Fra quei quattro gatti che ancora persistono con folle ostinazione ad inerpicarsi fra i sentieri più scoscesi delle nostre dissennate pensate, ve ne sono alcuni (po’erelli!) che reclamano a gran voce ulteriori contributi mai portati agli onori della pubblicazione. Per non mostrarmi sordo al loro commuovente autolesionismo, comincerò anzitutto a rispolverare una rapida carrellata di vecchi articoli. Ricordo ai più che alcuni argomenti hanno inizialmente trovato ospitalità nel sito Profezie Evangeliche, il Gestore del quale (Arcana Ricordo), coi suoi input, ci ha fornito pregevoli stimoli e puntuali riferimenti. In precedenza ci siamo dunque occupati di:
Cifre nascoste nel passo della Genesi, in relazione ai discendenti
adamitici; Equazioni criptate nel Salmo 90; Errori biblici (non casuali)
contenuti nelle cronologie dei regni di Giuda e Israele.
Abbiamo inoltre
proposto e discusso in chiave non allegorica, ma metaforica, il racconto del
Diluvio Universale.
In un prossimo appuntamento cercheremo
di richiamare l’attenzione del lettore sul contenuto cifrato del Libro di
Daniele, per il quale – debbo ammettere - non abbiamo in serbo adeguate
soluzioni. Apriremo allora in via del tutto sperimentale, un lavoro di
collaborazione coi frequentatori del blog , tentando di ricucire correlazioni
con altri numeri contenuti nei testi biblici.
A coloro che perseverano nella temeraria intenzione di seguirci,
propongo pertanto un invito a partecipare attraverso il commentario o l’e-mail
dell’autore fabio painnet blade (l’indirizzo esatto compare in basso a
sinistra, non appena la freccetta del
mouse viene posizionata
esattamente sul nome.) Un ultimo dettaglio tecnico: per aver modo di consultare
i vecchi articoli relativi ai lavori originali sopraelencati, è sufficiente
cliccare sulla parola ‘Bibbia’ o
‘cielo’, inserite fra le altre etichette riportate alla fine di ogni post.
Premetto rapidamente che, nelle varie disamine accademiche raccattate in giro per la Rete, non ho riscontrato niente di attinente all’idea che certi numeri potessero indicare riferimenti astronomici. Una delle teorie più gettonate, infatti, riguarda la possibilità che il Libro di Daniele riportasse esatti collegamenti a vicende storiche; il ‘gigante d’argilla’, l’impero di Alessandro Magno, o la (ipotetica) profezia sull’Avvento del Nazzareno, non sarebbero che alcuni fra i più noti esempi di agganci storici concepiti in seno al metodo storiografico.
A parte gli studi in chiave storica, o
storicista, vi è dunque in circolazione
un’ampia letteratura di genere devozionale, la quale, al contrario della
precedente, punta a dimostrare il carattere autenticamente profetico del testo
attribuito a Daniele. Alla radice delle motivazioni di questa categoria di
analisti, sta la convinzione (secondo loro fatto inconfutabile) che il racconto del profeta Daniele fosse stato redatto e diffuso ben prima del
II° secolo A.C. e che riguardasse
vicende apprese da antichi testi ebraici riguardanti fatti non ancora accaduti.
Non viene quindi presa in considerazione
l’inesattezza del criterio di datazione adottato dall’autore, o dagli eventuali autori; ma su questo punto è stato scritto
tanto e, dal canto nostro, non disponiamo di ragioni valide per continuare ad affollare il traballante vagone delle congetture.
Da un lato troviamo dunque i più rigidi
sostenitori del carisma del profeta Daniele, dall’altro i più agguerriti
scettici. Per completezza d’informazione dobbiamo inoltre annoverare in questa
lista anche un terzo ordine di pareri dotti, composto da quelli che sostengono la totale incongruenza dei tempi
indicati nei Vangeli. In questo gruppo di studiosi vi stanno coloro che si attengono al principio della dilatazione cronologica, quelli cioè
assolutamente convinti che i fatti
narrati siano racchiusi in un intervallo di tempo troppo ristretto per essere ritenuto credibile. Secondo questo
indirizzo di pensiero le narrazioni evangeliche riguardanti l’arrivo di Gesù a
Gerusalemme fino alla sua incarcerazione, si sarebbero dovute svolgere in un arco temporale più esteso. Tutto sarebbe
sembrato infatti più attinente alla realtà storica se gli evangelisti avessero calcolato, dall’arrivo del Cristo alla sua prigionia, un
intervallo di sei mesi anziché di pochi giorni. A rafforzare quest’ idea
giocano un ruolo importante le seguenti descrizioni:
1)”La
folla agitava le palme” ( Gv 12,12-16 ) Implicitamente ciò significa che i rami di palma, notoriamente difficili
da cogliere nella stagione della Pasqua ebraica, fossero più disponibili in
corrispondenza di una festività precedente a quella pasquale: la festa delle
capanne/tabernacoli (Sukkot) che cade esattamente sei mesi prima della Pessah
ebraica. A questo indizio, peraltro piuttosto debole, bisognerebbe aggiungere
2) importanti
cambiamenti dell’assetto politico imperiale, in virtù del quale l’azione di
Gesù sarebbe stata inizialmente tollerata dalle autorità (prima da Erode Antipa
e poi da Ponzio Pilato che caldeggiavano la presa di potere del cospiratore
Seiano) e successivamente condannata, in
corrispondenza della piena affermazione di Tiberio e della caduta dei suoi
oppositori politici. Ciò spiegherebbe la magnanimità dello stesso Pilato,
notoriamente un tipetto violento e senza scrupoli, nei confronti di Gesù.
