A Natale non c’è abete che non mi stia sulle palle. (Omaggio a Walter Matthau)
il brano è stato scritto in omaggio all'attore americano Walter Matthau, ovvero, al genere di personaggio più volte da lui interpretato nella sua memorabile carriera. Ho immaginato che un tipo scontroso, cinico e misogino, sulla bozza delle sue più riuscite macchiette cinematografiche, fosse proiettato nel nostro mondo angustiato dalle logiche del
politically correct. Ho provato a costruire una meditazione fredda e distaccata sulla società contemporanea, proprio come il burbero allibratore della pellicola di Bernstein, 'E io mi gioco la bambina'. L'idea mi è venuta dopo aver letto il
post 'Io amo il cinema' sul blog di Gus. Scrivere in quello spazio delle mie preferenze cinematografiche sarebbe stato lungo e noioso, mentre l' omaggio a un bravo attore, lo trovo di gran lunga più leggibile. Approfitto dell'occasione per fare a tutti i miei più cordiali auguri di buon Natale.
Fabio Painnet Blade
"La gente mi sta sempre sulle palle, ma a Natale posso dire che mi sta sulle palle anche di più. Più che a Pasqua, più che a Ferragosto; ai compleanni poi…ci sarebbe da ammazzarli tutti, questi gioiosi, con le loro torte burrose incatramate di cacao. Odio i pacchetti infiocchettati che promettono e poi non mantengono, poiché tanto 'quel che conta dev’essere il pensiero'. Ma quando mai il solo pensiero ha contato qualcosa? Mi tengo a distanza di sicurezza da ogni cerimoniale festoso, germoglio d’ipocrisia. Le lacrimucce di circostanza, i “proprio non li dimostri, cara”, o quei mielosi “sei sempre così bella...”, non li ho mai digeriti. Le badilate di stronzaggini che si dispensano in tali occasioni mi fanno sempre rivoltare lo stomaco. Non sono un tipo simpatico, lo so. Ma non perché soffra di una misantropia congenita, semmai perché non credo affatto alla gioia del momento. Non credo alla felicità in generale, quel che ne vien fuori, intendo; forse quel che rimane dentro è di gran lunga migliore…Non v'è nulla di più prezioso delle cose celate, disse qualcuno*. Per me il tempo buono è quello del ‘dopo’, il ‘durante’ non mi dice niente di speciale. Il dì della festa? Non ha alcun senso. Punto.
Delle cose della vita mi interessa parecchio il ‘dopo’. Il concerto di Capodanno? M’ha sempre lasciato indifferente, mentre al mattino, quando gli operai cominciano a smontare l’impalcatura e gli spazzini a raccattare le montagne di immondizia, io assaporo la malinconia dell’epilogo. Per me in quel preciso istante comincia l’eccitazione e mi capita di pensare: meno male, anche per quest’anno è andata. Una buona pellicola comincia a prendermi quando il nastro con i nomi degli attori ha terminato di scorrere, dopo le citazioni, i costumisti, le musiche e i ringraziamenti agli enti locali. Ogni inizio è un potente narcotico, nella fine vi è altresì un' energia nuova. Avevano ragione i saggi del tempo che fu: il tempo è ciclico e quel che comincia è sempre meglio di ciò che finisce. Neppure in vacanza riesco a rilassarmi, meglio un giro di vodka al bar dell’aerostazione, quando le turbine hanno smesso di fischiare e i pericolosi marchingegni hanno depositato i nostri culi sulla terraferma.
Ottenere una vittoria è sempre una bella sfacchinata, val forse la pena vincere se prima devi farti un mazzo così? No, no… Meglio il dopo, e poco importa che il successo non sia tuo e sugli allori si gongoli qualcun altro. Meglio il dopo, in ogni caso, come quando senti lo scroscio dello sciacquone portarsi via fatti e misfatti della giornata, solo allora ti senti in pace col mondo. Svuotarsi gli intestini è una questione liberatoria, posteriore, - in tutti i sensi - mai antecedente. Forse questo mio godere del momento appena trascorso e della solitudine che in esso trae giovamento, è la vera causa del rapporto di merda col mio prossimo. E a Natale la ripulsa si fa ossessione. L’aria della festa mi da l’orticaria, che posso farci? Per me il momento buono viene quando rimango solo. L’ho detto.
