Curiosamente, in questi giorni di vacanza, di pari passo con Arcana Ricordo, mi sono soffermato anch'io a meditare sul maligno; argomento decisamente scottante e mi si passi il doppio senso. Ho tuttavia ripreso il tema da un'angolazione forse più arida e razionale, di certo meno intrigante rispetto alla formula adottata su Profezie Evangeliche . Rimando gli interessati a una storiella postata sul commentario del bel sito di Arcana Ricordo, che riprende il discorso sul 'meccanicismo' , benché sono convinto non sia questo uno strumento del diavolo, bensì un dono del Cielo che l'uomo, ancora incerto sul da farsi, ha consegnato spontaneamente nelle mani di oscure entità. E' insomma lo spirito arrogante dello scientismo con le sue dottrine crudeli ad aver insegnato all'uomo la violenza verso se stesso e verso la Natura. Ma non dobbiamo confondere tutto ciò con la Scienza, col suo spirito di ricerca puro e col suo autentico distacco dalla logica della convenienza, cosa ben lontana dal concetto di 'scienza per le masse', oggi tanto in voga nelle moderne società dei consumi.
Ho trovato inoltre altri spunti per questo articolo, nel dibattito che ho avuto occasione di seguire sul
blog del Professor Enzo Pennetta. Lo propongo adesso sotto forma di riflessione su un tema, quello dei livelli di lettura di
un testo antico, per me, di estrema importanza. Ho voluto approfondire il mito
della Creazione, metterlo in relazione agli effetti del rapporto col
trascendente nella nostra civiltà e in quella orientale, effetti che in qualche
modo hanno originato orientamenti filosofici, usi e costumi estremamente
distanti.
Per fornire un quadro d’insieme a usufrutto di coloro che
sono a digiuno di tali argomenti, mi sono attenuto a un registro nozionistico
molto semplificato, nella speranza che i veri conoscitori di questa materia e
delle discipline orientali non valutino troppo severamente questo mio lavoro.
Per entrare nel merito di una materia tanto complessa e controversa ho preferito
riprendere per la coda tematiche introdotte in precedenza in due contributi dal
titolo: Introduzione al linguaggio del mito (prima e seconda parte).
Ho definito questi argomenti ‘controversi’ soprattutto per l’inconciliabilità delle posizioni espresse dagli studiosi accademici, i quali, a mio parere, trattano l’esegesi secondo canoni distanti dalla formula allegorica che per noi, invece, è parsa decisiva. Non condividiamo perciò il giudizio più diffuso che considera i testi antichi narrazioni di genere favolistico, talvolta perfino bizzarre e incomprensibili. Nella migliore delle ipotesi tali testi vengono comunemente intesi come rappresentazioni simboliche riferite ad aspetti e qualità spirituali dell’animo umano. Prima di George Herbert (conte di) Carnarvon, finanziatore di Howard Carter, o di Heinrich Schliemann, nessuno si era spinto tanto avanti nel seguire l’ipotesi che dietro un mito si potessero celare tracce di una precisa realtà storica; e nemmeno dopo di loro possiamo dire di aver compreso a fondo il senso di resoconti e racconti del passato, ancora ed in gran parte inaccessibili alla mente analitica di uno studioso moderno. Negli scritti infatti non vi sono solo attinenze a fatti storici ma vi sono importanti riferimenti anche a qualcos’altro, qualcosa che riguarda l’osservazione del cosmo.
