domenica 28 febbraio 2021

L'interpretazione del valore letterario (quarta parte)

 Al vaglio due lettere: le domande di un autore esordiente e la risposta di Umberto Eco.

Prima parte 

                                Autori Esordienti: scimmie o dèi? 

Come autori esordienti dovremmo accettare i criteri imposti dalla grande editoria e farcene una ragione, oppure tentare di  formularne di nuovi, di originali e ambire a nuovi spazi e traguardi?  Nelle pagine successive ho inteso rispolverare una vecchia lettera di Umberto Eco allo scrittore esordiente Simone Bartoletti. L’intellettuale, scrittore e semiologo Umberto Eco, rappresenta la punta di diamante di un’elite che si fa forte dei propri titoli, un’enclave di dotti dall’atteggiamento superbo, ai limiti dell’arroganza, anche se mascherato di buon senso borghese. Ma ciò fomenta sinistri sospetti rispetto al nostro quesito e cioè rispetto alla possibilità che le case editrici – attraverso criteri condivisi e condivisibili – riescano a far  emergere la qualità di un’opera mai pubblicata prima. La posizione dell’ ‘immortale’ autore è quanto di meglio (o di peggio) ci si possa aspettare da coloro  che sguazzano e ingrassano all’ombra del sistema selettivo ufficialmente adottato dalla grande editoria. Ma l’aspetto più controverso riguarda la remissività apatica di quelli che , entro un siffatto ordine di idee, hanno tutto da perdere.Purtroppo nella mia ricerca in rete mi sono imbattuto prevalentemente in plausi ammirati per la ‘logica’ di Eco e ancor più tristemente ho preso atto che le approvazioni per le sue parole provenivano oltreché dagli editori, come era ovvio attendersi, anche dagli aspiranti scrittori, i quali avrebbero dovuto sottolinearne quantomeno le inverosimili cazzate.

lettera di Simone Bartoletti (scrittore esordiente)

Caro Umberto Eco, Tempo fa ho inviato un mio “libro” ad alcune case editrici, che non si sono minimamente degnate di darmi una risposta. I loro indirizzi sono stati presi sempre su internet, dove chiaramente si poteva leggere che avevano interesse a valutare inediti. Non ho mai avuto sogni di gloria, anche perché non credo di avere i requisiti adatti, però ho voluto realizzare un mio piccolo sogno, cercando soltanto un parere autorevole su quello che poteva essere saltato fuori dalla mia testa, un consiglio, un cenno alla mia esistenza, niente di più. Ho creduto di poterlo trovare in un’ ambiente di cultura, che vive di arte e quindi ritenuto da me più sensibile, ma sbagliavo, ho trovato la più totale indifferenza nei miei confronti e soprattutto verso i miei sentimenti, verso l’amore che avevo messo in quello che avevo fatto, e il tempo che ci avevo perso. Forse sarò un povero analfabeta che sporca fogli nel tentativo di mettere in fila due pensieri, ma credo che un minimo di rispetto lo meritassi, solo per aver tentato. Invece sono stato schiacciato dalla più totale incuranza del mondo d’oggi. Non voglio cadere nella retorica, ma è veramente triste che su una decina di editori da me contattati, nessuno abbia avuto la “cortesia” di scrivermi due righe, che so: “La ringraziamo per la fiducia a noi accordataci ma siamo spiacenti di dirle che la sua opera è un ammasso di cavolate una latrina maleodorante, ci risparmi d’ora in avanti simili schifezze!”. Era troppo forse? Chiedo l’impossibile? È troppo distogliere per un attimo il pensiero dai propri meschini interessi per pensare che dietro a quel misero lavoro esiste un cervello, un cuore con dei sentimenti e dei sogni infantili? Ne arriveranno a centinaia di porcherie alle case editrici, ma basterebbe una lettera standard per dare una risposta a tutti, per non tradire la fiducia che qualcuno vi aveva riposto. Forse la sensibilità non fa più parte del mondo degli affari, visto che ormai anche i libri, l’arte di scrivere non è altro un modo come un’altro per fare soldi, non è altro che un mezzo, come può essere produrre spazzolini per il cesso, né più né meno.    Non voglio giudicare, non credo di essere un grado, ma se considero le porcherie che vengono stampate, o quel groviglio di letterine messe in fila da chi sa chi o da nomi illustri che garantiscano le vendite, forse, in mezzo a questo letamaio, un rimprovero, un incoraggiamento, una stroncatura definitiva me la meritavo. Adesso vorrei solo sapere se Umberto Eco o uno degli altri editori è disposto a leggere il mio “libro”, semplicemente per avere dei suggerimenti, un “bravo” o uno “scemo”. Se possibile rispondetemi, inviandomi magari un indirizzo al quale mandare il mio lavoro. Vi ringrazio anticipatamente, certo di non ricadere in un nuovo baratro di freddezza e indifferenza.”

                                                                                                  Simone Bartoletti

 'Certo di non ricadere in un nuovo baratro di indifferenza'...                                                                                Sigh! Dalla padella nella brace: il baratro in cui è incappato il giovane ed illuso autore, è anche peggio di quello che s'aspettava. 

                                  Perle di erudita saggezza                                                                  Risposta di Umberto Eco (Quand'era ancora mortale)

Disegno di Tullio Pericoli

                       "NON È BENE INVIAR MANOSCRITTI…"

                                                           Suggerisce l’immortale scrittore.

A meno che:

1)  non si parta da una posizione di assoluto prestigio sociale, che so io,non si  abbia  la fortuna di esser re, presidente di una nazione o deputato parlamentare,  dirigente o consigliere d’amministrazione di un’azienda di stato.

 2) non si abbia a disposizione: un canale televisivo (meglio se sono tre)

 3) non si goda dei favori di  un editore di rango ( condizione conseguente al punto b)

4) non si goda dei favori di una testata ad ampia tiratura                                                        ( condizione  conseguente al  punto a, b, c .)  

5) non si ricopra un ruolo dirigenziale un un’azienda televisiva.

6) non si sia disposti ad infarcire il proprio lavoro di contenuti ideologici.

