lunedì 18 novembre 2024

Una piacevole chiacchierata col Professor Domenico Rosaci (Seconda e-mail)

 

Gentile Fabio

      Sull'argomento in questione le ho già condiviso il mio pensiero. Nei testi antichi i numeri sono utilizzati spesso e volentieri come simboli, e ci si riferiva anche a fenomeni astronomici, ma non nel senso di misurazioni sofisticate come noi oggi le intendiamo, quanto alle osservazioni più evidenti in assenza di strumentazioni, come i cicli del sole, della luna e dei corpi celesti visibili ad occhio nudo. Non esiste nessuna evidenza, neppure lontanissima, che popolazioni umane del paleolitico o magari del neolitico potessero conoscere la precessione degli equinozi, che di certo era nota nel II secolo a.c. ai tempi di Ipparco, e magari si può pure ipotizzare che fosse stata notata già da qualcuno qualche secolo prima, ma non certo al tempo in cui furono scritti i Veda o addirittura i Testi delle Piramidi. Inoltre la questione è completamente irrilevante ai fini della comprensione dei testi antichi, che come le ho detto avevano la funzione di indagare il mondo di "dentro" e non quello di "fuori", in quanto appare evidentissimo dalla lettura di questi testi antichi che non viene descritto lo spazio-tempo di cui abbiamo nozione noi moderni, ma uno spazio-tempo psicologico, che può essere compreso solo abbandonando il punto di vista scientifico.

I testi antichi non parlano di un Universo oggettivo, misurabile sperimentalmente in modo "ripetibile", ma di un Universo psicologico, sperimentabile con la psiche in modo soggettivo. 

Spero di aver chiarito il mio punto di vista.

Un caro saluto.

Domenico Rosaci  


domenica 27 ottobre 2024

Alla cortese attenzione del Professor Domenico Rosaci

 


 a ringrazio Prof. Domenico Rosaci, per la Sua cortese e paziente disponibilità. Forse non è molto interessato alle mie argomentazioni, La vedo infatti piuttosto convinto nell'affermare che i significati di questi numeri (quelli presenti in gran quantità nei testi biblici) "non hanno nulla a che fare con fenomeni fisici complessi come la precessione degli equinozi". Mi permetta , gentile Professore, di motivare il mio dissenso.

    Lei dice anche che l'uomo antico ' non aveva ancora sviluppato il bisogno di possedere  la natura , ovvero, egli  non si avvicinava  alla Natura   per carpire i segreti   della realtà. Piuttosto - afferma ancora - , l'uomo antico elaborava immagini'. 

 Immagini archetipiche, della caccia, dei temporali (che ispirano terrore) , dell'amore, possedute dalla collettività proprio perché la sopravvivenza stessa delle comunità umane ancora grossolanamente organizzate, dipendeva  dal comune senso di intendere il mondo, la vita. Eppure, ad un preciso  punto della storia umana, specie in epoca ellenica, sembra che una casta di eruditi avesse cominciato  a esprimere e calcolare  misure dei fenomeni fisici  naturali  e la conseguente osservazione codificata delle dinamiche della realtà, delle dinamiche degli astri, in particolar modo.

     Di certo non sbaglia quando sostiene che già ai tempi del sito di Gobleki Tepe, l'umanità utilizzasse il mito come rappresentazione di immagini archetipiche; non si può ignorare tuttavia come, proprio su quel sito, sono stati rinvenuti  graffiti che gli studiosi concordano unanimemente nel riconoscere come raffigurazioni della stella Deneb, astro della costellazione del Cigno. Strana coincidenza ! Fra migliaia di possibilità quelle popolazioni sembravano infatti preferenzialmente ed intimamente affezionati a un astro che appariva nel cielo meno mobile di tutti gli altri , ed anzi che intorno ad esso ruotassero addirittura tutti gli altri corpi luminosi, l'intero cielo  si potrebbe dire. Allora l'umanità, già dieci-undicimila anni fa, qualche rapporto con l'astronomia doveva avercelo. E questo rapporto doveva già essere bello stretto, irrinunciabile.

   Altrettanto curioso è ritrovare nelle rappresentazioni di svariate culture, il bestiario  di  un giardino zoologico stellare che comprendesse nomi di animali appartenuti da tempi remoti a costellazioni. Si pensi all' Apocalisse di Giovanni, o ai reperti dei culti mitraici, dove compaiono scene che raffigurano animali particolarmente significativi, ma  solo come costellazioni. 

