lunedì 22 febbraio 2021

Sull' interpetabilità dell'Arte (seconda parte)

   

                      La misura (interpretabile) del bello

Che significa valutare un’opera d’arte, un dipinto, un libro, una canzone, o perfino un blog?  Il problema per alcuni  si riduce a una questione di  prezzo, mentre  altri,  nel rifiuto della prima accezione, si dicono convinti  che, sottoporre un’opera d’arte a un giudizio di qualità sia un atto  sacrilego  ed inutile, destinato al fallimento.

  Il principio di non-valutabilità , o  non-classicabilità, diventa quindi, nell’attuale periodo storico, la posizione più rappresentativa di un certo intellettualismo da copertina e di una  sensibilità popolare inconsapevole che ad esso si affida per le proprie scelte di gusto, nel più totale spregio per quella  strana inclinazione dell’animo che  sarebbe bene saper ‘metter da parte’ non appena la si è imparata. I nuovi farisei allora,  preferiscono seguire a traino l’indirizzo accademico, così come nella Gerusalemme di duemila anni fa quando era peccato contravvenire i precetti  dei sapienti o degli eruditi del Tempio, gli unici a possedere  la certificazione del Padreterno rispetto alla mercificazione  delle indulgenze e degli olocausti. L’accademia tuttavia, da che mondo e mondo, è sempre stata vincolata all’autorità che, come emanazione del potere dominante, opera ed ha sempre operato nella storia per alterare le regole del mercato e per drogarlo con le tecniche della pnl (programmazione neuro linguistica).

Si trova in rete  un filmato molto esplicito, realizzato da alcuni detrattori del darwinismo (cavallo di battaglia di un’ accademia scientifica stantia e superata, ma perfettamente ammanigliata ai domini della diffusione informatica) nel quale viene presentato un sistema estremamente valido per certificare le ipotesi scientifiche. Per confutarlo, qualora fosse stato possibile, si sarebbe dovuto operare nella stessa maniera, fornendo cioè prove empiriche, ma a quanto pare nessuno, fra i migliori esperti del settore, ha prodotto prove decisive contro questi esperimenti. Ciononostante il darwinismo, nell'immaginario comune,rimane un'ipotesi ancora largamente accettata e divulgata. E a  nulla sono servite le dimostrazioni di codesti Professori, che hanno messo sotto scacco i sistemi di datazione ufficiali, perché l'accademia, senza preoccuparsi di fornire efficaci controprove (evidentemente improponibili sotto l’aspetto scientifico), si è limitata a cancellare da ogni organo della diffusione mediatica ogni riferimento a questi arditi ricercatori e ai loro lavori. Il professor Enzo Pennetta ne accenna diffusamente qui . Ricordo che un’analoga operazione di insabbiamento, fu intentata contro l’astronomo Arp (radiato dai circoli che contano), reo di aver contestato la validità scientifica del parametro con cui si calcolavano le dinamiche volte a spiegare l’effetto del Big Bang; mi pare si trattasse del red shift  e che l'astronomo dissidente l'avesse definito, se non ricordo male, parmetro interpretabile '.

 E chi non ricorda il carrozzone mediatico allestito per promuovere la ricerca genetica? Anche il progetto Genoma patrocinato una dozzina d’anni or sono dal premio Nobel Renato Dulbecco e finanziato dalle case farmacologiche più influenti del pianeta, è andato incontro a fallimento (qualcuno se ben rammento, ha perfino tentato una truffa) nell'indifferenza generale. Una goccia nell’oceano delle falsità accademiche, le quali hanno un comune un solo fattore : l’interpretabilità dei parametri che si vogliono arbitrariamente imporre e promuovere nella veste di criteri obiettivi, quali non sono, come spiegano in questo imperdibile video , il Prof Sermonti (biochimico), il palentologo Roberto Fondi ( Istituto Scienze Naturali Università di Firenze), il sedimentologo Guiberteau, il geologo Boudreau (Prof. Chimica organica in Louisiana).