Per puro caso il signor Umbro Eco poteva permettersi  di soddisfare tutte e sei le condizioni precedenti e, nonostante ciò,  prestando attenzione a non menzionare mai questo suo stato di invidiabile privilegio, si permetteva pure di dare consigli agli scrittori emergenti. Ma leggiamole dunque, le sue impagabili perle di saggezza:

Opera del pittore napoletano Mimmo Di Caterino

Caro Simone  Bartoletti,                                                                                                                                                                 Rispondo volentieri al suo messaggio
 perché spero così di raggiungere altre persone che si trovano nella sua situazione, per dire loro candidamente come vanno le cose a questo mondo. Vengo anzitutto alla sua ultima richiesta, se io sia disposto a leggere il suo manoscritto. La risposta è no, e le ragioni sono tutte ispirate a un profondo principio di lealtà. Io (ma questa situazione è comune a molti scrittori e studiosi di una certa notorietà) ricevo ogni settimana almeno una decina di manoscritti (spediti da persone che non hanno avuto la delicatezza di fare come lei, e chiedermi prima se potevano inviarlo), dei generi più svariati, in gran parte racconti e romanzi, ma anche opere storiche o addirittura dimostrazioni sull’esistenza di Atlantide o del continente scomparso di Mu. A questi si aggiungono bozze di libri inviati liberalmente da editori stranieri che chiedono un blurb, e cioè una di quelle frasi di raccomandazione dell’opera che si stampano poi sull’ultima di copertina o in fascetta. Dieci manoscritti alla settimana fanno 520 all’anno. Una persona come me, che fa il professore universitario, dirige una rivista scientifica e due collane specializzate, è tenuto a leggere (e correggere, e rileggere) tesi di laurea voluminosissime e manoscritti inviati per la pubblicazione, per dovere d’ufficio, oltre a seguire quanto si pubblica nel proprio campo, per tenersi dovutamente aggiornato (anche se la mole di materiale che arriva è anche quella insostenibile). Anche a volersi eroicamente occupare degli altri manoscritti in arrivo, si può dedicare al massimo (diciamo) due ore giornaliere, strappate al sonno, alla lettura di tale materiale – a parte il fatto che, dopo aver letto per obbligo centinaia di pagine, ballano gli occhi. Tenuto conto che per leggere (bene) un manoscritto che può andare da cento a quattrocento pagine, anche procedendo a tre minuti a pagina (che è lo standard della lettura veloce ad alta voce), calcolando un libro medio di 250 pagine, saremmo a dodici ore, e quindi 24 giorni per libro, i conti sono facili da fare. 24 giorni per 250 libri fa 4000 giorni, e l’anno ne ha 365. Pertanto chiunque (che non faccia il mestiere full time di lettore per una casa editrice), ricevendo un manoscritto promette di guardarlo, mente. Al massimo lo annusa, ne legge le prime righe, ed emette un giudizio evidentemente poco fondato. A me non piace ingannare la gente in questo modo.La informo di un altro particolare, su cui nessuno ha mai detto la verità. Quando l’autore noto di una casa editrice invia alla direzione un manoscritto che ha ricevuto, dicendo che vale la pena di prenderlo in considerazione, rarissimamente gli si dà ascolto. Vige la persuasione che l’autore noto abbia rifilato loro qualcuno che lo stava sottomettendo a molte pressioni e che se la sia cavata in quel modo. È triste ma è così. Passiamo ora alle case editrici che sollecitano manoscritti. Di solito cercano autori a pagamento, sono disposte a pubblicare qualsiasi cosa e se non rispondono è perché ne hanno già troppa. Sul funzionamento di queste case si veda cosa racconto nel mio Pendolo di Foucault a proposito del signor Garamond. È un romanzo, ma fondato su fatti reali. Una casa editrice seria e importante, che non sollecita pubblicamente manoscritti, ne riceve comunque tantissimi – certamente cento volte più di quanti ne riceva io. Di solito (ma non esiste una regola generale) cerca di farli guardare tutti. È improbabile che li possa leggere il direttore editoriale (altrimenti non avrebbe tempo per dirigere), e spesso li si affida a lettori esterni.  Quando lavoravo in una casa editrice ne conoscevo uno, intelligentissimo e con una penna intrisa nel vetriolo, che passava la giornata sdraiato sul letto e leggeva tutti i manoscritti che riceveva. Queste letture gli venivano pagate con molta parsimonia, ma tutto sommato così campava. Li leggeva davvero, e mandava giudizi di fuoco – anche se qualche volta esprimeva rispetto e ammirazione per qualche testo. In casa editrice si faceva fatica a leggere tutti i giudizi, di una o due cartelle, che costui inviava giorno per giorno. Io adesso non ricordo bene (anche perché di solito i manoscritti in arrivo sono di carattere narrativo, e io mi occupavo solo di saggistica) ma non ho presente alcun manoscritto che sia poi diventato un libro. Perché? Anzitutto si legga il gustoso libretto di Fabio Mauri, I 21 modi di non pubblicare un libro (Bologna, Il Mulino, 1990; per questo libro ho scritto una prefazione: Chi manoscrive è perduto). Riassumendo, un bravo editore è ansioso di scoprire nuovi talenti ma non si fida dell’autore che spunta improvvisamente dal nulla. Va cercare il talento là dove si forma, così come avviene nello sport, ed è raro che qualcuno arrivi ad essere assunto come centravanti della Juventus se non è stato scoperto e apprezzato mentre giocava in una squadra di serie B, e prima di serie C, e prima ancora nella squadra della polisportiva locale o dell’oratorio salesiano. La vita letteraria, almeno dai tempi di Catullo sino a oggi, è fatta di gruppi, di persone anche giovanissime che s’incontrano e si scambiano i loro lavori, poi li pubblicano su una piccola rivista, poi su una più nota, e passano, per così dire, una prima selezione da parte dei loro pari. Ed è lì che l’editore va a cercare le personalità interessanti. È verissimo che può esistere anche il genio sconosciuto, che vive in un paesino isolato dal mondo, ma di solito ogni attività “creativa” si svolge tra gli altri, e in questo modo si affrontano i primi giudizi, si impara. Se un editore cerca qualcuno capace di fargli una buona biografia di Giulio Cesare, va a sfogliare le riviste di storia, o i programmi dei convegni sulla storia romana. Solo così sa che una persona, che sostiene di essere esperta su Giulio Cesare, è già stata valutata da chi segue queste cose, e ha così una prima garanzia. Ma lo stesso avviene anche per i giovani poeti, che incominciano ad apparire su piccole riviste di poesia, o ricevono il premio di poesia per i liceali di Roccacannuccia, e iniziano a farsi conoscere. Se non hanno saputo arrivare almeno sino a quel punto, dove stavano, con chi si misuravano?  