I livelli di lettura nei libri della Bibbia
Che alcuni testi
appartenuti al passato remoto della nostra storia, non rappresentassero
semplici racconti di fantasia, ma che potessero altresì nascondere alcuni livelli di lettura, in rapporto alla
preparazione del lettore, al suo grado di conoscenza iniziatica ed altro, è una
concezione che ho attinto dalla letteratura esoterica, anche se – per il vero -
ci sono stati vari autori impegnati in questo tipo di ricerche. Il principio
che li ha animati si riassume nel concetto di allegoria. Essi , dunque, hanno
individuato nei testi mitici contenuti allegorici ben definiti, partendo
dall’idea che molti significati testuali si riferissero a un’antica conoscenza
dell’astronomia, su un solco analitico che solo gli archeoastronomi hanno
saputo tradurre in risultati scientificamente attendibili, benché le prove
dirette delle loro fatiche , a giudizio unanime, manchino ancora e siano da
ricercare direttamente entro la struttura più intima degli scritti. Essi ci hanno trasmesso la convinzione che
già in tempi remoti alcune civiltà
fossero perfettamente al corrente di fenomeni planetari quali la precessione
degli equinozi, la durata dei cicli lunari o del giorno solare. Per arrivare a
queste conclusioni i ricercatori archeoastronomi hanno rilevato il preciso orientamento equinoziale, o
solstiziale, di antichissimi monumenti. Sono stati loro, pertanto, a sollevare
qualche legittimo dubbio sulle scoperte di Ipparco da Nicea, del quale peraltro
nulla ci giunge di scritto, mentre ciò che sappiamo della sua più nota scoperta è soprattutto frutto di una citazione
imprecisa tratta dall’Almagesto tolemaico, secondo il quale la velocità del
moto precessionale andrebbe approssimativamente stimata intorno, e non oltre, a un grado d’arco ogni cento anni. Dato impreciso, visto che altri testi indicano
la misura di un grado d’arco ogni settantadue anni solari. Mario Codebò,
co-fondatore della Società Archeoastronomica Ligustica (Genova) e attento studioso di siti megalitici, ci
invita a proseguire le nostre indagini che, a suo dire, porterebbero conferme
parallele alle loro.
Fra i maggiori autori convinti che gli scritti antichi dovessero
essere interpretati in chiave allegorica e che fossero così riconducibili a
conoscenze approfondite del cosmo a noi più prossimo, spicca il nome di Giorgio
de Santillana, una figura completamente trascurata dalle accademie scientifiche. A lui ci siamo ispirati in gran
parte del nostro lavoro.
Quel che, comunque
penso siano in pochi a poter negare, è la possibilità che la struttura
narrativa degli antichi reperti giunti ai nostri giorni sotto forma di Testi
Sacri e apocrifi, sia costituita da una serie di livelli di lettura, dietro i
quali, sovente in chiave cifrata (i testi sono infatti formati da numeri, oltre
che dal testo alfabetico consonantico), possono nascondersi dati astronomici incredibilmente precisi.
Eppure, una cosa appare fuori da ogni ragionevole dubbio: il significato più
superficiale degli scritti, quello comunemente chiamato ‘letterale’, appartiene
ad un primo livello , il più immediato da cogliere e, di certo, non il più
importante. Secondo l’opinione di alcuni spregiudicati autori che godono del
favore degli editori, il significato letterale di un testo antico sarebbe di
per sé, perfettamente attendibile. Sulla base di questo criterio si sono
generate numerose speculazioni la più estrema delle quali lascerebbe intendere
che le conoscenze astronomiche potessero essere state trasmesse alle primitive
menti umane da civiltà aliene capitate
per caso sul nostro pianeta. Per coloro che attribuissero veridicità a questa
bella pensata e alle motivazioni degli autori che la promuovono col favore di editori dai pochi scrupoli consiglierei,
senza mezzi termini, la consultazione di scrittori di fama, come Zecharia
Stchin o Mauro Biglino (più recentemente), mentre sarebbe opportuno girassero
alla larga dai ragionamenti e dalle soluzioni proposte in questo piccolo spazio
digitale.