    E lo stesso si può dire del pantheon egizio, coi suoi tori, i suoi sciacalli (cani), le  pantere e i falchi , tutti ed in egual misura riconoscibili come figure astrali. Talvolta come costellazioni importanti, solo perché centrali/assiali. Ma su ciò è stato scritto tanto, non vorrei soffermarmi ulteriormente, anche perché in questo nostro scambio io ho parlato più specificatamente di numeri. A quanto sembra, Lei nega  che tali numeri avessero un rapporto diretto con l'astronomia, e forse ha ragione, ma solo fino ad un certo punto, ad una certa e lontana epoca; in seguito le cose debbono essere cambiate nel modo di intendere la conoscenza, o forse questa conoscenza (come mappatura celeste) ha comportato un qualche vantaggio sul piano del potere, del mantenimento del potere. Non entriamo in queste speculazioni, però. Ci sarà modo, eventualmente più avanti e se le farà piacere, di proseguire questa chiacchierata. 

Dicevamo dunque, e vado a concludere, che secondo Lei non vi sono prove che gli antichi misurassero i movimenti del cielo notturno; bene. Ma se trovasse in più libri della Bibbia gli stessi identici numeri (molti numeri, in realtà) , e se, in virtù della loro sorprendente approssimazione con quelli rilevati attualmente, tali numeri fossero riconducibili senza dubbio (in virtù della loro ripetizione e precisione, si è detto) a complessi fenomeni astrali, (come il moto di precessione degli equinozi),  sarebbe disposto a rivedere questa sua ferma convinzione? Vede, queste evidenti correlazioni, potrebbero estendere e ricollegarsi coerentemente alle sue osservazioni molto pertinenti sul significato del mito. Potrebbero in fondo fornire delle risposte a quel bagaglio non indifferente di rapporti cifrati presenti non solo nei libri biblici, ma nei testi sacri di molte culture, a cominciare da quella di Gobleki Tepe (Ad oggi mi sembra siano stati scoperti altri siti altrettanto antichi). 

     In conclusione, chiedendole perdono per la prolissità di questo mio intervento, ritiene che le età dei patriarchi antidiluviani vogliano favoleggiare su una razza umana particolarmente longeva o può spingersi a pensare che dietro quelle cifre , anziché di età si parlasse nientemeno che dell' universo? La sorprenderebbe pensare che le stesse cifre siano perfettamente sovrapponibili a quelle rilevate nel  Libro dei Numeri?

 E infine: ha mai provato a comporre come un'equazione il semplice testo del Salmo 90? Quello dei 'mille anni come un giorno e (quella 'e' starebbe magnificamente come un +) un turno di guardia (In certi testi di 'veglia': sempre quantità uguale a quattro ore solari) nella notte.?' La sorprenderebbe rilevare ancora una volta che la  soluzione riporta inequivocabilmente al ciclo della precessione degli equinozi?

     Le ho rammentato solo tre fra i numerosi casi da noi rilevati. Non so se ho intaccato la sua iniziale affermazione, Gentile Professor Rosaci, o se queste mie chiacchiere non smuoveranno di un pelo le sue idee, tuttavia, qualora rimanesse perfettamente stabile sulla sua tesi, dovrebbe ammettere che , stando a quanto scrive, tutti i numeri della Bibbia, sarebbero soltanto inutili complicazioni di autori farneticanti che non sapevano come passare il tempo. Viceversa, io credo che le sue corrette considerazioni sul significato del mito arcaico trovassero decisa e inconfutabile conferma nei numeri e  nell'astronomia fisica appannaggio di quelle popolazioni e che attraverso di essa costoro cercassero di fornire un preciso avallo, diciamo un aggancio solido, a questioni altrimenti manipolabili e facilmente interpretabili a seconda della convenienza.  Proprio come sta avvenendo in questo frangente storico (Interpretazioni senza senso, scrive giustamente).  Timeo, maestro di saggezza, non era forse astronomo? Perché nell'Epimonide, in riferimento alla conoscenza e alla saggezza ,  si parla ancora di numero e astronomia/astrologia, anziché di valori morali e 'santità'? POi c'è il discorso sulla Conoscenza, profondo , antichissimo e perfettamente coerente ovunque lo si voglia applicare. Ok, ma è possibile che questo codice e indirizzo morale trovasse, da un certo momento in poi, la necessità di essere ben ancorato a qualcosa di non interpretabile, a qualcosa di fisicamente immutabile come i cicli degli astri, dei pianeti (stelle erranti) del sole e della luna? 


                                                                                     - continua 


giovedì 17 ottobre 2024

Breve scambio di opinioni col Professor Domenico Rosaci

                                                                

   Che piacere conoscerLa Prof Rosaci! O perlomeno che grande soddisfazione aver l'opportunità di scambiare qualche riflessione sul Suo importante lavoro. Inutile, credo, soffermarmi su plausi  e complimenti vari che probabilmente riceverà in quantità smisurata e di sicuro meglio confezionata di quanto possa fare io; per non risultare fastidiosamente ripetitivo in un esercizio di  ridondante  apprezzamento ( mosso comunque da autentica stima, sia chiaro) non mi resta che accodarmi  alla lunga fila dei suoi estimatori, e con loro le rivolgo un ringraziamento   sincero. 