Il genio solitario non è mai escluso, ma quando si legge di scrittori ignorati in vita e scoperti dopo la morte, esempio massimo Giuseppe Tomasi di Lampedusa, si vede che in vita frequentavano cenacoli letterari, erano stimati da molti scrittori magari meno bravi e più fortunati di loro, non erano affatto dei selvaggi spuntati dal nulla. Raramente un grande giornalista è arrivato al quotidiano nazionale senza prima aver mostrato le sue qualità sulla gazzetta locale, o addirittura sul bollettino parrocchiale. Chieda ai grandi giornalisti. Le diranno tanti che hanno fatto una lunga gavetta e solo così sono diventati poi notissimi – anche perché far la gavetta vuole dire migliorare lentamente giorno per giorno. Questa persuasione, che gli editori hanno, che di solito è meglio cercare i futuri campioni in palestra, è giusta, e il più delle volte ha funzionato. Quindi, ai giovani che mi chiedono come fare pervenire un loro manoscritto al grande editore, io dico di non bruciare le tappe, e iniziare a farsi conoscere tra quelli che, come loro, scrivono, e pubblicano lentamente le loro prime prove. Potrei aggiungere che io, neppure da giovanissimo, ho mai mandato manoscritti a case editrici. Ho aspettato che un editore, leggendomi altrove, mi abbia proposto di fare qualcosa. È passato del tempo, ma ho sempre sostenuto che se sei caporale devi darti da fare per diventare sergente, senza voler diventare generale di un colpo. Se poi qualcuno dice orgogliosamente che non vuole sottoporsi al giudizio dei suoi pari ma è disponibile solo per il grande editore, e non vuole fare gavette, perché è convinto di avere scritto un capolavoro (e magari è vero) deve anche pagare per il suo legittimo orgoglio, e spesso accontentarsi di avere scritto un capolavoro, anche se gli altri non gli danno retta. Aspetti la riscoperta dei posteri, nella storia è accaduto. Passiamo alle lettere degli editori. Un editore che non risponde all’invio di un manoscritto (anche se qualche tempo dopo, perché abbiamo visto che, se lo fa leggere, gli ci vuole del tempo) è scortese. Un editore che risponde con la formula solita (“i nostri programmi sono già definiti per due anni”), è un editore per bene, e nessuno può lamentarsi se ha fatto il suo lavoro, che è anche quello di respingere almeno l’ottanta per cento delle proposte che gli arrivano. Quanto alla sua richiesta di ricevere almeno un giudizio sincero come “la sua opera è una schifezza”, ho conosciuto redattori editoriali che scrivevano all’autore perché e dove la sua opera non funzionava, invitandoli a rivedere il lavoro, ma di solito ricevevano in cambio lettere di insulti. Una volta è accaduto a me di scrivere almeno tre cartelle di analisi critica per dire a un signore (distinto professionista) perché il suo lavoro non andava bene e cosa avrebbe dovuto fare per migliorarlo, e qualche tempo dopo quel signore mi ha mandato copia di lettera inviata a un celebre brigatista rosso in carcere, dove lo invitava a dire ai suoi compagni a piede libero di punire non solo i loro diretti avversari politici, ma anche i detentori del potere mafioso editoriale (io nella fattispecie). Questo spiega perché è più comodo per l’editore declinare il manoscritto con una lettera cortese senza compromettersi troppo. Inoltre, se non esiste una editoria di stato, come nei paesi sotto dittatura, una casa editrice è una azienda privata e ha il pieno diritto di pubblicare quello che vuole o che ritiene più redditizio (magari non sempre in termini di denaro, ma anche di prestigio). Se sbagliano, peggio per loro. Editori famosi hanno rifiutato opere, di grande valore letterario o di grande successo commerciale, come Via col vento, Il gattopardo, Il Tamburo di latta, Lolita, e via dicendo, mentre altri sono stati più accorti. Un editore francese, tra l’altro carissimo amico e lettore molto fine, mi ha rifiutato Il Nome della Rosa (per carità, non glielo avevo mandato io, semplicemente lo aveva visto in catalogo dall’editore italiano) dicendomi “la balena è troppo grossa e non può funzionare commercialmente”. Invece un suo concorrente l’ha pubblicato, e gli è andata bene. È la vita editoriale. Ci sarebbe un modo per venire incontro all’autore solitario, evitandogli penose trafile? Forse c’è ma, dal secolo XV, quando è stata inventata la stampa, non è stato trovato. È certo che nei secoli hanno trionfato autori pessimi (ma poi i posteri hanno fatto giustizia), e sono stati lasciati cadere nel nulla autori bravissimi. In letteratura non vale il principio della selezione darwiniana, per cui sopravvivono solo i più forti (ma poi anche lì, perché hanno dovuto scomparire i dinosauri, che erano tanto buoni e simpatici?). Però, se ci voltiamo indietro, ci accorgiamo che tanti autori veramente importanti, che ai loro tempi avevano subito vari ostracismi, ci sono rimasti, e quindi si vede che in questa giungla, sia pure col sacrificio di tanti meritevoli innocenti, la vita è andata avanti in modo ragionevole. E se il vicino di casa di Proust fosse stato tanto più bravo di lui e nessuno se ne fosse accorto. Per lui sarebbe tristissimo, per l’umanità basta Proust, e avanza. So che con queste mie considerazioni non l’ho consolata. Ma, quando ero studente, un mio giovane maestro aveva fatto una conferenza intitolata “La filosofia non consola”, e da quel titolo (anche se non ricordo il contenuto) ho imparato molto. Ci sono due modi di consolare: uno è di dare false illusioni, ed è disonesto; l’altro è di spiegare come vanno le cose a questo mondo, così che gli altri, anche se non intendono adattarsi all’andazzo corrente, sappiano almeno come si può reagire.                                                                       

                                                                                                            Umberto Eco

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28 commenti:

  1. Anonimo09:05:00

    Leggo la verbosa e inconcludnte risposta turandomi il naso. E questo sarebbe il nostro intellettuale da esportazione......Sigh!