Come accennato in
precedenza, il tema dei livelli di lettura degli antichi testi , fra i quali la
Bibbia non fa eccezione, sarebbero provvisti di una trama intessuta nel mito arcaico
di derivazione orale. Un tempo vi era solo la tradizione orale a veicolare e
preservare la memoria del mito e ciò
andava a comporre tutte le variabili narrative concepite in seno alla cultura dei popoli, ad ogni latitudine
del pianeta. Non deve stupire, allora, la comparsa di analogie nelle rispettive
tradizioni, dall’Africa nera alla Polinesia, dacché tutti i racconti, nelle
loro peculiarità antropologiche, avevano come unico oggetto da indagare il firmamento. Se ora pensiamo al
mito della Creazione, posto che alla radice di questo , come di altri miti, vi
fosse un preciso contesto astronomico, non ci si deve sorprendere se anch’esso
presenta robuste somiglianze da un luogo
all’altro del globo, o da una civiltà ad un’altra! Ed inoltre, non si può fare
a meno di notare come in questi miti delle origini la contrapposizione
dualistica fra bene e male non fosse
così radicata come ai giorni nostri. Il bene e il male potevano essere infatti
percezioni di effetti naturali sul determinati aspetti della vita: l’acqua dona
la vita, ma la può anche togliere; e così via... La rappresentazione dei moti
celesti, la ciclica alternanza di luce e tenebre, aldilà di un buono e un ‘cattivo’ intuitivi non potevano immaginare l’idea di
un Assoluto fazioso sbilanciato solo da una parte (il bene), in quanto
l’Assoluto Principio che governava tutte le cose terrene, si mostrava costituito
da un equilibrio includente gli opposti.
Luce e buio, originariamente effetti complementari di un
dinamismo necessario al conseguimento del Tutto, sono divenuti solo posteriormente, specialmente sotto
l’ombrello della tradizione cattolica,
entità irrimediabilmente antagoniste. Ma sono solo le speculazioni teologiche e
filosofiche ad aver esasperato certi aspetti. Forse, e dico forse, l’unica
indicazione che ci proviene dall’enunciazione evangelica ed apocalittica,
riguarda la possibilità di operare delle scelte in un tempo escatologicamente
concepito come ultimo, frontiera del tempo-spazio in cui, per natura, la
degradazione spontanea del primo ordine avrebbe, in misura inevitabile, portato l’iniziale Armonia a sbilanciarsi
verso un prevedibile squilibrio cosmico,
nel quale il principio ‘malefico’ avrebbe finito col prendere il sopravvento. Quanto appena definiti, rimane tuttavia un concetto , prima di tutto, di ordine fisico. Nella misura concessa entro i margini di un ambiente spirituale,
oltre che materiale, ecco allora che si viene a delineare la possibilità di uno
sbalzo indeterministico di libertà (anche individuale), dove ognuno può
consapevolmente scegliere la propria condotta, può cioè liberamente compiere un
atto in apparenza contro logica e decidere di seguire il senso del bene,
affinché sia ancora possibile una nuova esistenza in cui a prevalere sia l’Armonia
del singolo e quindi del Tutto. Ecco
perché il principio di Libertà è così
importante nell’economia del tempo, ecco
perché questo spirito può svolgere un ruolo chiave nella determinazione di un
nuovo ciclo, di una Nuova Nascita, nel senso di un Eterno che sia in realtà, in
senso aristotelico, un ulteriore slancio della Vita oltre la Vita
(deterministicamente calcolata). Mi limiterei allora a ribadire che al principio, in un mondo
lontano in cui le persone rapportavano le loro credenze alla piena realtà
dell’Universo e in essa trovavano il necessario conforto e tutte le
certificazioni di cui avevano bisogno,
non si sarebbero potuti generare i
paradossi della questione Teodicea che, vista in quest’ottica, sembra più che
altro una mera speculazione filosofica, risolta ampiamente dall’escatologia
evangelica.
