradossalmente , proprio perché abbiamo affermato che il concetto di movimento nella meccanica aristotelica riguarda anche gli esseri animati (il cui motore è costituito dall'anima stessa , principio vitale e al contempo principio di movimento), i moti naturali appaiono molto più difficili da spiegare. In questi fenomeni l'energia che provoca un movimento/cambiamento che non può essere un motore a distanza, dunque, per Aristotele,  le cause del moto naturale vengono identificate nella struttura stessa della materia, dal peso dei corpi. La pesantezza o la leggerezza  dei corpi determina allora i moti naturali per effetti dei quali, i corpi stessi precipitano. In questo senso terra e fuoco sono elementi estremi, e perciò se la terra più pesante tende a muoversi verso il basso, il fuoco che è il suo opposto, tenderà verso l'alto. In pratica il motore, o agente, dei corpi di terra e dell'acqua è il loro peso. Ovviamente aria e fuoco non avendo peso ma essendo caratterizzati da leggerezza tenderanno verso l'alto. Da ciò si evince che senza ostacoli di vario genere,  ogni corpo prenderà a disporsi secondo un ordine stratificato di forma sferica; ed infatti l'universo risulterà , nella cosmologia aristotelica, ordinato nel seguente modo: 
al centro gravita il pianeta terra , circondato dalla sfera delle acque e, successivamente, da quella dell'aria. Oltre queste sfere vi è quel mondo super-lunare costituito da sole e stelle (Fuoco) e ciò sembra fornire una motivazione al movimento dei corpi. La circolarità della terra è così sviluppata e spiegata dal filosofo greco. 
Torniamo adesso ai moti naturali. Abbiamo visto che le cose siano alquanto più complesse di quanto non appaiano a prima vista [32:25 ]. Se è vero , quindi, che un corpo pesante va verso il basso e uno leggero verso l'alto, diventa difficile capire da cosa, un corpo, è mantenuto in movimento dato che è necessaria la presenza di un motore congiunto. Senza addentrarsi in particolari, Aristotele afferma che il motore è dato dalla causa generante il grave che ha impresso nella materia la sua forma e che, pertanto, ha generato tutti gli accidenti ad esso associati. Questa spiegazione non ci è sembrata molto chiara, di questa opinione è anche il professor Israel, tuttavia Aristotele aggiunge anche qualcosa di quantitativo riguardo la caduta dei gravi. Egli propende per la tesi secondo la quale, la velocità media (Si intende la velocità media rispetto a una data distanza percorsa dal corpo) è proporzionale al peso del corpo in questione, e inversamente proporzionale alla densità del mezzo (immaginiamo l'acqua o l'aria) , cioè la resistenza che si oppone al moto (Prima legge). A ben vedere, queste sono nozioni qualitative piuttosto che quantitative, difatti Aristotele non propone alcun tipo di formula. 

Moti violenti

Nei moti violenti la questione si pone in maniera meno complicata, in quanto la causa del moto è data dall'azione di chi lo lancia, il quale in pratica  interviene in modo 'violento' su un moto altrimenti naturale. In questi casi si distinguono due tipi di moto: uno che agisce costantemente su un corpo, o un moto generato dalla spinta iniziale che poi esaurisce progressivamente la sua energia. La maggior parte dei casi riguarda questa seconda categoria di quei fenomeni chiamati da Aristotele, 'moti violenti'. Come abbiamo potuto constatare egli si attiene alla spiegazione in senso qualitativo e fa riferimento alla qualità della virtù moventes (virtù del movimento) e non agli aspetti quantitativi (Formule o altro). 
Aristotele enuncia dunque la seguente legge sulla dinamica dei moti violenti: una forza costante impartisce al corpo su cui agisce un movimento uniforme - la cui velocità e direttamente proporzionale alla forza impressa e inversamente proporzionale al peso del corpo [ 40:00 ]. 
Esaminiamo adesso le due leggi senza applicare però i termini della cultura quantitativa da cui proveniamo  e  con cui siamo stati nutriti fin dalla prima infanzia; come ha spiegato Thomas Kuhn, Aristotele non ricorre mai alle formule o ad alcun tipo di quantificazione.

Continua - la terza ed ultima parte verrà pubblicata fra due settimane. 