  Detto ciò vorrei approcciare rapidamente a questo breve  scambio, con un dubbio che mi assilla  fin da quando ho cominciato a seguire le sue conferenze sul mito e sul pensiero arcaico. Mi domandavo infatti, essendo Lei uno studioso di estrazione scientifica,  in relazione  a vari testi sacri (E in particolare ai libri biblici), come mai ha spesso omesso di far menzione del significato (probabile significato) del bagaglio numerico presente nei testi? Ignorare questi densi rapporti numerici, talvolta censimenti, talvolta semplici computi di preziosi, o di animali da altare votivo, consente ugualmente di comprendere i significati nascosti del testo? Di comprendere cioè nella sua interezza, il messaggio tramandato ?  In definitiva, ritiene che questi corposi elenchi di cifre si possano ricollegare ai contenuti del mito arcaico? E, se sì, in quale modo correlare le svariate trascrizioni numeriche col senso più profondo delle scritture? Quel senso di cui ci ha, tanto appassionatamente parlato, intendo. 

Per il momento mi fermo qui. La ringrazio fin da adesso per l' attenzione che mi potrà dedicare. 

Cordialmente 

f pb  

                                                    _____________________________

Gentile Fabio
    

    Il numero è il simbolo per eccellenza, e tutto ciò che è numero nel mito ha precisi intenti significativi.

    Le ventidue lettere dell'alfabeto ebraico sono ventidue perché questo numero aveva un significato simbolico, gli arcani maggiori sono 22 per lo stesso motivo, e ogni numero da 1 a 22 ha una rappresentazione simbolica nella corrispondente carta dei Tarocchi. Ho scritto due libri che spiegano queste corrispondenze, Arcana Memoria con ventidue capitoli numerati con le lettere dell'alfabeto ebraico, La Tradizione degli Dei con 22 capitoli ognuno dei quali dedicato a un numero.
   Ma i significati di questi numeri non hanno nulla a che fare con fenomeni fisici complessi come la precessione degli equinozi. Gli antichi non erano interessati alla conoscenza scientifica.
Semmai ci sono corrispondenze con i fenomeni fisici basilari e più evidenti, come il fatto che nell'anno solare ci sono 12 lunazioni, con la rimanenza di un tredicesimo "mese", e mi sono soffermato ampiamente anche su queste simbologie.

Il significato tradizionale dei numeri è ampiamente assodato e codificato nell'antica sapienza, mentre le interpretazioni fantasiose e favolistiche fanno parte della paccottiglia moderna new age, basata sul nulla.

Un caro saluto. 

                                                                                                                                       Continua . 


martedì 8 ottobre 2024

Una chiacchierata con Domenico Rosaci

 Ancora una volta i nostri lavori sull'Apocalisse debbono essere interrotti, per far posto a una pubblicazione di sicuro interesse. Siamo infatti riusciti a coinvolgere nelle nostre disquisizioni un 'mostro sacro della letteratura sul mito, il Professor Domenico Rosaci, autore di numerosi e imprescindibili testi e di un formidabile canale  yt,  nel quale espone nel dettaglio tutte le sue argomentazioni sulla materia di sua competenza . Ci ha infatti colpito la sua diffidenza sul fatto che i testi sacri potessero veicolare informazioni di carattere astronomico, cioè , contenere cifre riconducibili a fenomeni celesti complessi come il ciclo della precessione degli equinozi. A breve il rapporto della nostra 'chiacchierata informale' col Professor Domenico Rosaci . Naturalmente, non prima di aver ottenuto il suo consenso.  

                                 
                            Domenico Rosaci

lunedì 7 ottobre 2024

Bestiario apocalittico

 L'Apocalisse rappresenta un' opera di grande impatto simbolico, nel suo genere è decisamente affascinante e,  a duemila anni dalla sua  stesura, non si può dire sia stata dimenticata, o esiliata in una nicchia oscura della letteratura sacra. Ai giorni nostri non mancano i sorrisetti ammirati all'indirizzo dei numerosi mostriciattoli che al suo interno fanno sfoggio di gran fantasia autoriale, ma ad un occhio più attento ogni parola sembra cesellata con cura su un ceppo bello gonfio di simbologie e richiami archetipici. Come abbiamo già fatto col libro di Daniele, anche stavolta cercheremo di lavorare su allegorie cosmiche, visto e assodato che spesso i mitici mostri corrispondono a profili perfettamente sagomati su figure  astrali e costellazioni, come draghi, scorpioni, leoni e orsi. Questa chiara evidenza pone una riflessione di fondo che non può essere ignorata: gli animali apparentemente fantasiosi non sono stati scelti a caso fra quelli conosciuti, dal momento che il bestiario biologico messoci a disposizione dalla natura, sembrerebbe assai  più vasto di quello rappresentato nelle pagine dello scritto apocalittico; pertanto il testo ci propone, quasi sicuramente, soggetti che non potrebbero  riguardare altro se non ammassi di stelle noti fin dai tempi più antichi e riconosciuti fin da allora come importanti costellazioni di riferimento.






venerdì 2 agosto 2024

Giovanni, fine comunicatore.