Tornando alla
biforcazione culturale fra Oriente e Occidente, alla frattura apparentemente
inspiegabile di questi due mondi un tempo uniti in una sola visione del
trascendente e da una sola concezione arcaica dell’ universo e della società (‘Così
sopra così sotto’), proprio come dalle ramificazioni di un Albero della Vita di
concezione anti-darwinista, può esser accaduto che, da una proto-forma iniziale
e comune, siano venuti fuori effetti differenti, tanto differenti ed eterogenei
da non poter esser più ricondotti, per concatenazioni di anelli comunicanti (e
quindi scevra dalla necessità del fatidico ‘anello mancante’), alla fisionomia
religiosa e alla struttura culturale di epoche passate. Pertanto, anche se dal
nostra angolazione l’Oriente può apparirci come un’ isola di spiritualità
ancora stabilmente aggrappata al suo passato arcaico, di fatto la sua vocazione
modernista e tecnologica (India, Cina), indica che in fondo anch’ esso abbia
ceduto il passo a paradossi infestanti, gli stessi che abbiamo noi, irriducibili
tecnocrati, mostrando come anche lì (nel profondo Oriente) non siano stati
capaci di preservare la propria intelaiatura civile e sociale dalle derive di
cui s’è detto. In parole povere, a mio modestissimo parere, tanto in Oriente quanto in Occidente, sono andati perduti i
significati dell’ antico linguaggio arcaico (del mito) , il solo in grado di
collegare cielo e terra e mantenere salda l’autenticità e il senso dei valori delle origini. E’ dunque andata
svanendo la consapevolezza e il rispetto per l’Autorità degli antichi Scritti e
per quanto avessero avuto intenzione di tramandarci i nostri progenitori.
Il diavolo esiste? Ne abbiamo le prove?
Vorrei a tal proposito aprire una parentesi, per differenziare la nostra posizione da quella di autorevoli studiosi, i quali hanno mostrato tutta la loro diffidenza nel processo di divulgazione popolare che, a loro dire, avrebbe costituito quel primo, pericoloso passo verso la volgarizzazione dei testi che ne avrebbe determinato la progressiva perdita di significato (quello astronomico). A nostro modesto avviso, tuttavia, l’accesso di determinati testi al pubblico dovrebbe soltanto essere preceduto da un’opportuna preparazione, cioè a un meticoloso processo di formazione ed emancipazione, a garanzia di un rispetto dovuto agli Autori del passato.
Il modo in cui, in tempi passati, la conoscenza essenziale veniva trasmessa su due, o più, livelli intellettuali, lo si può apprendere dall’introduzione di Germaine Dieterlen a Conversation with Ogotemméli di Marcel Griaule, dove si parla dell’educazione dei Dogon e dell’esperienza personale dei membri della mission Griaule, i quali dovettero aspettare sedici anni prima che i ‘vecchi saggi’ della tribù si decidessero ad aprire la porta del loro antico Sapere. Occorre a questo punto soffermarsi su quella che fu la mancanza di Griaule nel comunicare al mondo la sua scoperta in maniera che non finisse nelle grinfie di speculatori e detrattori di ogni risma. E ciò ci riporta, a bomba, sul un tema da noi spesso trattato in questo spazio, quello dell’interpretabilità di giudizio. A quanto sembra i contestatori dello studioso francese, non giunsero ai medesimi risultati, arrivando ad accusare Griaule di aver ‘voluto vedere’ arbitrariamente nelle testimonianze dei saggi Dogon, conoscenze astronomiche. Ulteriori indagini non confermarono le sue ‘scoperte’ benché egli poté sempre appellarsi alla pretesto del lungo periodo trascorso nella tribù africana. A nostro avviso, Griaule con le sue motivazioni ha fornito un chiaro esempio di ‘principio di autorità’ che non differisce molto da quello dei tromboni di casa nostra quando, di fronte a giuste perplessità, pongono anziché la spiegazione secca del fenomeno in questione, la solenne prosopopea dei loro titoli accademici. Non è questa, tuttavia la strada che deve perseguire un metodo che voglia qualificarsi come ‘attendibile’; la strada casomai, dovrebbe essere quella della soluzione alla portata di tutti, ben espressa dal celebre adagio di Albert Einstein: non hai veramente capito qualcosa fino a quando non l'ha capita anche tua nonna
Dietro questa debolezza di Marcel Griaule, ovviamente gli
sciacalli della speculazione hanno allestito i loro banchetti e non deve stupire, allora, se poco tempo dopo un
certo Temple ( The Sirius mistery) si
premurò di fornire ai suoi editori la
fantastica trovata della ‘pista aliena’. Tralascerei quindi le scoperte del
supponente Griaule, per sottolineare un aspetto molto particolare della sua
indagine: la presenza di livelli iniziatici fra le caste dei saggi della tribù
Dogon. Ciò ricalca alla perfezione quanto poi siamo andati a trovare negli
ordini gerarchici delle antiche organizzazioni iniziatiche e perciò nella
possibilità che fin dai tempi più antichi la conoscenza vera e propria fosse
inserita negli scritti attraverso diversi livelli di lettura che potessero
essere appresi gradualmente e non tutti insieme.