Lezione sulla meccanica aristotelica (Prima parte)

 Operazione di manipolazione culturale. The beginning (L' inizio)

     In questo post abbiamo provato a esporre nell maniera più fedele possibile, il punto di vista del Professor Giorgio Israel, autore di un certo prestigio, al quale in questi caldi giorni estivi abbiamo dedicato alcuni contributi di indubbio interesse. Giorgio Israel si è rivelato un fine e attento osservatore delle questioni che riguardano, e hanno riguardato negli ultimi decenni, la contraffazione della cultura scientifica. Nelle precedenti pagine di questo blog, abbiamo visto che l' argomento è stato indagato con una certa profondità anche dal direttore del periodico Le Scienze, Enrico Bellone, che al controverso tema ha dedicato un libro:  La Scienza negata. Entrambi sembrano voler sostenere che, se si è riusciti a realizzare quest' opera ciclopica di disinformazione e manipolazione a discapito della scienza, è possibile metter mano e rivisitare ideologicamente  tutto. A mio avviso ci sarebbe da analizzare,  nel suo decorso storico, anche la graduale affermazione e  imposizione di un'etica cosiddetta dell'interpretazione. Il  che significa rivisitare con occhio critico e da un preciso periodo in poi, anche il significato di certe filosofie considerate l'anticamera del criterio interpretativo che oggigiorno va per la maggiore, e da questo, una volta consolidata nella coscienza popolare, l'idea che non esistano punti fissi, o riferimenti etici a valori assoluti, la cultura possa svoltare verso principi illegittimi, non tanto di 'libertà di pensiero' , ma di uguale valenza e dignità (relativismo) per  qualunque opinione,  a prescindere da chi e da come, queste opinioni vengono espresse. Il concetto appare fumoso e addirittura pericoloso quando prescinde da ogni controllo e dal rispetto di opportuni paradigmi riguardo il modo di indagare il mondo che ci circonda, ovvero quando si ignorano i principi della matematica. Tutto sembrerebbe allora 'interpretabile, come scrive Umberto Eco nel su 'Pendolo di Foucault': " Tutto è interpretabile, anche le pagine dell'elenco telefonico". Se, dunque, non si operano i dovuti distinguo e se già l'educazione scolastica non definisce  il criterio discriminativo e , in definitiva, non promuove lo studio della matematica da cui dipende la modalità di indagine della natura e della realtà, qualsiasi argomento può essere girato e rigirato come un calzino, ed allora conviene stare sempre all'erta e cominciare a capire come si possa intervenire in maniera tanto invasiva su prodotti editoriali quali riviste, libri, scritti di vario genere e materiale letterario per la formazione scolastica e su altre opere che contribuiscono a formare la cultura contemporanea.   Professor Israel ci aiuta a comprendere quando e dove può esser cominciata  questa massiccia operazione ordita contro la cultura scientifica. 'Ordita' può essere forse  un termine eccessivo, magari le cose stanno cominciando a girare in un certo modo da qualche tempo senza che vi sia, a monte, una regia, una conventicola complottista che minaccia le sorti del mondo. Può darsi che travisare non sia bene, però, è fuor di dubbio che le responsabilità  sollevate da Giorgio Israel esistano, come esiste  - ed è sotto gli occhi di tutti -  il progressivo degrado dell' insegnamento scolastico, specialmente per quanto concerne discipline come la matematica. Il professor Israel si fa, in questo contesto, critico sagace,  la cui buona fede non può di certo essere messa in discussione , ma per addentrarci nelle sue  disamine occorre aver la pazienza di seguire alcuni ragionamenti. Di sicuro, il generoso impegno profuso, deve avergli portato più grattacapi che profitti, eppure ciò non sembra aver  turbato  minimamente le intenzioni  di questo valente Autore e storico della Scienza. Almeno fino al momento della sua dipartita. Ora toccherà a qualcun altro farsi carico dei suoi moniti.

Qui il video integrale del Prof. Giorgio Israel sulla meccanica aristotelica. Mi scuso con i lettori per la non perfetta linearità dei concetti espressi e per la limitata elaborazione della forma finale del post che abbiamo voluto mantenere il più possibile fedele al linguaggio originale del relatore.  