 Cominceremo la nostra analisi con una domanda precisa: che ci faceva L'evangelista Giovanni a Patmos? Il mondo cattolico lo presenta come l'Autore del Vangelo omonimo e del libro dell'Apocalisse. Credo che da qui in avanti sia ben considerare  Giovanni come unico Autore dell'Apocalisse, evitando così l'intricato percorso dell'identificazione storica del vero autore del testo sacro; un lavoro per il quale non disponiamo delle necessarie competenze.  Molti indizi fanno pensare che egli fosse davvero un cristiano esiliato in quei luoghi che ad un certo momento decise di scrivere un testo apocalittico di 


 matrice profetica, benché non sappiamo bene, e con certezza, se si trattasse di quel Giovanni che in giovane età aveva condiviso una parte della sua vita col Gesù della tradizione cristiana. Ciò che sembra assodata è l'intenzione di proporre un racconto in veste di sogno o di visione sacra, un racconto colmo di simboli spesso intrecciati con le caratteristiche del dio Apollo, figura assai venerata in quel mondo ai confini orientali dell'impero romano, in cui si andava diffondendo la storia (Anch'essa mitica?) della vita e delle opere in terra di Gesù di Nazareth.  Altro punto che dovremmo tenere bene  in evidenza è la competenza dell'autore dell'Apocalisse in fatto di culti apollinei, culti e rituali ben radicati nelle popolazioni di quelle terre di confine. Sarà bene, dunque, tenere in stretta considerazione questi elementi prima di affrontare un qualunque lavoro di tipo esegetico. Ci aspetteremo dunque di veder riproposti nel corso della narrazione, quei simboli caratteristici della figura sacra di Apollo, attraverso i quali , l'evangelista Giovanni , avrebbe cercato di penetrare le convinzioni delle popolazioni a quel dio devote e, in virtù di esse, introdurre temi escatologici propri della tradizione cristiana. Se dunque le persone comuni si mostravano rispettose del dio degli oracoli, e ovvio che, per far presa sulle loro coscienze, si dovesse presentare a loro un racconto dagli alti contenuti profetici. Giovanni mostra di essere, quindi, un fine comunicatore dei propri tempi. Egli parla in un linguaggio caro al suo pubblico, una platea cioè  che abitava l'Asia minore di duemila anni fa.. 

domenica 23 giugno 2024

Il reset della scuola

 Il reset della scuola, articolo tratto dal sito Critica Scientifica (Il blog di Enzo Pennette). 

Parliamo di scuola è bene quindi definire l’oggetto;  scuola deriva dal greco scholè che significa ozio.  L’ozio  è  il   tempo  libero  dal  lavoro, è quindi  il  tempo  delle  occupazioni  degli                uomini liberi , (Il che è profondamente diverso dal concetto di tempo libero) sono le attività degli uomini liberi in contrapposizione a quelle servili proprie appunto dei servi o degli schiavi. Il tempo libero è nell’accezione attuale un tempo di svago e distrazione, divertimento, ed evidentemente la scuola non può essere questo, il tempo libero dalle occupazioni è nell’antichità l’ozio, è un tempo in cui gli uomini sono liberi e in quanto tali si occupano delle cose di cui si occupano gli uomini liberi e cioè la arti liberali che furono codificate nel medioevo in quelle del Trivio e del Quadrivio: 

Grammatica, retorica, dialettica    –  aritmetica, geometria, astronomia, musica.