Così continua il rapporto di Griaule: “ Nelle società
africane che hanno conservato la loro organizzazione tradizionale, il numero
delle persone educate in questa
conoscenza (o diciamo pure, all’uso del Sapere arcaico) è assai considerevole.
Essi la chiamano ‘Conoscenza profonda’ per distinguerla da quella ‘semplice’ ,
necessaria soltanto come propedeutica per la comprensione delle credenze e dei
costumi di una società. E’ questa una fase transitoria per coloro che aspirano
all’ acquisizione di una conoscenza superiore, che è indiscutibilmente di ordine
cosmogonico. La riservatezza verso gli stranieri, spesso occidentali, era ed è
dovuta alla diffidenza verso la loro superbia”. Nei gruppi dove, tuttavia, la
tradizione conserva tutto il suo primo vigore, questa ‘conoscenza superiore’ è
segretata solo in questo senso, di fatto essa è disponibile per tutti quelli
che mostrano volontà di comprendere, purché ne siano giudicati degni per
posizione sociale e condotta morale. In questi casi, l’aspirante ‘saggio’ deve
dotarsi di pazienza e umiltà e seguire tutti i gradi di giudizio che lo
porteranno a ‘sedersi, con la dovuta disposizione d’animo, allo stesso livello
degli anziani competenti’. Nel caso della spedizione di Griaule, prima che i
suoi membri fossero accolti accanto al Gran Consiglio degli anziani, dovettero
passare quindi parecchi anni, durante i quali, fece per loro da mediatore, ma
alla fine concedendo l’agognato lasciapassare, il leggendario Ogotemméli.
A questo punto sembra lecito domandarsi : che c’entra tutto
questo col diavolo?
Il diavolo e le
sue varie raffigurazioni apocalittiche, per quanto suggestive, non possono
essere separate dalle origini della prima tradizione, nel senso che il male, in
un primo momento della storia umana aveva una connotazione diversa. Crediamo
perciò che prima di accedere all’analisi di una conoscenza superiore che possa
spiegarci il ruolo del ‘maligno’- così come pretendeva il vecchio Ogotemméli -
sarebbe utile partire dalle prime
rappresentazioni di questa entità votata al male e comprendere quanto essa si
rispecchiasse in una dinamica
cosmogonica che, al principio, non avallava tout court la raffigurazione mostruosa mutuata dalle
tradizioni religiose, che sembra oggi
rivelare gli eccessi di una sola natura (negativa). In questa
consapevolezza credo possa racchiudersi un primo passo dei tanti necessari al
conseguimento di una Conoscenza veramente superiore.
Il male insomma è
ben presente, ovunque si manifestino i sintomi, peraltro previsti dal corso naturale delle cose, di un degrado (degrado
termico), che è anzitutto, di pari passo col quello spirituale, essenzialmente
cosmico, in un contesto fisico globale – ricordiamolo - in cui il freddo
abbraccio delle tenebre pare assorbire ogni scintilla di calore. Ma è a questo
calore e alla luce che dobbiamo la nostra parentesi biologica su questo
pianeta. Nell’ effige del male sono conchiuse, pertanto, anche quelle caratteristiche a-morali da
evitare - attraverso una libera scelta che comporta sofferenza - affinché lo spirito, così come l’essenza
cosmica, possa liberarsi dall’incipiente minaccia (squilibrio disarmonico) e
conseguire una netta vittoria sulle ‘tenebre’ così da permettere al mondo e
all’umanità di affacciarsi alla Nuova Era, alla
nuova Età dell’Oro. Alla fine, allegoricamente parlando, saranno i
144000 beati a salvarsi e a permettere la transizione. D’accordo, fin qui ci
siamo! Ora sta a noi, alla nostra perspicacia, comprendere quali significati
allegorici attribuire a questo fatidico numero.