Magnanimità in seguito decaduta e testimoniata dal trattamento riservato al
prigioniero. Difficile che anche questo cambio di registro del governatore,
fosse maturato in poche ore, come racconta la versione canonica.
3)Infine, bisogna
annotare la posizione giustizialista del popolo contro il Cristo. Nei Vangeli si parla
infatti di un trionfo popolare per il Maestro, si racconta del successo delle
sue predicazioni, non si capisce pertanto come tante persone avessero potuto
cambiare idea tanto nel breve tempo di
poche ore, mentre sarebbe di certo stato
più verosimile che l’indignazione della folla fosse maturata nell’arco di alcuni mesi, magari sotto la spinta di una robusta propaganda
diffamatoria.
Messe da parte
considerazioni di carattere religioso e rimanendo coerenti allo spirito
che ha fino ad ora animato le nostre
perplessità, ritengo di poter escludere al netto la possibilità della
preveggenza profetica concessa in grazia dal Cielo. Ecco che, allora, la figura di Daniele, ammesso si tratti di
quel Daniele di cui parlano gli esegeti (cosa di per sé tutt’altro che scontata) , si rivela ai
nostri occhi nella veste di erudito; sicuramente era uno che conosceva bene
nozioni scientifiche precluse ai più e non deve sorprendere che un tal
personaggio possa essere stato anche un
esperto narratore del mito. Per noi non ha alcuna rilevanza che questo saggio
del passato si fosse chiamato Daniele e non pensiamo di poter negare in
assoluto il carattere di preveggenza di
certi suoi scritti, ammesso però che questa qualità non si riferisca a doti
divinatorie esclusive, ma che si appoggi più risolutamente a una previsione
costruita su un solido bagaglio di competenze tecniche e su una conoscenza molto avanzata di particolari
fenomeni astronomici. Riteniamo pertanto che il requisito di ‘preveggenza
profetica’ di cui si è ampiamente abusato in letteratura, riguardi soltanto precisi testi che riportano, spesso
in forma cifrata, conoscenze di carattere scientifico.
Al di fuori del contesto planetario a noi più prossimo ( il sistema solare) non sarebbe dunque possibile, dal nostro punto di vista, formulare previsioni esatte. La previsione dell’alternanza ciclica dei moti stellari, non riguarderebbe infatti eventuali qualità divinatorie, ma più ragionevolmente una forma di Sapere costruito sulla conoscenza di specifiche dinamiche celesti. Una volta che l’iniziato (ma anche saggio) disponeva della necessaria competenza e degli strumenti adatti,quindi scientifici, per valutare con esattezza determinati fenomeni planetari, è presumibile fosse in grado di allestire di tutto punto i termini narrativi di un adeguato scenario terreno che potesse in qualche modo rispecchiare simbolicamente quello superno, apparentemente indeterminabile; stava quindi all’abilità dell’erudito (nel ruolo di narratore) mettere insieme le analogie necessarie affinché il disegno del Cielo potesse ispirare i comportamenti degli uomini, le cui vicende, a prescindere dalla fedele cronaca dei fatti realmente accaduti, sarebbero state raccontate - soprattutto per essere ricordate - in un apposito linguaggio (mitico): ‘così in cielo così in terra...’Recita per l’appunto una famosa orazione cristiana.
Certificazione postuma di autenticità Secondo il nostro modesto punto di vista , in specifiche situazioni sarebbe opportuno parlare di ‘profetismo indotto’, invece di valore profetico vero e proprio, così da marcare la differenza fra l’indole divinatoria generalmente attribuita a certe figure carismatiche e la capacità di costruire passaggi e contesti simbolici sul solco di comprovate dinamiche, investigate secondo un preciso approccio astronomico. In parole povere vi sarebbero fenomeni di alternanza fra epoche ben delimitate, apertura di cicli nuovi e chiusura di cicli vecchi, ma anche i moti del ciclo orbitale lunare (eclissi), studiati a fondo fin dall’antichità e misurati attraverso la durata del Grande Anno Platonico. Questo specifico Sapere arcaico, compatibile con quello moderno, avrebbe consentito agli antichi osservatori del firmamento di prevedere con un buon margine di approssimazione, una serie di eventi ciclici, ma anche planetari a volte perfettamente visibili dalla terra, come la congiunzione Giove-Saturno. Da queste basi non suscettibili di interpretazione, si sarebbero poi stabilite associazioni (simboliche) con particolari vicende storiche e con personaggi particolarmente rappresentativi di determinate epoche, per poi ricostruire la trama di racconti ambientati sulla terra, seppur strettamente connessi alla rappresentazione del grande palcoscenico celeste. Ovviamente lo scenario terreno (inferiore) avrebbe dovuto ricalcare in misura pressoché identica e sovrapponibile quello astrale (superiore) per far si che, in tempi successivi, i posteri potessero mettere insieme le cose, superare il livello letterale del testo ( il senso favolistico ) ed accedere, previo opportuna formazione, all’ accesso di un Sapere di livello molto più elevato. Non si spiega altrimenti come mai, nell’ Epimonide, lo stesso Platone indicasse come requisiti imprescindibili della saggezza, il numero, la matematica e anzitutto, l’astronomia. Insomma, una volta raccolti sufficienti dati nell’ arco di millenni, li si trasmetteva all ’attenzione di una casta ultra-specializzata di dotti sacerdoti, che poi si ingegnavano a mettere insieme entro solide armature simboliche, i passi di narrazioni epiche destinate a durare nel tempo. In questa abilità narrativa veniva protetto il senso del mito arcaico, capace di racchiudere in un sol getto sia fantastici racconti di re o draghi, sia la raffigurazione di