    Le arti liberali sono quelle nelle quali l’uomo libero si realizza nel senso aristotelico del compimento di una potenzialità in atto, questo è anche lo scopo della scholè, questo è ancora oggi lo scopo di quell’istituzione che chiamiamo scuola. La scuola deve in definitiva essere il luogo della cultura che etimologicamente ha la stessa radice di coltivare, in questo senso nella scuola è l’uomo che viene coltivato e fatto crescere ancora una volta esprimendo il passaggio dalla potenza all’atto. Se invece l’oggetto di cui trattiamo è un’istituzione che prepara al mondo del lavoro, fosse pure di alto livello, non possiamo parlare di scholè ma di istituti di formazione al lavoro, rispettabilissimi ma etimologicamente non sono schola, si tratta di luoghi dove non è l’uomo ad essere coltivato ma il lavoratore, si passa dall’essere fine a se stesso ad essere finalizzato ad un uso. In perfetto stile da neolingua si lascia dunque il termine scuola per svuotarlo di significato e riempirlo con un altro, la confezione dall’ esterno è la stessa ma è cambiato il contenuto.    Si tratta dunque di decidere quale tipo di percorso vogliamo, l’uno vede la persona come centro intorno a cui ruota tutta l’attività ed è orientato allo sviluppo delle potenzialità umane, l’altro è orientato alla fornitura di personale al mondo del lavoro, in questo secondo sistema il centro è il mercato e lo studente è la merce grezza che la scuola deve valorizzare. In definitiva in questa seconda accezione la scuola diventa un’industria manifatturiera di trasformazione di materie prime grezze (i vostri figli) in semilavorati di maggiore o minore pregio. In questa ottica ha ad esempio senso la consuetudine in voga negli Stati Uniti di investire, eventualmente con denaro preso in prestito, nell’istruzione dei figli che poi diverranno fonte di reddito proporzionata, in caso contrario si dichiarerà il fallimento per disavanzo economico. Quella che è in gioco nelle due visioni è propriamente una diversa antropologia, nella scuola l’essere umano è il fine in quanto nulla esiste di più importante dell’uomo, nella seconda il fine è il mercato eletto a principio naturale fondamentale e l’uomo è solo uno dei tanti esseri viventi che si deve adeguare a tale principio. Si tratta di passare da essere un animale politico, zòon politikòn, per fare riferimento ad Aristotele, ad animale e basta, cioè zòonsi tratta quindi di passare dalla dimensione della politica a quella della zootecnica, questa è l’antropologia che fa da sfondo allo snaturamento della scuola  avvenuto negli ultimi decenni.

La visione antropologica mercatistica coincide con quella di una dinamica animale attraverso la darwiniana legge della competizione e selezione naturale posta a principio della biologia, una legge senza la quale nulla in biologia avrebbe più senso in accordo ad un celebre, tra i naturalisti, detto del genetista Theodosius Dobzhansky. L’animale politico è caratterizzato dalla parola, il linguaggio simbolico che è caratteristica della sola specie umana a che permette la comunicazione di ciò che è giusto e ciò che è ingiusto e quindi permette di decidere le leggi dello stato, chi non ha bisogno di comunicare, restando sempre ad Aristotele, o è un dio oppure un animale, l’alternativa allo zòon politikòn è dunque solamente lo zòon, cioè l’animale senza parola, ed ecco quindi che dall’istruzione tende a scomparire proprio la parola per far posto a modelli esteri celebrati come desiderabili che usano le crocette da apporre a frasi preconfezionate, ecco scomparire il tema di italiano per lasciare posto ad articoli giornalistici o saggi pre-orientati verso un determinato e conveniente giudizio, si pensa ma solo come si deve pensare prima di non pensare più affatto e diventare solo contenitori da riempire con idee preconfezionate e propaganda politicamente corretta. Viene così introdotta la nuova educazione civica che altro non è che la dichiarata “agenda” 2030, cioè un vero e proprio programma politico imposto ma spacciato come qualcosa di universalmente desiderabile e ovviamente non criticabile, un’agenda fumosa quanto basta per non far capire che si tratta di un rimodellato sociale o “reset” come è più corretto dire oggi. Il linguaggio del mercato si è impadronito del luogo della cultura introducendo dirigenti scolastici al posto dei presidi, i debiti e i crediti formativi e sopra ogni cosa l’alternanza scuola lavoro, gli esami sono via via svuotati divenendo delle pratiche burocratiche cavillose dove il timore di ricorsi determina il voto finale più della valutazione dei docenti, una istituzione didattica di questo tipo non ha più la funzione della scuola se non in maniera residuale  e progressivamente in diminuzione.

    Il movimento graduale di destrutturazione dell’istituzione scolastica ha infine subito un’accelerazione impressa sotto la spinta dell’emergenza Covid, lo stesso Klaus Schwabe, direttore del WEF, nel suo “The Great reset” indica nella crescita esponenziale la caratteristica di questi fenomeni, la Didattica a distanza ha aperto una finestra che mostra un mondo dove un insegnante può bastare per centinaia di studenti e che può essere anche sostituito da una registrazione video, le valutazioni potranno essere effettuate con test centralizzati sviluppati e messi a punto in anni di prove dall’INVALSI. Questa istituzione educativa che abbiamo visto non può più essere definita scuola non è evidentemente un incidente di percorso e niente lascia presagire un ripensamento e tantomeno un cambi di rotta, la residua possibilità di fare “scholè” è lasciata alla libera iniziativa di gruppi sempre più diradati di insegnanti. La scuola potrà essere ripristinata solo con una inversione a livello legislativo e di quello che si chiama “stato profondo” la quale non potrà verificarsi se non dopo profondo rivolgimenti sociali e geopolitici. Nel frattempo quello che resta da fare è la realizzazione di strutture autonome dal Ministero nelle quali venga preservata la “scuola”, si tratta di riproporre quello che avvenne al tempo delle invasioni barbariche con i monasteri in cui la civiltà veniva preservata in attesa di poterla nuovamente edificare su un terreno più favorevole. Questo sarà un terreno fondato su una diversa antropologia dove l’essere umano è tornato ad essere un animale politico il quale è a sua volta fondato sulla parola, il logos, e non un homo oeconomicus fondato sul mercato, uno zoòn senza parola destinato alla zootecnia

martedì 18 giugno 2024

Apocalisse meditata

 In questi ultimi giorni, prossimi al solstizio estivo, abbiamo deciso di concederci una pausa di riflessione. 