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  2. Giorgio Barufi G13:48:00

    Caro Fabio,premetto che il mio fine non è vendere, bensì creare un passaparola e condividere. Se mi si prospettasse la possibilità di scrivere su altri siti, in modo più oggettivo, e con un fine di vendita, allora farei scelte stilistiche molto diverse.

    Scrivere oggettivamente non è al di fuori delle mie possibilità, anzi, lo faccio per altri contesti e situazioni più professionali, Da qui la scelta di rimanere sul soggettivo, perché un lettore da sempre un parere che è soggettivo e mai oggettivo. Se acquisto un libro, che sia di un contemporaneo o, come nel caso presente, di un autore passato, esprimo un’opinione che è sempre personale. Ci possono essere migliaia di persone che la pensano diversamente da me, ed ecco il motivo per cui esprimo un’idea che resta volutamente sul personale.

    Per rispondere alla tua domanda, no, non credo si possa arrivare a una tesi di bellezza assoluta, specie nell’arte, laddove qualunque prodotto dell’arte è passibile di critica ed è dunque relativa alla percezione soggettiva. Naturalmente, anche questa mia opinione è passibile di critica, e sono curioso di sapere cosa ne pensi in merito.

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  3. per il vero la penso in maniera piuttosto precisa. Prima di risponderti però consentimi due piccole domande:
    – ritieni che l’opinabilità di un arbitro di calcio sia un elemento decisivo e insostituibile? Tieni conto che fra i più alti dirigenti fifa c’è chi sostiene ancora a gran voce che il regolamento va ‘interpretato’ non applicato.
    ed ancora:
    – in riferimento a una cura ritieni più affidabile un esame diagnostico o il parere di uno specialista d’esperienza?

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  4. Confucio sosteneva che di tre persone che ti passano accanto, una potrebbe essere il tuo maestro. Io credo che il rapporto sia sensibilmente più alto, essendo ciascuno di noi portatore di esperienze, contesti e formazioni diverse. Vediamo quanto tu sarai maestro per me oggi.
    Non mi piace parlare in termini assoluti, cosa che leggo nelle tue domande out out.
    L’opinabilità dell’arbitro è importante come il regolamento. Entrambi sono fallibili, l’opinione è soggetta a limiti vari (percezione, attenzione, pregiudizio ecc). Un regolamento è troppo rigido per essere applicato ugualmente in ogni situazione.
    Sulla diagnostica: il criterio scientifico non esclude il parere esperto ed entrambi hanno limiti. L’ultimo manuale diagnostico dei disturbi mentali afferma che basta un’abbuffata per definire una persona bulimica (prima erano più abbuffate in sei mesi). Ci fidiamo del criterio oggettivo o in modo critico sosteniamo che, forse, c’è la tendenza delle case farmaceutiche a medicalizzare il più possibile? In sintesi, mi sembra che la nostra discussione stia sfociando nella dicotomia oggettivo-soggettivo. A me piace pensare che più che una dicotomia di fattori mutualmente escludentesi, siano posizioni di un continuum. Non ci possiamo arroccare sull’oggettività di regolamenti asettici e di criteri diagnostici perché esiste la variabilità umana. Non possiamo arroccarci sulla soggettività dell’arbitro o dell’esperto perché esiste la fallibilità umana. Possiamo passare però dall’out out all’et et, scegliendo ed essendo consapevoli della nostra posizione sul continuum. Credendo che l’arte sia espressione, preferisco andare verso il soggettivo più che pormi nel criterio oggettivo tout court.
    L’urlo di Munch è oggettivamente un bel quadro? Ho i miei dubbi. Soggettivamente lo è perché esprime il delirio psicotico di Munch e per la mia formazione psi ha un forte valore espressivo.

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  6. Cordiale e paziente Giorgio, è solo per esaudire la tua curiosità che cercherò di sviluppare una replica. Data la complessità del tema sarà però difficile mantenersi ligi ai doveri di sintesi. In pratica si tratta di porre le basi per una discussione costruttiva riguardo il problema della selezione critica dei testi di narrativa, dove per ‘critica’ si intende la possibilità di attenersi a una criterialità condivisa e quindi non suscettibile di interpretazione.

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  7. È una discussione che mi entusiasma e che penso possa farmi apprendere molto. Specie se partiamo da premesse diverse.Ho una differenza da te, sono uno psicologo. L’interpretazione fa parte della mia professione, tanto quanto la criterialità, laddove i criteri sono norme e deviazioni standard. Ma sono portato a credere che la norma, intesa come punto zero di normalità assoluta, non esista. Sia solo una media di tante variabilità.Questa differenza tra noi la considero una ricchezza che può farmi apprendere un punto di vista diverso dal mio.
    Detto ciò, ti chiedo: l’arte può avere una norma? Ci sono criteri aprioristici per stabilire cosa è bello e cosa no? Possono essere costruiti? E se sì, da che dipendono? Non sono domande retoriche, ci sto riflettendo anche io. ��

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  8. Accipicchia che belle premesse! Consentimi anzitutto di spogliarmi di quel carisma (di potenziale maestro) che non sento di meritare, nemmeno se il sarto in questione si chiama Confucio, peraltro a me quasi totalmente sconosciuto ; ma andiamo con ordine:
    – Anch’io penso che esista un continuum fra le due categorie, che però devono essere relegate al rispettivo campo d’appartenenza per esser incluse nel reale. E' infatti attraverso la misura che si stabilisce il dialogo o, se vuoi, il confronto, dal quale principia ogni procedimento discriminativo. Il diverso è dunque concepibile solo attraverso l’apporto codificato per simboli (e come sai il simbolo non può essere interpretato.lo prevede la famosa dialettica). Io vengo dal mondo della sanità e perciò, stavolta con un po’ di pedanteria, posso dire che il potere della farmaceutica fonda tutti i suoi profitti (per un buon settanta per cento, ad esser moderati) sullo stravolgimento dei criteri di ricerca scientifica e cioè sulla concezione arbitraria che si è inteso dare a determinati presupposti di indagine. Perchè? per favorire il mercato, ovvio. In vari campi della ricerca medica, io conosco bene la neuroriabilitazione, l’utilizzo di 'ritrovati terapeutici' del tutto teorici e mai suffragati da corrette procedure di ricerca, è massiccio. In reuroriabilitazione non esistono studi disciplinati da criteri realmente scientifici. Tanto per capirci: uno strumento che misura l’ansia non esiste, come non esiste esame per determinare se tu cammini meglio o peggio di me , tuttavia una logica alternativa che nessuno ha mai convertito in una seria ricerca, esiste; soltanto che nessuno spenderebbe un soldo in ricerca a favore di sistemi diagnostici e terapeutici attendibili. Perché Gli stessi cattedratici che dovrebbero promuovere questo genere di studi sarebbero i primi ad essere penalizzati, difatti davanti a un referto obiettivo non avrebbero più la possibilità di decidere le cose dall'alto dei loro titoli accademici. Insomma l'accademia ci tiene al suo potere, figuriamoci se può aver interesse a finanziare una ricerca. Così come uno sciamano preferirebbe assaggiare le urine e decidere in autonomia l'eventuale intruglio da vendere al malato di turno, piuttosto che ricorrere a un'analisi chimica. Dopo tanti secoli di storia del pensiero scientifico, siamo insomma ancora fermi alle vecchie, primitive logiche di gestione (delle risorse comunitarie) dei nostri antenati con l'anello al naso e la faccia dipinta di blu. Ovviamente ciò vale per alcuni settori della medicina, non per tutti.

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  9. come per l’appunto dicevamo: ove non esistono regole l’autorità impone senza tanti complimenti le proprie. E talvolta sradica quelle esistenti per meglio affrancare i propri dettami, scientifici, stilistici, artistici e via dicendo.
    Per quanto riguarda la media delle variabilità, consentimi di precisare che la media armonica nel mondo della natura, del variabile per antonomasia, non esiste!. E’ un concetto decisamente stravolto dalla partizione matematico-meccanicista, del tutto inadatta a rappresentare il fattore fisico-biofisico. Vedi come combaciano le nostre valutaz.? Ecco perchè ti ho parlato di falsi presupposti di ricerca scientifica, ma tu col tuo commento mi hai opportunamente e adeguatmnt anticipato. Sì, credo che ora siamo perfettamente allineati e possiamo affrontare questo scambio con maggior serenità

    la differenza fra noi è che tu sei un bravo psicologo che crede ancora nel suo lavoro, io ne sono fuori, la mia professionalità è fuffa, per questo posso rivisitarla e denigrarla a mio piacimento. Vorrei però che il fulcro delle nostre analisi ruotasse preferenzialmente sulla questione valutazione editoriale o al massimo artistica. lasciamo le nostre rispettive esperienze professionali a margine, sennò chissà dove andiamo a parare.

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  10. Ottimo sapere che le premesse coincidano.
    Allora, partiamo.
    La domanda che mi hai stimolato è questa: è possibile valutare l’arte utilizzando criteri oggettivi?
    E se sì, sono aprioristici? Mutano a seconda dei gruppi e delle culture? E se utilizziamo il criterio oggettivo, che spazio lasciamo alla soggettività? E’ un discorso che mi interessa molto, non lo isolerei solo alla narrativa, ma all’arte in tutte le sue forme, se ci riusciamo. Sono d’accordo di lasciare da parte le professionalità, almeno in questo nostro scambio, ma era doveroso in qualche modo conoscerci, capire da che premesse partivamo

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  11. Preferirei rispondere alle tue ultime in maniera didascalica, poi magari approfondiremo meglio.
    – L’obiettività di un giudizio letterario non può considerarsi come una formula matematica e fornire una serie di numeri, possiamo però dire che tutte le opere, in quanto tali, devono saper scandagliare determinati aspetti della realtà. Facendo tesoro di poche competenze tecniche prese a prestito dalla pittura direi che i molteplici aspetti del reale, possano intendersi anche e soprattutto come narrazione dell’io in relazione al trascendente, al sentimento e via dicendo. C’è lo stile e c’è la metafora, vi sono insomma decine di sfaccettature che provengono dalle infinite cmbnz di pochi aspetti fondamentali dell’esistenza. Come, ad esempio, i tre colori primari sviluppano l’infinita gamma cromatica presenti nel reale (rappresentazione del) e nell’immaginario. Puoi esprimerti quindi utilizzando tutti i colori della tua tavolozza ma sappi che essi provengono da soli tre elementi base. Tanto per cominciare dovremmo allora sforzarci di individuare <>tre livelli ‘primari’<> di contenuti anche per la narrativa.

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  12. – nel canto, la vocalità di un interprete è considerata di gran livello quando le frequenze toccano i limiti della scala acuti-bassi. Esistono voci molto meno limpide di quella di Mina, che producono effetti straordinari, nessuno lo nega, ma una vocalità capace di esprimersi in tal modo (come Mina), se esiste una coerenza selettiva, non potrà mai essere affossata dalla critica ufficiale. E non sembra che la personalità, le capacità interpretative dell’artista subiscano limiti espressivi nel solo riconoscimento di questa evidenza. Su un piano parallelo possiamo considerare la pittura di Van Gogh, in lui l’utilizzo dei colori è massiccio, tanto intenso da farlo sistematicamente stroncare dalla critica dei baroni dell’Acadèmie Royale etc..etc. Questi due casi (Mina e Van Gogh) pongono un primo, giusto criterio sulla funzione della valutazione selettiva di un’opera. In questo ti do pienamente ragione: non si possono utilizzare eventuali criteri per definire piani diversi di eccellenza. Questo non si può fare! Tuttavia attraverso una criterialità condivisa si può evitare di perdere per strada gli elementi che palesano enormi ed indubbie qualità. In questo fattore vedo un grande potenziale. L’importante è individuare ciò che esprime un buon gradiente qualitativo (la scala vocale nel canto, e la gamma cromatica nella pittura) definire poi una scala numerica di valori, Questo no! Posso confermare – come tu dici – che non si può fare. Intanto però cominciamo nell’opera di cernita, cominciamo a salvaguardare ciò che non può essere relegato nel dimenticatoio ideologico. Van gogh (e molti altri) giungono a noi grazie alla competenza e al coraggio di chi ha saputo imporre le proprie tesi sull’arroganza del metodo accademico. Non si può certo dire che la ronda di notte (Rembrandt) sia migliore della ragazza con l’orecchino (Vermeer); ricevendo uno di questi capolavori in busta chiusa dovremmo perciò cercare di trovare il modo di non rispedirli al mittente, confusi fra le croste di mille altri autori sconosciuti che non palesano analoghe qualità nella conoscenza della materia e nella capacità di saperla includere in un progetto espressivo. Per il momento lascerei fuori il fattore innovativo, quello concettuale da cui scaturiscono le nuove ricerche e le nuove idee avanguardistiche). Ma anche qui si può cominciare a sviluppare un’ analisi onesta sull’orientamento che esse hanno determinato nelle società e nella cultura. Cubismo, Espressionismo, Impressionismo, Futurismo, Vorticismo, hanno addirittura preceduto le ricerche scientifiche, talvolta le hanno perfino messe in ridicolo (nel caso degli studi ottici di Newton). Un manipolo di insulsi pittori ha sconfessato uno scienziato, ti rendi conto? Esistono quindi riferimenti precisi, univoci, tipici di ogni corso di rinnovamento. Ecco anche qui si potrebbe lavorare per la proposta/studio di ulteriori indirizzi parametrali. Bueno, ora stacco. non so se son stato chiaro.