                                            La meccanica aristotelica

"  Una cattiva divulgazione scientifica ci ha fatto credere che la meccanica aristotelica (Scienza che studia il moto dei corpi) partisse da ipotesi astratte e metafisiche, anziché da fatti concreti e ciò ci ha fatto ritenere che essa fosse in piena contrapposizione alla scienza moderna, ritenuta comunemente una materia che si occupa dei fatti reali. Siamo sicuri che le cose siano proprio così?
Cercheremo di dimostrare - dice Israel - che ciò non sia affatto vero e dunque che sia la scienza moderna invece, a basarsi su ipotesi astratte. Da Galileo in avanti la scienza è sempre partita da ipotesi matematiche, quindi astratte, e da queste ha poi realizzato le sue verifiche sperimentali, tuttavia la pratica sperimentale è cosa ben diversa dall'osservazione empirica dei fenomeni. Non si discutono i successi acquisiti dalla scienza moderna dunque, ma bisogna rilevare i termini di un paradosso evidente: da ipotesi astratte si è giunti a progressi tecnici e tecnologici, fondamento di quel mutamento così radicale del mondo. Ciò è assodato! La meccanica aristotelica, però, si fondava su altri metodi, anzitutto partiva dall'osservazione e da questa  giungeva all' ipotesi di carattere metafisico; nonostante ciò (e nonostante alcuni fraintendimenti conseguenti a questo metodo) l'impostazione aristotelica ha retto e dominato il mondo scientifico per quasi duemila anni, a ben vedere molto più di quanto nono abbia fatto la scienza cosiddetta moderna nelle sue varie declinazioni, classica, relativistica, quantistica. Nel medioevo sono quindi state proposte varie interpretazioni della meccanica aristotelica, tutte piuttosto distanti da quella originale. La meccanica di Aristotele è essenzialmente una meccanica fondata sull'empirismo e si differenzia da altre correnti del pensiero greco, soprattutto su tre aspetti: in primo luogo si oppone radicalmente alla concezione platonistica delle forme ideali , infatti Aristotele asserisce che l'oggetto della Conoscenza è dato dalle cose che percepiamo coi sensi e pertanto la Conoscenza ha un fondamento di carattere empirico. In secondo luogo Aristotele si oppone agli atomisti (Democrito, Leucippo, Epicuro), egli infatti non ricerca una soluzione di carattere quantitativo come estensione spaziale dell'atomo, forma geometrica, dimensione, disposizione; al contrario egli parla di uno studio della fisica basato sull'osservazione delle qualità di tipo differente. In terzo luogo Aristotele si contrappone a Parmenide per il quale l'essere è immutabile. All'opposto,  per Aristotele l'essere , in quanto parte del mondo sub-lunare, è mutabile in tutto e per tutto. Occorre dire a questo proposito che per Aristotele l' universo è diviso in due dalla sfera lunare, sotto la quale tutto è caotico, quindi soggetto a cambiamento, mentre ciò che fa parte del mondo sopra-lunare '  è (appare) ordinato, praticamente perfetto e ogni movimento è ciclicamente calibrato. L' uomo pertanto è imperfetto e, come tutti gli elementi della terra, in continuo mutamento, prima nasce, scresce, si riproduce e poi muore; quindi nel mondo sub-lunare tutto si muove, tutto è soggetto a trasformazione e, di conseguenza, a corruzione.
 Entro l' ottica aristotelica allora il concetto di moto non implica lo spostamento di un corpo nello spazio con le sue coordinate, la traiettoria, una sua velocità più o meno accelerata , bensì la trasformazione del suo aspetto ."

Giorgio Israel ci riporta alcuni passi tratti dal libro di T. Kuhn, Rivoluzione scientifica