Ci fu dunque, un
primo tempo, un’Età dell’Oro che registrò un periodo di equilibrio e di
armonia. Perché ebbe fine, e come? Scomposto, trito e ritrito, riflesso in cento
miti diversi, spiegato in tantissimi modi che esprimono sempre, dolore,
nostalgia e sconforto, questo problema ha assillato profondamente l’umanità nel
corso dei millenni. Perché l’uomo ha perduto il Giardino dell’Eden? Per noi,
genti di area cattolica vissute in tempi moderni e per i popoli di cultura
ebraica, la risposta è sempre stata la
medesima: perché l’uomo ha commesso il peccato originale. L’Antico Testamento
aveva presunto che solo l’uomo dovesse espiare questo peccato e toccò al cristianesimo rimettere le cose ‘a posto’
suggerendo che solo Dio avrebbe dovuto pagare il conto offrendo se stesso come
capro espiatorio; venne allora ristabilito
l’antico ordine del cosmo per il quale solo gli dèi potevano fare e
disfare il mondo a loro piacimento e
l’uomo, altro non avrebbe potuto fare se non ricoprire un ruolo del
tutto subordinato a quello dei grandi attori celesti. Ed era quasi scontato che
la grande macchina del cielo avrebbe potuto produrre solo armonia e perfezione
non suscettibile di aggiustamento. Il male non era contemplato in una natura
amica e comunque sempre giusta nel suo equilibrio. Ma la storia dell’umanità
propriamente detta ebbe inizio quando quest’ordine cominciò a vacillare.
La perfezione mutò, segnando il corso
del tempo, prima indistinguibile: solo allora ci fu un 'prima' e un 'dopo', un
Essere e un Non-essere, suo esatto contrario. Così perlomeno stabilirono i
filosofi del passato. La mancanza di astrazione del pensiero fece principiare
tutto dal moto dei corpi celesti e si creò un apposito linguaggio per
descriverlo, un codice espressivo orale che per essere decifrato avrebbe
richiesto un certo grado di preparazione.
Solo una volta acquisita la necessaria formazione si potranno conoscere
le dinamiche del Cielo, il principio di tutto ed allora si potranno concepire
categorie diverse da quelle ricevute per induzione, da quelle che la cultura
moderna ha dettato come categorie di riferimento etico. Me nell’etica astrale
il male, efficace rappresentazione della tenebra, non è che una componente del
quadrante biologico e come tale non riveste significati esclusivamente negativi. Se il male è diventato l’essenza di
tutto ciò che si deve evitare, lo dobbiamo soprattutto al fatto che esso
diventa parte integrante di un processo omologante destinato a dominare nei tempi
della fine. Come in un qualsiasi processo di invecchiamento, il ciclo destinato
a concludersi tende naturalmente ad acquisire valenza omologante nella quale le
diversificazioni vengono via via annullate per lasciar spazio alla stasi
ultima, alla morte termica dell’organismo. La previsione, in questo stadio, si
appoggia a un criterio di calcolo deterministico, l’organismo malato (o
invecchiato) e prossimo alla fine, scandisce nel tempo fasi gradualmente
ripetitive, degrada nell’omologazione e può dettare attraverso un’equazione
precisa e deterministica, i tempi esatti
della soluzione finale. Ma lo Spirito ci ha abituato alla possibilità del
miracolo, dell’evento inatteso e non
prevedibile, in altri termini ci ha regalato la speranza prodigiosa della Vita oltre la Vita! L’Amore, la serenità
e la Speranza possono rendere possibile questo effetto, l’odio e l’intolleranza
possono annullarlo. Il tempo della materia è finito! Se ci sarà un futuro sarà un
futuro dominato dello Spirito, un Regno al
quale tutti possono accedere, anche se non tutti possono capire il Suo
significato.