   Disponiamo di analisi pronte per la pubblicazione, ciononostante riteniamo fosse giunto il momento di soffermarci meglio su altri aspetti di questo lavoro, limitatosi principalmente, e fino ad ora, a una prospettiva strettamente numerica in riferimento diretto all'astronomia arcaica. Nella lettura dell'Apocalisse di Giovanni, crediamo viceversa sia molto importante considerare altre angolazioni della questione, riguardanti l'autore, il luogo in cui era stato esiliato o quella in cui ha intenzionalmente ambientato il racconto; in particolar modo abbiamo concentrato la nostra attenzione sull'ubicazione delle sette chiese e sul motivo che l'avrebbe portato a ritenere l'Asia minore un luogo in cui dipanare lo scenario della sua narrazione, ovvero, la terra in cui risiedevano popolazioni anticamente dedite ai culti  oracolari di Apollo. Ed infatti, un po' come Apollo, o forse nel tentativo di emularlo a favore dei suoi numerosi devoti,  Giovanni si 'avventura' in una rivelazione finale che sa di profezia , come fosse una finestra aperta su futuri e catastrofici eventi. Qui l'astrologia/astronomia, potrebbe ricoprire sicuramente un ruolo centrale laddove compaiono computi  e misteriosi numeri, lasciando però un vasto campo aperto all'interpretazione e ai simboli strettamente amalgamati alle credenze e alla cultura dei locali. Insomma, in questo intervallo cercheremo soprattutto di incoraggiare una riflessione collettiva sul tema, chiedendo a coloro che ci hanno così fedelmente seguito , di compire un piccolo sforzo in un impegno volto a produrre materiale e domande che ci riserviamo di vagliare con scrupolo per poi poter presentare in un lavoro di più ampio respiro. Sono accettati richiami a post e analisi precedenti e per favorire coloro che volessero rispondere all'appello, o confrontarsi personalmente, cercherò di mettere a   disposizione - in alternativa al commentario di questo post - un ulteriore recapito telematico:  atzorifabio64@gmail.com

grazie per l'attenzione 


fabio pb

lunedì 6 maggio 2024

Hi-Tech


  - E' inutile, non prende.

-  Ma come ' non prende'. Qui in alto? Non c'è niente attorno, se non prende qui . . . 

- Ti dico che non prende. E' un'ora che provo, e se ti dico che non prende , non prende.

- Ma come facciamo adesso? Come facciamo ad avvertire gli altri?

- E cosa ci posso fare? Poi guarda, se non prende non prende. Questo dannato fuoco proprio non ne vuole sapere di accendersi. Vabbè, niente segnali di fumo per stanotte.

- Mannaggia! La prossima volta che vai in paese a caricare  fattela dare asciutta la legna. Per Manitù! 


Da : Fisica quantistica della vita quotidiana. Giorgio Paterlini - 2013


giovedì 14 dicembre 2023

Le palle di Natale

 A Natale non c’è abete che non mi stia sulle palle. (Omaggio a Walter Matthau)

il brano è stato scritto in omaggio all'attore americano Walter Matthau, ovvero, al genere di personaggio più volte da lui interpretato nella sua memorabile carriera. Ho immaginato che un tipo scontroso, cinico e misogino, sulla bozza  delle sue più riuscite macchiette cinematografiche, fosse proiettato nel nostro mondo angustiato dalle logiche del  politically correct. Ho provato a costruire una meditazione fredda e distaccata sulla società contemporanea, proprio come  il burbero allibratore  della pellicola di Bernstein, 'E io mi gioco la bambina'. L'idea mi è venuta dopo aver letto il post 'Io amo il cinema' sul blog di Gus. Scrivere in quello spazio delle mie preferenze cinematografiche sarebbe stato lungo e noioso, mentre l' omaggio a un bravo attore, lo trovo di gran lunga più leggibile. Approfitto dell'occasione per fare a tutti i miei più cordiali  auguri di buon Natale. 