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  13. C’è una cosa che però non capisco.
    Il successo di Van Gogh e di altri, se dipende da “la competenza e il coraggio di chi ha saputo imporre le proprie tesi sull’arroganza del metodo accademico”, non è forse partito da chi ha scelto criteri altri? E nello scegliere criteri altri, non si è comunque partiti da una soggettività?

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  14. E sono molto incuriosito dai criteri con cui valuteresti un libro: vediamoli assieme. Qual è l criterio più importante da cui partiresti?

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  15. Bastian C17:45:00

    dopo quattro pubblicazioni con case editoriali “classiche” comincio ad essere stanco del battagliare per difendere la virgola. ho editato un mio testo su Amazon, a costo base senza ricavi personale ed a breve immagino di fare lo stesso con un'altra opera, che vorrei terminare entro Agosto. Il mercato delle case editoriali “classiche” guarda con interesse le cattedre universitarie e gli intellettuali da salotto mediatico, tirano ancora romanzi di puro intrattenimento, fermo restante che se acquisti in blocco delle copie del tuo manoscritto puoi pubblicare a prescindere dal prodotto dato che copri le spese di produzione; ma se scrivo per me, che senso ha pubblicare?

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  16. Buongiorno a tutti. Sono uno studente di Filosofia. Vorrei dire che l’arte (in senso lato) è valutabile oggettivamente? No, la valutazione è sempre soggettiva, e lo dimostra, in editoria nello specifico, il gran numero di editori che ci sono sul mercato: le valutazioni sono sempre personali, così come le scelte di collana e catalogo dimostrano. Le regole, le norme, la sintassi, la grammatica, la forma, sono solo i limiti oggettivamente riconosciuti entro i quali possiamo valutare la “forma” di un testo. I contenuti sono altro. Lo stesso vale nelle altre arti, così come è vero che ciò che non si apprezza in un paese, in una cultura, è magari apprezzabilissimo in altri luoghi.
    Detto questo cosa accade quando presentiamo un manoscritto a un editore? Accade che incontriamo un lettore (o più lettori) che ha un gusto, che fa scelte di lettura ma che fa anche scelte commerciali. Non dimentichiamo che un editore è un’azienda che deve fatturare, quindi questa variabile non indifferente guiderà le sue scelte, alla fine. Sono pochissimi gli editori che lavorano ancora guidati dalla passione e solo da quella e, in ogni caso, con la mole di testi che ogni giorno vengono inviati al loro cospetto, una scelta la dovranno fare comunque. Ecco perché il fenomeno dell’auto-pubblicazione è così fiorente. Io scrivo, io mi valuto, mi correggo, mi giudico, mi pubblico. Nessun confronto. Eppure resto dell’idea che quei no ricevuti dopo un confronto con un editore onesto dovrebbero essere conservati come un bene prezioso. Poi possiamo anche decidere che il confronto non è stato soddisfacente e continuare per la nostra strada, ma è da questi scambi che ci risparmiamo tanta fuffa e, magari, riusciamo a leggere qualcosa di valore.

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  17. Giorgio mi chiedi troppo. La storia ci dice che gli impressionisti mossero feroci contestazioni ai metodi dell’Acadèmie, stop. Non ti so dire quali argomenti utilizzarono. Però dubito che ponessero semplicemente un parere alternativo a quello ufficiale e che quindi contrapponessero semplicemente un registro di pareri soggettivi. Il metodo di quegli artisti era un altro, indagavano i fenomeni ottici, adoperavano il metodo scientifico e ad esso si ispiravano. L’abbiamo ricordato precedentemente, per il Cubismo. Per quanto concerne l’Impressionismo bisogna ricordare che si parla di un movimento che ha ridicolizzato le basi di alcune teorizzazioni scientifiche dell’epoca, riguardo l’ottica e la rifrazione ad esempio. Si parla degli impressionisti come di scienziati empirici, grandi studiosi (non opinionisti) di fenomeni legati alla luce e ai condizionamenti percettivi e una gran quantità di teorie riconosciute a posteriori come valide. Se sostenevano Van Gogh, contro le stroncature dei critici dell’epoca, suppongo disponessero di motivazioni piuttosto forti. Non ho ulteriori info, purtroppo.
    Una cosa vorrei chiederla io, però. Vi ho messo a disposizione una buona parte del materiale raccolto in rete sull’argomento, più o meno con la consueta operazione, cioè mettendo in relazione argomenti trattati e dibattuti altrove. Non si tratta dunque di farina del mio sacco. Mi servirebbe ora qualche parolina in più da parte vostra, ovvero: cosa proponete per risalire a quegli elementi di confronto primari di cui si è detto? Ora urge partorire nuove proposte, ammesso che abbiate condiviso il resto. Tutto il resto, naturalmente.