Thomas Kuhn  

    La divulgazione  che si è fatta  fino ad oggi della meccanica aristotelica, ci ha fornito un'immagine distorta e poco coerente coi significati del grande filosofo di Stagira. Di questa opinione è Thomas Kuhn, filosofo e storico della scienza. Nel suo libro 'Rivoluzione scientifica' (Il Mulino Ed.) così scrive nell'estate del 1947: " Lessi per la prima volta alcuni lavori del trattato di fisica aristotelica dopo aver conseguito la laurea in Fisica, mentre preparavo una lezione per studenti di discipline non-scientifiche.  Affrontai questi testi partendo dalle mie competenze universitarie sulla meccanica newtoniana  perché allora cercavo di stabilire quanto fosse rimasto nella meccanica newtoniana del pensiero di Aristotele, ovvero quanto dei suoi scritti avesse condizionato gli studi di Galileo prima e di Isaac Newton più tardi. Ben presto mi resi conto che tutto ciò che aveva lasciato Aristotele fosse in qualche modo andato in disuso, decaduto al punto da farlo sembrare completamente all' oscuro di nozioni classiche di meccanica, cioè di meccanica moderna.  Tutto insomma sembrava ancora da scoprire nel '500. "Mentre leggevo Aristotele" - Prosegue Kuhn - " mi pareva, non soltanto che fosse ignorante in matematica, ma che lo fosse anche in fisica. Alla luce delle mie competenze, che erano quelle di un fisico moderno, gli scritti di Aristotele per quanto riguardava lo studio del movimento e dunque della dinamica, mi erano sembrati pieni zeppi di errori madornali ,sia dal punto di vista empirico che logico (7: 02).  Eppure, Aristotele era colui che aveva sistematizzato la logica antica e l'aveva saputo fare con grande scrupolo; rispetto la logica egli aveva avuto la stessa importanza di Euclide nella geometria, aveva saputo dimostrare di essere un attento e fine osservatore della natura e si era distinto  anche riguardo i moti degli astri e dei pianeti. Allora le cose erano due: o aveva goduto di fama immeritata, oppure ero io ad aver preso un granchio coi miei duri giudizi verso il suo operato. Non mi spiegavo come le sue intuizioni avessero potuto reggere per quasi duemila anni dopo la sua morte. Senza contare che nel'500 e nel '600, i suoi trattati descrittivi furono presi a modello  contribuirono a formare la tradizione biologica moderna. (7 : 37 ) Non riuscivo a spiegarmi come mai, proprio in fatto di meccanica, egli avesse potuto toppare così clamorosamente. E se, proprio in questa disciplina, le sue doti gli erano venute meno , come mai i suoi testi di Fisica furono un riferimento assoluto per tanti secoli? Queste domande mi sconcertavano - Ammette Thomas Kuhn -  infatti non sembrava davvero possibile che il suo genio indiscusso avesse travisato tante questioni scientifiche. "

   Kuhn cominciò a pensare di essere lui in errore, piuttosto che il grande filosofo greco. Forse le sue parole  i suoi giudizi avevano avuto per i suoi contemporanei un significato diverso rispetto ad oggi, rispetto ai significati che diamo noi, uomini moderni, a concetti di duemila anni fa.  (8: 20). Animato da questo sospetto, Kuhn continuò a interrogarsi e alla fine, i suoi presentimenti si dimostrarono fondati. Ecco come esprime i suoi dubbi :
" Ero seduto alla scrivania col libro (La Fisica) di Aristotele aperto davanti ai miei occhi, e in mano una matita pronta all'uso. Ad un tratto i frammenti letti in precedenza si riordinarono in modo nuovo nella mia mente e si ricomposero insieme cosicché di colpo vidi il genio e la grandezza del filosofo di Stagira, vidi quanto era stato brillante e compresi che i risultati da lui ottenuti, per il tempo erano stati davvero eccellenti, di un livello difficilmente superabile. Potevo finalmente capire quanto fosse stata grande in passato la sua autorevolezza. Affermazioni che prima, mi erano sembrate completamente sbagliate, adesso, nel peggiore dei casi, mi parevano tentativi estremamente accorti che avevano di poco mancato il bersaglio, quel scomporsi e ricomporsi dei pezzi del suo trattato, furono per me un' esperienza del tutto nuova e straordinariamente illuminante." 
Così conclude Thomas Kuhn  dandoci modo di riflettere sulle sue parole. 

      Una  volta letti questi passaggi relativi  all'esperienza di Kuhn, cercheremo di entrare nel merito della meccanica aristotelica cercando di capire quali sono le caratteristiche che ne fanno pensiero organico, anche se il suo obbiettivo è sempre stato diverso da quello della meccanica classica che si afferma nella cultura occidentale, prima con Galileo e poi con Newton, e si propone essenzialmente di  ungere con sufficiente precisione alla previsione dei fenomeni e agli effetti finali del movimento di un corpo, cioè del suo movimento nello spazio. Aristotele però non dispone di nessuna tecnologia (Cannocchiale, o altro) e non mira a questo fine. Egli ha solo gli occhi per vedere e a questo si limita. Il suo metodo di analisi è dunque, puramente empirico, le ambizioni della nostra scienza, che è la scienza moderna, non sono le sue.  

continua