                 Celebre illustrazione satirica di fine Ottocento

  Le accademie, dunque, definisconoprima di tutto  la loro fisionomia e la loro ragion d'essere, ma per quanto si affannino non fanno che promuovere modelli, dettare criteri, formare critici onnipresenti sul palcoscenico mediatico, prim'ancora che artisti. Il circolo è vizioso come ben sappiamo, però se approfondissimo un tantino la questione e andassimo scomodare la fisica delle particelle (oltreché PP Pasolini, il semiologo Lorenzo Renzi e una mezza dozzina fra fisici quantistici e premi Nobel) cominceremmo capire che un organismo complesso, quando risponde a un principio d'ordine che può essere meccanicamente rappresentato, è destinato a morte termica. Allora se ne evince che è dal 'disordine' che si forma la scintilla creativa.  

Le tre colonne della cultura 

Arte , Scienza e Religione sono le colonne portanti della cultura e delle culture dei popoli. La funzione dell’Arte è complementare a quella del Sapere e della Religione. Per ciò che concerne, quindi, i parametri valutativi con cui fornire un criterio di stima ai prodotti dell'Arte, della Conoscenza e della Religione, bisogna dire che siamo ancora fermi al punto se considerarli importanti o meno in un processo di analisi critica. Il valore dell’Arte, pertanto, comunque vogliamo considerarlo, rimane un fattore che ci viene imposto dall’alto o, al meglio, dal mercato. Il problema che vorremmo affrontare in questa sede riguarda allora la possibilità di individuare nuovi criteri di valutazione capaci di esprimere un valore di qualità del prodotto artistico o di una conoscenza scientifica. 

 Domanda:

 Cosa siano le Accademie lo sappiamo; il modello dell’Accademia Medicea rappresentava un bene di ricerca a  disposizione del pubblico e del comune.  Le Accademie nascono pertanto autodeterminandosi nella loro comunità, nel nome di una presa di  distanza dalle corporazioni di Arti e Mestieri e di un bello che sapesse di contenuto e non di forma. Quando si parla di Accademia secondo questo significato, si parla di una cosa che con il mercato privato contemporaneo ha poco o nulla in comune, come le Accademie  Rinascimentali non avevano niente in comune con il “mestiere”  dell’artista. Da questo punto di vista occorrerebbe aprire un altro fronte di  discussione, ossia, cosa dovrebbe essere oggi una pubblica  Accademia di Belle Arti?

Risposta:

    Non so come debba essere un'Accademia, ma ho qualche idea su come non dovrebbe essere. Inutile credere che una struttura capace di  manipolare l’informazione e stilare graduatorie arbitrarie di compiacenti meritevoli, possa svolgere una efficace funzione dialettica. Ma l’accademia (nell’ accezione i cui mi sto sforzando di ribadire)  non è attualmente un luogo di confronto autentico, altrimenti promuoverebbe quelle necessità  di valutazione dell’arte e dell’artista in opposizione all'insindacabilità dei parametri di mercato. Essa quindi è il luogo, non tanto del privato, ma più esattamente, del privato che attraverso il controllo delle risorse vuole – come è sempre stato – garantirsi una posizione monopolistica (iper-privatizzazione). Da una vera Accademia dovrebbe partire un logica critica volta a denunciare tutto ciò che avvilisce l’arte. Un’ Accademia dell’Arte dovrebbe  pertanto cominciare a distruggere i vecchi criteri mercantili e affrancarsi dal tentativo del controllo delle risorse (non mi sembra che lo faccia, però), dovrebbe perciò combattere la tendenza del privato al monopolio, in tutti i campi, sbugiardando le strategie di profitto e mettendo alla berlina i ‘sacerdoti’/critici da palcoscenico che solo al criterio del profitto sembrano sapersi attenere. In poche parole Un'Accademia ideale dovrebbe soprattutto istruire ed emancipare le menti. I privati che agiscono in un contesto  garantito dalle leggi del libero mercato, non rappresenterebbero un problema. E’ la loro vocazione al monopolio ad esserlo!    Un’accademia dovrebbe allora e prioritariamente ingegnarsi a formare graduatorie alternative a quelle ufficiali e non rifiutare, per partito preso, il principio in sè. Ed è pur ancora valido il teorema che vuole gli artisti inglobati nelle maglie del sistema accademico, espressione totalitaria del prevaricante privato a vocazione monopolistica. Tuttavia  ciò non vuol dire che l'Accademia così come strutturata sposi il pensiero dei veri artisti, ne promuova le innovazioni. Non significa che si mette a loro servizio, come invece dovrebbe fare una volta vagliato il merito. Non sembra però che le accademie si prodighino a favore degli artisti non-allineati, semmai li affossano, ne temono la  concorrenza che può mettere in ombra i loro pupilli, quelli selezionati per il mercato. Ai tempi in cui il potere dei media non era invasivo come oggi, gli artisti potevano guadagnarsi, a fronte di dure controversie, larghe fette dell’attenzione e approvazione pubblica e solo dopo aver  imposto i contenuti e i significati del loro lavoro (e quando le loro scoperte/rivelazioni arrivavano ad intaccare l’ autorità dei cattedratici) si ritrovavano le porte dell’accademia aperte. Non prima però. Prima venivano mortificati con nomignoli e appellativi ridicoli. Bisogna peraltro osservare che, una volta entrati nelle grazie dell’autorità, essi non potevano più sottrarsi al tentativo di fagocizzazione del sistema il quale, attraverso la grande distribuzione, la promozione e la concessione degli spazi espositivi più in vista, ne costruiva la caratura e l’imperitura celebrità. Lo scopo era ed è, quello di corromperne il pensiero, naturalmente, intaccare la forza persuasiva delle loro scoperte, del significato delle loro opere. Questo è il punto. In pochi resistono la tentazione e quando l’accademia non riesce nella sua opera indefessa di contaminazione dei vivi, provvede a farlo coi morti.      Questo fenomeno si ripropone con sconcertante puntualità nei secoli e in ogni settore della cultura.

                                Georges Braque 

  Se pensiamo all’epopea impressionista non possiamo difatti esimerci dal domandarci cosa ne sia stato della contestazione ai principi dell’ottica newtoniana. Esistono numerosi documenti su questo fatto e mi domando sempre  se un professore dell’artistico conosce questo aspetto ‘scientifico’ del movimento impressionista (dedicherò un post sull’argomento, se ne troverò il tempo.) o della feroce campagna dissacratoria del cubismo al metodo di indagine meccanicista. Il movimento cubista, a vedere la storia, prese le distanze da quegli esponenti che, in cambio della consacrazione accademica, voltarono boriosamente la loro gabbana. 

Se poi volessimo sconfinare nella letteratura avremmo modo di vedere come la  sinfonia sia sempre la stessa. Vogliamo inoltre parlare di PPP Pasolini? I testi scolastici si guardano bene dallo sviscerare le sue effettive  posizioni politiche e filosofiche, il suo attacco cioè al sistema mediatico il quale,  invece che ammorbidire la sua presa sulla società l’ha oggi centuplicata. Ma di Pasolini si ricorda la lirica poetica morbida e quattro inutili versi, oltreché le menzogne sulla sua morte. L’elenco  comprende i Palazzeschi, i Prigogine, gli Heisenberg, i Majorana* passando per figure di assoluto rilievo come Blaise Pascal, e Dio solo sa quanti altri ancora.

                             “ Quando gli artisti approdano alle antologie

                            didattiche o sugli almanacchi ufficiali dei musei,

                            sono belli che sepolti, menti ufficialmente

                            defunte ma buone ancora a cavar quattrini.”