    Gibìgì, riguardo la domanda che hai posto, vorrei dire che in questa sede, al pari di altri, stiamo cercando proprio una serie di motivazioni da contrapporre al solito e inconcludente de gustibus, adoperato dai grandi editori. Mi sembra sia stato detto (Paolo), e giustamente, che essi si rifanno alle valutazioni (personali) dei loro editor, poste senza alcun criterio selettivo appena appena condivisibile, non dico quindi ‘oggettivo’. Non vi racconto la mia esperienza personale, potreste rimanerci male. Sembrate un po’ ingenui. Non sembrate aver consapevolezza che la posta in gioco è molto più alta del semplice profitto. E’ in gioco il controllo delle idee, il controllo delle fondamenta ideologiche della stessa cultura. Le innovazioni disturbano, potrebbero alterare equilibri consolidati. Ma questa è un’altra storia…

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  18. La risposta secca Giorgio è NO. Ma l’ho anche detto prima. Un editore, anche se usa la sua passione per valutare, poi deve fare i conti col mercato e la borsa. Ha un’azienda e le sue regole sono ferree, non passionali. Ho anche detto però che di editori ce ne sono tantissimi e sono convinto che ognuno abbia la sua fetta/nicchia/sezione di mercato per cui anche quel libro particolare possa essere pubblicato. Ma stiamo parlando del sesso degli angeli… chi decide che un’opera sia molto innovativa e bella? Secondo quale criterio qualcuno si può arrogare il diritto di deciderlo? Il bello non è un valore assoluto e l’innovazione è vecchia il giorno dopo. Tutto resta molto soggettivo…

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  19. Qual è un editore che riesce a valutare oggettivamente, senza pensare al soldo?
    Mi spiego: un’opera molto innovativa, bella, ma con poche possibilità di vendita, ha possibilità di superare una valutazione?

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  20. Sul controllo delle idee, sarò ingenuo, ma ho qualche perplessità. Nell’era di internet e dell’autopubblicazione e con la presenza di tantissime (troppe) CE, mi sembra difficile che un’idea possa essere controllata. Ma naturalmente, se la pensi così, avrai avuto le tue esperienze in tal senso.

    Ti posso dire quali sono i criteri con cui valuto un libro. La mia perplessità è: sono tutti condivisibili o sono personali, i miei criteri, passibili di critica?

    grammatica: per me è fondamentale.
    capacità dell’autore (e dell’editore) di attrarmi verso il testo: quarta di copertina, copertina ecc.
    metafore: più ce ne sono, più sono contento. A queste aggiungo le immagini che i giochi di parole possono creare. Ho letto libri che raccontavano seccamente i fatti, senza mai giocare con le parole. Prendiamo Gatsby: Fritzgerald offre delle descrizioni stupende, giocando con parole, suoni, colori, sapori.
    Emozioni: tra i contemporanei noto la presenza di una forte alessitimia, un’incapacità a esprimere le proprie emozioni, e quelle dei personaggi. Trovi un libro che ti vuol descrivere la fine del mondo, magari, con un personaggio che resta a conti fatti “un po’ turbato dall’accaduto”, quando nel qui ed ora del narrato dovrebbe avere un vero e proprio attacco di panico.

    (Ecco, prendiamo le emozioni: per me sono un criterio principe, immancabile in un testo di narrativa. Ma ho sempre pensato che fosse un mio criterio, soggettivo, data anche la formazione che ho. E’ possibile farlo diventare criterio condiviso?)

    Bilanciamento tra azione e descrizione: sono per chi sa dosare le due cose, senza eccedere nell’una o nell’altra.

    Capacità dell’autore di farmi porre degli interrogativi, non diretti, ma indirettamente, attraverso ciò che narra.

    Per ora mi fermo qui, la lista non si è esaurita, ma sono curioso di sapere cosa ne pensiate, specie sulle emozioni.

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  21. gli spunti sono ottimi, Gigibì.
    La padronanza della lingua è fondamentale, siamo d’accordo, ma non può reggere da sola il peso di un giudizio critico con la maiuscola (anche se io ho usato il minuscolo). Consideriamolo un primo, utile tassello, o un criterio morbido; ma andiamo avanti, ne occorrono di più forti. Sull’impatto del fattore emozionalità ritengo siano tutti d’accordo, ma anche questo risente del parere personale dell’analista: altro criterio morbido. Le scuole di pnl confermano ciò che tu dici, però il fattore emozionalità è troppo legato a condizionamenti esterni ed interiori. Difficile assediarli entro un criterio discriminativo, per il momento lo mettiamo da parte nella speranza venga tirato a rimorchio dalla efficacia degli altri parametri.
    Sull’ impianto metaforico invece penso si possa trovare un primo ancoraggio forte. Un massiccio uso di metafore contraddistingue gran parte della scrittura dei grandi autori del passato. Indicherei però, sul medesimo binario, anche la capacità di introdurre robuste rappresentazioni simboliche.
    Trovo un riferimento emblematico, rispetto ai simboli, nell’anello di Tolkien. Tuttavia esso potrebbe introdurre un elemento simbolico amalgamato allo sviluppo del racconto e ciò, a mio parere ne muterebbe la qualità. L’uso dei simboli e, di conseguenza, l’abilità di cementarli a un messaggio (etico o altro) può rappresentare un segno distintivo molto importante, a patto però che la simbologia introdotta sia coerente a un preciso intento comunicativo. Non penso che esistano attualmente molti autori in grado di cimentarsi in tal senso. Se sbaglio correggetemi, ne sarò felice. Si potrebbe aggiungere altro ma per ora rilancio la palla.

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  22. Anonimo08:31:00

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  23. Sulla padronanza della lingua: sì, per me è uno dei criteri, non quello centrale. Però fermiamoci un attimo: perché io l’ho un poco esaltato e tu no? Forse perché, stiamo parlando dei libri come Gatsby, come “Una stanza tutta per me” (Woolf), classici insomma. Dai per scontato che siano ben scritti, o comunque scritti decentemente. Oggi però esiste l’ auto-pubblicazione e case editrice che non fanno un corretto editing e di deliri grammaticali e sintattici ne ho visti molti. Non parlo solo di refusi, ma di consecutio temporum, termini errati ecc. A questo livello, diventa importante che, quantomeno, sia ben scritto. Ovvio, potremmo pensare che sia la base, il punto zero da cui partire: se non è ben scritto, ti posso scartare a priori, perché difficilmente mi arriverai all’impianto metaforico che entrambi apprezziamo.