- Perché non prendi un cane? Ti farebbe bene. Mi si consiglia spesso, con una stoccata di bonaria premura borghese. - Come no. L’ho fatto a suo tempo, ma ho cominciato ad interessarmi a lui solo quando è schiattato sotto il battistrada di un autoarticolato. Prima di allora m’aveva sempre dato ai nervi. Dannata cagnetta! Meritava qualcosa di più come padrone ed io qualcosa di più come compagnia: in pratica stavo molto meglio senza. Ma l’ho capito dopo…dopo che ho veduto il suo muso spelacchiato appiattirsi su un groviglio di interiora rosa, sul selciato. Insomma, non sono il tipo adatto a tenere fra i piedi un piccolo, per quanto tenero, sacco di pulci. Raccoglierne le deiezioni poi, un vero supplizio; il sottile piacere lo lascio volentieri al vedovo del pianerottolo a fianco: un tipo dai modi cortesi ed odiosi, molto preciso e attento ai formalismi di maniera, a cui piace far di conto fuori e dentro l’ufficio pidocchioso in cui trascorre le ore della giornata. Ma quella di far quadrare i conti è una mansione che si è portato fin dentro le mura domestiche, dove – si dice - non lasciasse passare lo spreco di un solo centesimo. Il vicinato maligna che la consorte sia spirata anzitempo per disperazione, non volendole lui concedere alcun lusso o sperpero e centellinandole persino i pochi nichelini che di solito si lasciano al mendicante, sul sagrato della chiesa. Mi é capitato molte volte di osservare questo vecchio contabile inforcare il suo buon guanto in lattice e ingobbarsi sugli escrementi del proprio cane, uno scagaccione tutto coda e mandibole che sembra farlo apposta a cacargli attorno, proprio mentre passano le signore ingioiellate, quasi conosca alla perfezione i suoi modi da incorreggibile dongiovanni. Questi di norma, segue l’animale, col quale sembra aver rimpiazzato la più dispendiosa moglie, gli sta appresso metro dopo metro e si piega fino a terra per adempiere al suo quotidiano esercizio di buona creanza. Al primo mattino tuttavia, è assai meno sollecito a raccattar escrementi, cosa che non manca mai di fare in pieno giorno, quando invece pare assai più attento a non rovinarsi la reputazione di persona a modo; solo per questo motivo alla luce del sole è assai più coscienzioso con la merda del suo cane: e dagli con le genuflessioni, col guantino e con la quotidiana esibizione di impareggiabile disinvoltura manipolatoria. Ogni tanto, nel vederlo carezzare le digestioni canine, alcuni non riescono a trattenere il disgusto e con la mano sulla bocca, a mo’ di tampone, tirano avanti senza degnarlo d’uno sguardo. E che altro può suscitare un tale, stomachevole contegno? Solo a guardarlo desta compassione: mai e poi mai potrei tenere, ed ancor meno accudire, un tale impiccio sotto il mio tetto.
Stasera, il 24 dicembre, ho deciso di farmi una bella passeggiata in centro, a distanza di sicurezza dai luoghi dove le persone si addensano come afidi. I centri commerciali sfavillano di luci e sembrano invogliarti a scucire i tuoi ultimi risparmi. A me pare che questa folla sciami intorno ai mercati proprio nei momenti meno felici dell’economia, quando i telegiornali sfornano le peggiori previsioni e il portafoglio ti fa marameo dalla tasca lisa. Se non ci si può permettere nulla, la sola idea di spendere provoca una sottile frenesia masochistica a cui nessuno vuol rinunciare; così, a Natale, tutti si riversano per le strade a godere di questa strana vocazione. E come puoi fermarti a comprare qualcosa?: le facce di fuori ricordano il cipiglio sconsolato dei mocciosi anni Venti: berretto largo di due taglie calcato su riccioli aurei, occhi supplicanti e bava alla bocca davanti alle leccornie della pasticceria. Perché non portano i loro musi imploranti altrove questi infelici? Che ci posso fare se non sono un sadico? Non tutti amano gioire delle sfighe altrui. Acquistare qualsiasi cosa, in questo periodo dell’anno, mi innervosisce, provo quasi vergogna e allora, anche per questo Natale mi guarderò bene dall’idea di sperperare quattrini. Mi farò due passi solo per prendere una boccata d’aria, ci sarà pure un buon diavolo che del Natale se ne frega.
Per le vie del centro mi imbatto invece nel solito via vai di faccioni inebetiti davanti alle vetrine sfavillanti: dentro i locali le commesse fanno i cruciverba. Quei pochi che osano interrompere i loro svogliati passatempi sono trafitti da sguardi d’invidia feroce. I fanciulli vengono strattonati come somari davanti ai multicolori arredi dei negozi di giocattolame, le scene si ripetono sotto i miei occhi e il biasimo per questa umanità corrotta mi lievita dentro.
Neppure gli abeti riscuotono successo, giacciono accatastati col cartellino del prezzo appiccicato a rami che mai vedranno addobbi colorati. Il prossimo Natale la loro strage – o una parte di essa - potrà essere evitata, una buona percentuale si salverà in attesa di tempi migliori. Guardo le palle che stanno sugli abeti e scopro che gli abeti mi stanno sulle palle più delle persone… a Natale. Mi sovviene un vecchio motto che invitava a piantare un albero per ogni nascituro. Se l’equazione fosse corretta, ad ogni Natale si dovrebbe registrare un preciso decremento demografico, dato il numero di piante destinate alle discariche. Mi si ricorda che non sempre la matematica c’azzecca. Mah! Non ne sono troppo convinto: il calo delle nascite nei paesi più opulenti è una scudisciata di pessimismo spalmata su tutti i mesi dell'anno. E hai voglia di seminare alberelli sull'intero pianeta! L'equazione non torna. Mi fermo davanti al grosso schermo di una piazza cittadina, al momento trasmette il telegiornale dell’emittente che fa capo alla redazione di un quotidiano. Persino la piazza porta il nome della testata, manco fosse un caduto dell’ultima guerra. Il notiziario trasmette immagini da terzo mondo, in diretta televisiva dai teatri di violenza più gettonati. Spuntano volti emaciati, cornee giallastre infestate d’insetti, o ventri gonfi come bocce da bowling, ma solo nei luoghi caldi, mentre a settentrione il sangue è lo stesso, stessi drammi e stessa disperazione con densi fumi neri sullo sfondo, come tetri sipari sullo spettacolo della Nera Signora, in replica perenne, giunta dal cielo sul suo metallico destriero gravido di esplosivi . E poi roghi di morte, calcinacci imbiancati di polvere dove un tempo svettavano edifici, quartieri, città. Cazzo! Quanto ci azzecca la matematica a Natale.
* Oscar Wilde