Canta Vecchioni in un motivo d’altri tempi – “se arrivo  vuol dire che serve a qualcuno…”

e gli fa eco Caparezza – “Se la sala è piena il film fa schifo!”

    Non condivido gli eccessi pessimistici del secondo, mentre trovo più nelle mie corde l’intuizione del primo Vecchioni, ‘primo’ nel senso di vecchio cantautore iconoclasta delle origini .

   I libri, tuttavia, possono esser cambiati/riscritti  (non è più necessario bruciarli come nel Fahrenheit 451 di R.Bradbury ), i concetti originali degli autori sovvertiti di sana pianta. Aldilà della giusta avversione di qualcuno per le citazioni, debbo segnalare alcuni vecchi testi (pubblicati da premi Nobel) completamente modificati nelle recenti edizioni. Voglio dunque ricordare ‘La Nuova Alleanza – Y.Prigogine, I.Stengers, del quale conservo le due copie: vecchia e recente. L’ultimo di questi giunto da poco alla mia attenzione, riguarda l’affare Majorana*.  Sul mistero della sua scomparsa, un tal fisico di nome Agamben costruisce ipotesi  (semplici congetture lo si ricordi sempre, mescolate a stralci di documenti originali)  volte a  oscurarne le scoperte e le intuizioni. Ebbene, l’accademia può questo ed altro, quando controlla i domini della diffusione informatica. Ciò, nel caso specifico che stiamo trattando,mi fa pensare che la meccanica quantistica sia temuta, forse per la efficacia comunicativa dei suoi padri fondatori e interpreti. Il tema, apparentemente off-topic, risulta invece assai attinente alle argomentazioni di questo post, proprio perché i fisici quantistici di cui s'è detto poc'anzi, hanno posto gli stessi interrogativi sulla valutazione di un’opera d’arte, sullo spirito di ricerca che anima gli artisti (paragonata alla ricerca scientifica) che io qui, forse velleitariamente, sto sforzandomi di ricordare. Ed allora ecco che oggi, il disegno delle accademie, così come le conosciamo, ci appare ben chiaro nel loro tentativo di modificare, cambiare e ricostruire contenuti distanti dal proprio indirizzo ideologico. Di questo si dovrà pur tener conto quando si parla di accademie. Un’accademia che non voglia ripercorrere gli errori del passato dovrebbe perciò attenersi , come primo proposito, ai programmi di  una linea critica in grado di chiarire, anzitutto, quali metodi analitici utilizzare affinché il valore dell’Arte o della Conoscenza non sia determinato da orientamenti arbitrari. Un’Accademia dovrebbe sforzarsi di fornire questi strumenti, prima di ogni altra cosa.

    UN’ ACCADEMIA CHE VOGLIA DEFINIRSI TALE DOVREBBE PORSI LA PRIORITÀ  DI  CHIARIRE QUALI METODI ANALITICI PRIVILEGIARE AFFINCHÉ IL VALORE DELL’ARTE O DELLA CONOSCENZA NON SIA DETERMINATO DA ORIENTAMENTI ARBITRARI.UN’ACCADEMIA DOVREBBE SFORZARSI DI FORNIRE QUESTI  STRUMENTI D’INDAGINE, PRIMA DI OGNI ALTRA COSA.

  Se non fosse ancora chiaro, bisogna insomma  dubitare dell’accademia che  si sottrae a questi  doveri, e di quegli accademici che pretendono  credibilità in virtù di titoli assegnati loro a tavolino. L’Accademia che ignora queste linee  programmatiche diventa reazionaria e tende  al  sincretismo, proprio come l’ebraismo di duemila anni fa, che per non perdere prestigio (e redditizi   olocausti) si adoperava a assimilare deviazioni mistiche e biforcazioni teologiche nelle liturgie della propria fede, le quali, alla fine, rimandavano ogni diatriba all’ interpretazione insindacabile dei sacerdoti. 