    Sulla metafora, sono contento che lo consideriamo entrambi un criterio efficace per valutare un testo di narrativa. Io però non ridurrei solo alla metafora, ma anche alla capacità dell’autore di giocare con le parole, dimostrando la sua padronanza. Ti faccio un esempio pratico; a me pace molto questa espressione: “da soli siamo frecce sparse in cerca di direzione, insieme noi siamo la direzione.” Non fermiamoci al mero contenuto, andiamo oltre: c’è la metafora, ma c’è anche il gioco di parole. Ecco, per me sono entrambi un valore aggiunto. O, altro esempio, chi mi parla dell’errare nella sua doppia accezione: sbagliare, ma anche girovagare. E solo chi girovaga, si sperimenta, ha la possibilità di errare, colorando questa parola di un significato più positivo di quello attribuito dal senso comune. Questo è saper giocare con le parole: dimostrare di avere un ricco vocabolario di saper fare e proporre una meta-riflessione sui termini, sul loro significato più profondo.
    Ora sono curioso di conoscere altri criteri che ti sono propri per valutare un testo di narrativa. E potremmo addirittura fare un esperimento: leggere un testo classico o contemporaneo che entrambi non abbiamo ancora letto e proporre una valutazione, sulla base dei criteri che qui stiamo costruendo.

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  24. Pongo adesso un altro spunto di riflessione: l’arte dirige la cultura e il pensiero, o è rappresentazione della cultura e del pensiero? Mi spiego meglio. In parte penso che quando tanti libri rappresentano o parlano di una qualcosa, quel qualcosa sia radicato nella cultura, o quantomeno inizi a palesarsi. Ma può essere vero anche il contrario. Molti libri oggi, per esempio, parlano della sessualità liquida (e anche molti contributi cinematografici): una persona può avere una relazione amorosa con partner dello stesso sesso e successivamente con un partner del sesso opposto, perché guarda non al genere del partner ma alla relazione.
    Ora, ci sono vari contributi letterari e cinematografici in tal senso perché l’arte è rappresentazione di una società che muta i suoi valori, o è un tentativo di cambiare i valori della società (ad esempio un tentativo delle ben note massonerie omossessuali? Non ho una risposta in tal senso, ragioniamoci insieme. Al momento è un dubbio che per quanto mi riguarda si avvicina allo storico “è nato prima l’uovo o la gallina?” Probabilmente però, un tale dubbio, ci aiuta ad avvicinarci con un’ottica critica a qualunque testo o film, perché qualunque sia la risposta riconosciamo il valore e il potere dell’arte.

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  25. Non mi aspettavo questa esuberanza. Anche troppa, dato il turpiloquio dell’anonimo, che per ora tollero. Ma solo per ora, sia inteso Anonimo! Dopo applicherò la mia legge dispotica. Partecipa in tranquillità, come vedi stanno venendo su cose piuttosto interessanti. La freschezza intellettuale di Giorgio mi fa sentire invece un tantino inadeguato. E Bravo Giorgio! E’ un piacere inerpicarsi per questi sentieri e non volermene se, per scorrevolezza del commentario, non mi soffermo su elementi comunemente condivisi. Li riprenderemo a tempo debito, stanne certo. Ritengo che questa modalità di confronto fornisca buoni frutti se si sviluppa sulle divergenze piuttosto che sulle rispettive convergenze d’opinione. In quanto alla tua proposta, in attesa di un testo di narrativa pura, vorrei invitarti all’analisi di un saggio scientifico. Per esigenze di laconicità, pubblicherò solo una piccola parte del libro, giusto per vedere se nelle premesse vengono superati alcuni dubbi. Qui il valore del testo sarà determinato dall’attendibilità scientifica che l’autore palesa già nelle prime battute.



    Per riprendere il discorso sui criteri letterari, mi soffermerei invece sulle tue indicazioni. In effetti , devo ammettere che quella sintattica può esser considerato un fattore centrale e non ‘morbido’ , come avevo detto inizialmente.. Ma tanti e complessi sono gli agganci che mi offri con il tuo ultimo, intervento. riprenderei quindi dalla seguente affermaz.: ‘…tutti insieme diamo la direzione.’ (Mi indicheresti gentilmente i dati della citazione? testo, autore, casa edit.)

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  26. Autore: Pablo T.
    Titolo: Lo scopatore di anime, The fucker of soul generation.

    Il titolo ha senso quando leggi il libro, è volutamente provocatorio e ci trovi molte riflessioni sull’arte oggi, pur essendo narrativa.

    Casa editrice: David&Mathaus.

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  27. Siamo come frecce sparate a casaccio ma tutti insieme prendiamo una direzione.

    – c’è la metafora forte
    – c’è un qualcosa che definisci ‘gioco di parole’. Ok. Ma potrebbe inserirsi anche un altro fattore decisivo, quello simbolico e della coerenza del simbolo adottato. il paradosso delle frecce caratterizza una evidente impostazione scientifica. Viene spesso usato per indicare l’asimmetria temporale, paradigma imprescindibile dell’impostazione quantistica e indeterministica (ecco l’altra faccia del Sapere, quello contrapposto alla fisica tradizionale.) L’autore potrebbe aver voluto conferire un preciso indirizzo filosofico al suo scritto. Non so se l’ha fatto, qualora venisse confermato da altri elementi (coerenza della costruzione simbolica CCS) potremmo tranquillamente affermare di trovarci di fronte ad un lavoro di estrema rilevanza qualitativa, cioè di insindacabile valore artistico. Un siffatto criterio (CCS) dipanerebbe molti nodi rispetto quel discorso di condivisibilità/ oggettività da cui abbiamo principiato. Credo di avere, adesso, le idee abbastanza chiare, dunque se permangono dubbi è bene affrontarli subito.

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  28. Uno spunto di riflessione davvero interessante.
    Alla luce di questo, possiamo dire che l’uomo arriva dove la scienza ancora non può, grazie alla fantasia (intesa come capacità di stravolgere il reale tramite uso dell’arte).

    In effetti, Verne ne è un esempio, ma anche Salgari: oltre ai celebri libri su Sandokan ce ne fu uno, rimasto meno famoso, in cui predisse la comparsa dei cellulari e della tv. Non ricordo il titolo purtroppo.

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