Fabio Painnet Blade 

   "La gente mi sta sempre sulle palle, ma a Natale posso dire che mi sta sulle palle anche di più. Più che a Pasqua, più che a Ferragosto; ai compleanni poi…ci sarebbe da ammazzarli tutti, questi gioiosi, con le loro torte burrose incatramate di cacao. Odio i pacchetti infiocchettati che promettono e poi non mantengono, poiché tanto 'quel che conta dev’essere il pensiero'. Ma quando mai il solo pensiero ha  contato qualcosa? Mi tengo a distanza di sicurezza da ogni cerimoniale festoso, germoglio d’ipocrisia. Le lacrimucce di circostanza, i “proprio non li dimostri, cara”, o quei mielosi “sei sempre così bella...”, non li ho mai digeriti. Le badilate di stronzaggini che si dispensano in tali occasioni mi fanno sempre rivoltare lo stomaco. Non sono un tipo simpatico, lo so. Ma non perché soffra di una misantropia congenita, semmai perché non credo affatto alla gioia del momento. Non credo alla felicità in generale, quel che ne vien fuori, intendo; forse quel che rimane dentro è di gran lunga migliore…Non v'è nulla di più prezioso delle cose celate, disse qualcuno*.  Per me il tempo buono è quello del ‘dopo’, il ‘durante’ non mi dice niente di speciale. Il dì della festa? Non ha alcun senso. Punto. 

 Delle cose della vita mi interessa parecchio il ‘dopo’. Il concerto di Capodanno? M’ha sempre lasciato indifferente, mentre al mattino, quando gli operai cominciano a smontare l’impalcatura e gli spazzini a raccattare le montagne di immondizia, io assaporo la malinconia dell’epilogo. Per me in quel preciso istante comincia l’eccitazione e mi capita di pensare: meno male, anche per quest’anno è andata. Una buona pellicola comincia a prendermi quando il nastro con i nomi degli attori ha terminato di scorrere, dopo le citazioni, i costumisti, le musiche e i ringraziamenti agli enti locali. Ogni inizio è un potente narcotico, nella fine vi è altresì un' energia nuova. Avevano ragione i saggi del tempo che fu: il tempo è ciclico e quel che comincia è sempre meglio di ciò che finisce. Neppure in vacanza riesco a rilassarmi, meglio un giro di vodka al bar dell’aerostazione, quando le turbine hanno smesso di fischiare e i pericolosi marchingegni hanno depositato i nostri culi sulla terraferma.

 Ottenere una vittoria è sempre una bella sfacchinata, val forse la pena vincere se prima devi farti un mazzo così? No, no… Meglio il dopo, e poco importa che il successo non sia tuo e sugli allori si gongoli qualcun altro. Meglio il dopo, in ogni caso, come quando senti lo scroscio dello sciacquone portarsi via fatti e misfatti della giornata, solo allora ti senti in pace col mondo. Svuotarsi gli intestini è una questione liberatoria, posteriore, - in tutti i sensi - mai antecedente. Forse questo mio godere del momento appena trascorso e della solitudine che in esso trae giovamento, è la vera causa del rapporto di merda col mio prossimo. E a Natale la ripulsa si fa ossessione. L’aria della festa mi da l’orticaria, che posso farci? Per me il momento buono viene quando rimango solo. L’ho detto.

- Perché non prendi un cane? Ti farebbe bene. Mi si consiglia spesso, con una stoccata di bonaria premura borghese.                                                                                                                                    - Come no. L’ho fatto a suo tempo, ma ho cominciato ad interessarmi a lui solo quando è schiattato sotto il battistrada di un autoarticolato. Prima di allora m’aveva sempre dato ai nervi. Dannata cagnetta! Meritava qualcosa di più come padrone ed io qualcosa di più come compagnia: in pratica stavo molto meglio senza. Ma l’ho capito dopo…dopo che ho veduto il suo muso spelacchiato appiattirsi su un groviglio di interiora rosa, sul selciato. Insomma, non sono il tipo adatto a tenere fra i piedi un piccolo, per quanto tenero, sacco di pulci. Raccoglierne le deiezioni poi, un vero supplizio; il sottile piacere lo lascio volentieri al vedovo del pianerottolo a fianco: un tipo dai modi cortesi ed odiosi, molto preciso e attento ai formalismi di maniera, a cui piace far di conto fuori e dentro l’ufficio pidocchioso in cui trascorre le ore della giornata. Ma quella di far quadrare i conti è una mansione che si è portato fin dentro le mura domestiche, dove – si dice - non lasciasse passare lo spreco di un solo centesimo. Il vicinato maligna che la consorte sia spirata anzitempo per disperazione, non volendole lui concedere alcun lusso o sperpero e centellinandole persino i pochi nichelini che di solito si lasciano al mendicante, sul sagrato della chiesa. Mi é capitato molte volte di osservare questo vecchio contabile inforcare il suo buon guanto in lattice e ingobbarsi sugli escrementi del proprio cane, uno scagaccione tutto coda e mandibole che sembra farlo apposta a cacargli attorno, proprio mentre passano le signore ingioiellate, quasi conosca alla perfezione i suoi modi da incorreggibile dongiovanni. Questi di norma, segue l’animale, col quale sembra aver rimpiazzato la più dispendiosa moglie, gli sta appresso metro dopo metro e si piega fino a terra per adempiere al suo quotidiano esercizio di buona creanza. Al primo mattino tuttavia, è assai meno sollecito a raccattar escrementi, cosa che non manca mai di fare in pieno giorno, quando invece pare assai più attento a non rovinarsi la reputazione di persona a modo; solo per questo motivo alla luce del sole è assai più coscienzioso con la merda del suo cane: e dagli con le genuflessioni, col guantino e con la quotidiana esibizione di impareggiabile disinvoltura manipolatoria. Ogni tanto, nel vederlo carezzare le digestioni canine, alcuni non riescono a trattenere il disgusto e con la mano sulla bocca, a mo’ di tampone, tirano avanti senza degnarlo d’uno sguardo. E che altro può suscitare un tale, stomachevole contegno? Solo a guardarlo desta compassione: mai e poi mai potrei tenere, ed ancor meno accudire, un tale impiccio sotto il mio tetto. 