                                                                                            fabio painnet blade

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9 commenti:

  1. Giovanni16:44:00

    Io vedo invece nell'Accademia uno strumento d'autonomia dell'Arte, una difesa immunitaria dal mercato, quel mercato che muove i primi passi proprio dagli artisti che negavano e contestavano l'Accademia. Quando la dialettica non si fa didattica, tutto diventa confuso e rimangono soltanto i valori di mercato a sanare i conflitti critici di senso. L'Accademia infatti non è un tempio e se lo è , ha radici e mette in circolo anche chi il tempio lo nega e ne prende le distanze. Il contesto di circolazione e diffusione del linguaggio è il luogo della memoria e della formazione del pubblico, e dove non c'è pubblico diventa tutto un fatto privato.

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  2. Daniele Poggi18:35:00

    A me sembra che gli accademici la sappiano lunga. Mi spiego adesso perché il termine 'accademico' non goda oggigiorno di buona fama.

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  3. In realtà non dobbiamo far di un'erba un solo fascio

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  4. Vercingetorige17:27:00

    MI sembra di capire che dietro la costruzione arbitraria di valori e di autorevoli 'maestri della dottrina', si cerchi in fondo di costruire un sistema di gestione del pensiero(della cultura?)e della massima rendita. Di conseguenza si vengono a dettare tendenze di gusto e modelli precisi di comportamento.

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    1. Esattamente! E per ottenere questo scopo è sufficiente privarci della capacità di scegliere, così da lasciar viva , nella coscienza popolare l'illusione che l'interpretazione del dotto sia quella che alla fine conta e alla quale è bene attenersi. Ma le cose non sono affatto messe in questo modo.

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  5. Vercingetorige17:49:00

    Leggevo nel post precedente che prestar fede alle imbeccate degli 'esperti' (o sedicenti tali), alla fine paga.

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  6. Daniele18:15:00

    Il problema, a quanto ho capito io, è che di 'esperti' pronti a venderti la loro ricetta ne trovi tanti. E non sempre d'accordo fra loro. Loro sì che ci guadagnano dal mercato delle opinioni!!!
    Infatti c'è scritto: 'Il mercato delle opinioni paga, e profumatamente, chi le offre, ma non chi le acquista.Vedi un po' quanti autori di successo pubblicano libri di psicologia. Ognuno confeziona un bel testo di seducenti opinioni, tutte buone e tutte belle. Chi legge si identifica, è felice di aver speso bene i suoi danari, ma in quanto a trarre insegnamenti rimane più confuso di prima. E il bel libro finisce a raccoglier polvere sulla libreria del salotto buono di casa in attesa del prossimo: con altre avvincenti premesse, con nuovi e sempre più intriganti rappresentazioni, coi suoi slogan, le sue metafore e con le sue originalissime conclusioni. Nel mercato delle opinioni c'è posto per tutti!e soprattutto tutti ne escon contenti, autori, lettori e tipografie.

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  7. Vergingetorige18:17:00

    Bell'aforisma. di chi è?

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  8. L'aforisma è mio, perdirindina!

    Il business della conoscenza
    Aggiungo solo un caso emblematico: avete presente la Stele di Rosetta? Prima della sua scoperta, il mercato degli egittologi di fama e dei grandi studiosi, proliferava. Tutti a sparar le loro erudite soluzioni, una più brillante dell'altra, ma non una soltanto che servisse a chiarire qualcosa di quei 'preziosi geroglifici'. Dell'egiziano non se ne comprese una benemerita mazza e per un bel pezzo, poi con il ritrovamento della 'maledetta' pietra, è vero che si è cominciato a capire qualcosa della gloriosa lingua dei faraoni, ma i bilanci, questi sì davvero faraonici, delle case editrici e dei loro autori di punta non hanno certo fatto salti di gioia. Dannata pietraccia della malora! In fondo, non se ne sentiva proprio la mancanza.

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