Bell'analisi, Fabio. E nel dire bella non posso non apprezzare il tocco mitologico, quasi poetico con cui torni alle radici della storia umana e cerchi di raccontare la genesi del male. In effetti le religioni propongono una sola chiave di lettura della vicenda di Adamo ed Eva e del frutto proibito: una chiave secondo cui l'uomo non è riuscito ad accontentarsi delle meraviglie a lui riservate dal Padre celeste nel Giardino dell'Eden e, disubbidendo, ha intrapreso un percorso di discesa verso la corruzione terrena. La dottrina Cattolica insegna che Cristo si è incarnato per liberare l'uomo dall'onta di questo "peccato originale": l'onta è stata lavata grazie al sacrificio di Gesù sulla Croce.
RispondiEliminaIn un libro che lessi non molto tempo fa, il rabbino Yehuda Berg spiega il mistero della Genesi in chiave un po' diversa: inizialmente, la poderosa Luce divina era ogni cosa. Quando la luce decise liberamente di provare ad essere altro da sè stessa, per provare il significato della dualità, la separazione portò alla generazione di una dualità perfetta: la Luce e la Tenebra. In un primo momento la Tenebra riceveva docilmente la Luce, arrivando a risplendere di luce riflessa; poi la Tenebra iniziò a provare vergogna per la propria incapacità di produrre Luce in autonomia. Quando la Tenebra rese manifesto il proprio malessere, la Volontà divina permise alla Tenebra di mettersi al riparo dallo splendore della Luce, sotto uno "spesso mantello": quello che nella tradizione asiatica sono i "sette veli di Maya". Qui, nell'oscurità, la Luce iniziò a lavorare per riuscire a "modellare" piccole luci: non paragonabili per intensità a quella originale, ma meravigliose per originalità.
Da allora è nato il mito dell'equilibrio tra il "bene" ed il "male". Dice Albert Pike, in un discorso del 1889: "Per la legge eterna, per cui non v’è luce senza ombra, bellezza senza bruttezza, bianco senza nero, l’assoluto può esistere solo come due divinità: essendo l’oscurità necessaria alla luce per servirle da contrasto…". Tralasciamo gli agghiaccianti contenuti del discorso di Pike da cui ho estratto la citazione.
In tutte queste dottrine l'uomo compie un percorso attraverso la "Terra di Mezzo", il regno dei chiaro-scuri, per accrescere la propria consapevolezza. Nella visione cristiana, deve la propria crescita spirituale al Cristo, in quella Luciferina a Lucifero ed in quella gnostica a se stesso. Nei Vangeli, Gesù è chiarissimo riguardo alla necessità di aderire ad uno schieramento e fornisce indicazioni inequivocabili riguardo alla "giusta via": "Chi non è con me è contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde." [Mt. 12, 30]
Il culto luciferino cerca di ignorare quanto viene spiegato nel Vangelo di Giovanni con disarmante semplicità: "La luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l'hanno sopraffatta" [Gv. 1, 5]: ovunque vi sia luce, le tenebre non possono far altro che dissolversi. Non esiste un equilibrio tra luce e buio: la tenebra si può manifestare soltanto quando la luce si ritrae. Gli gnostici e la storia di Yaldabaoth che ho riportato nel post che generosamente citi, evidenziano come sotto il manto protettivo non sia possibile creare alcuna luce: è invece possibile "modellare" piccole scintille che provengono - sempre ed in ogni caso - dalla Luce primigenia.
Il male non dovrebbe essere considerato come "l’essenza di tutto ciò che si deve evitare", ma come tutto quanto origina dal rifiuto della Luce: nel nostro universo, governato da leggi fisiche che l'uomo quotidianamente infrange, grazie alla sua capacità di compiere "miracoli", il rifiuto si concretizza nel coltivare una visione meccanicistica e nel negare l'origine divina della nostra scintilla vitale. Sposo a piene mani la tua chiosa: "Il tempo della materia è finito! Se ci sarà un futuro sarà un futuro dominato dello Spirito".
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RispondiEliminahttps://twitter.com/ArcanaRicordo/status/1436362863069777922
RispondiEliminaMi associo al pensiero dell'autore e del commentatore. Anche se differiscono partono dalle stesse premesse. La questione teodicea sembra qui risolta. Un grazie a entrambi per quanto scritto. Marco
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