   Stasera, il 24 dicembre, ho deciso di farmi una bella passeggiata in centro, a distanza di sicurezza dai luoghi dove le persone si addensano come afidi. I centri commerciali sfavillano di luci e sembrano invogliarti a scucire i tuoi ultimi risparmi. A me pare che questa folla sciami intorno ai mercati proprio nei momenti meno felici dell’economia, quando i telegiornali sfornano le peggiori previsioni e il portafoglio ti fa marameo dalla tasca lisa. Se non ci si può permettere nulla, la sola idea di spendere provoca una sottile frenesia masochistica a cui nessuno vuol rinunciare; così, a Natale, tutti si riversano per le strade a godere di questa strana vocazione. E come puoi fermarti a comprare qualcosa?: le facce di fuori ricordano il cipiglio sconsolato dei mocciosi anni Venti: berretto largo di due taglie calcato su riccioli aurei, occhi supplicanti e bava alla bocca davanti alle leccornie della pasticceria. Perché non portano i loro musi imploranti altrove questi infelici? Che ci posso fare se non sono un sadico? Non tutti amano gioire delle sfighe altrui. Acquistare qualsiasi cosa, in questo periodo dell’anno, mi innervosisce, provo quasi vergogna e allora, anche per questo Natale mi guarderò bene dall’idea di sperperare quattrini. Mi farò due passi solo per prendere una boccata d’aria, ci sarà pure un buon diavolo che del Natale se ne frega.

 Per le vie del centro mi imbatto invece nel solito via vai di faccioni inebetiti davanti alle vetrine sfavillanti: dentro i locali le commesse fanno i cruciverba. Quei pochi che osano interrompere i loro svogliati passatempi sono trafitti da sguardi d’invidia feroce. I fanciulli vengono strattonati come somari davanti ai multicolori arredi dei negozi di giocattolame, le scene si ripetono sotto i miei occhi e il biasimo per questa umanità corrotta mi lievita dentro.

 Neppure gli abeti riscuotono successo, giacciono accatastati col cartellino del prezzo appiccicato a rami che mai vedranno addobbi colorati. Il prossimo Natale la loro strage         – o una parte di essa - potrà essere evitata, una buona percentuale si salverà in attesa di tempi migliori. Guardo le palle che stanno sugli abeti e scopro che gli abeti mi stanno sulle palle più delle persone… a Natale. Mi sovviene un vecchio motto che invitava a piantare un albero per ogni nascituro. Se l’equazione fosse corretta, ad ogni Natale si dovrebbe registrare un preciso decremento demografico, dato il numero di piante destinate alle discariche. Mi si ricorda che non sempre la matematica c’azzecca. Mah! Non ne sono troppo convinto: il calo delle nascite nei paesi più opulenti è una scudisciata di pessimismo spalmata su tutti i mesi dell'anno. E hai voglia di seminare alberelli sull'intero pianeta! L'equazione non torna.  Mi fermo davanti al grosso schermo di una piazza cittadina, al momento trasmette il telegiornale dell’emittente che fa capo alla redazione di un quotidiano. Persino la piazza porta il nome della testata, manco fosse un caduto dell’ultima guerra. Il notiziario trasmette immagini da terzo mondo, in diretta televisiva dai teatri di violenza più gettonati. Spuntano volti emaciati, cornee giallastre infestate d’insetti, o ventri gonfi come bocce da bowling, ma solo nei luoghi caldi, mentre a settentrione il sangue è lo stesso, stessi drammi e stessa disperazione con  densi fumi neri sullo sfondo, come tetri sipari sullo spettacolo della Nera Signora, in replica perenne,  giunta dal cielo sul suo metallico destriero gravido di esplosivi . E poi roghi di morte, calcinacci imbiancati di polvere dove un tempo svettavano edifici, quartieri, città. Cazzo! Quanto ci azzecca la matematica a Natale. 



* Oscar Wilde