Oggi sappiamo, e se non l’avessimo ancora intuito non potremmo certo sottrarci alla possibilità di farlo, che i testi biblici - al pari di altri, appartenenti ad altre religioni e culture - hanno subìto una lunga serie di modifiche rispetto ai contenuti originali; ma forse non tutti sanno che il corpo di reperti ascrivibile al ceppo più antico, fosse stato redatto in una lingua sprovvista di vocali. Viene così spontaneo domandarsi come mai gli scrittori del passato, nonché depositari di antiche conoscenze, avessero voluto conferire alle loro opere un tal carattere di interpretabilità. Per il nostro modo di pensare, è difficile cogliere le loro ragioni, ma in linea di massima possiamo supporre che si preoccupassero in special modo che i loro sacri testi non finissero contraffatti, completamente stravolti o, più sbrigativamente, distrutti da una potenza coloniale che nelle epoche a venire avesse imposto la propria egemonia sul sacro suolo degli antenati. Comprensibili preoccupazioni per un popolo che nella storia ha quasi sempre vissuto sotto il giogo di sovranità straniere. Urgeva dunque garantire l’inviolabilità dei futuri reperti, per potervi nascondere i caratteri identitari della loro antica civiltà, sottoforma di precise informazioni scientifiche. Solo gli schiavi non hanno identità culturale, non hanno memoria di glorie e fasti trascorsi. Perdere l’identità per un popolo di quei tempi significava, quanto e più di oggi, essere condannati a un futuro di oppressione e di sfruttamento, non maturare cioè la concezione spirituale e fisica di libertà. Tuttavia, questo nostro lavoro - è bene ribadirlo fin da ora - non intende indagare nell’intimo di tali questioni, né fornire ulteriori analisi sulle possibilità ma, casomai, offrire al lettore attento la presenza di correlazioni e di dati perfettamente verificabili rispetto a cosa intendesse nascondere (nei testi) l’antica classe sacerdotale giudaica. Un fattore su cui si potrà discutere ancora a lungo, riguarda le motivazioni che hanno spinto la millenaria tradizione dei rabbini a concepire una lingua tanto instabile per tramandare dati e informazioni cruciali. Non possiamo esimerci dal pensare che a monte vi sia stata la volontà di utilizzare una tal versatilità linguistica per meglio adattarla alle esigenze (ideologiche) di futuri governanti, per distrarli dal proposito di disfarsi di materiale che rischiasse di compromettere i valori della loro civiltà o sminuire i ritrovati di una scienza pregiudizialmente ritenuta superiore a quella di un popolo conquistato. Per superare l’apparente contraddizione e affrontare simili quesiti, bisognerà però soffermarsi su alcune nozioni. Come detto, al principio i testi biblici furono redatti in forma consonantica, ovvero priva di vocali, soltanto in un secondo momento essa venne stabilizzata dai traduttori attraverso un supporto vocalico, con un intervento sui significati che vennero conformati nel rispetto dei canoni di un preciso indirizzo religioso. Il codice di Leningrado permette ancora oggi di consultare la traduzione elaborata dalla scuola dei Masoreti di Tiberiade (VII sec. d.C.), tuttavia, anche le traduzioni più recenti, una volta finite nelle mani di scaltri regnanti, hanno mutato le antiche formule e spodestato i significati aggiungendone di nuovi, secondo lo schiribizzo (leggi: la convenienza) di coloro che possedevano sufficiente potere per poterne cambiare l’impostazione e perfino l’indirizzo etico, depennando e scartando ampie porzioni di testo, secondo una logica strumentale che veniva imposta senza preoccuparsi di chiedere il permesso a nessuno. Si pensi alla Bibbia di re Giorgio, o all’ uso che ne fece, appena pochi secoli fa, Enrico VIII, il sovrano passato alla storia per inconcepibile arroganza e invadente autoritarismo.
Benché
ve ne siano di altri, pescati per lo più dall’ambiente monastico e clericale,
di recente, si è aggiunta anche la nutrita compagine dei cosiddetti ‘traduttori
letterali’, una categoria di studiosi molto attivi nella promozione del
principio secondo il quale quanto riportato nei testi della tradizione ebraica,
potesse essere considerata cronaca fedele dei fatti accaduti. Nonostante ciò,
pur correndo il rischio di essere frainteso, vorrei ribadire con forza l’idea
che in fondo la Bibbia non sia mai stata falsificata. Proprio così: non lo è
mai stata in senso categorico, perché, in caso contrario, i suoi autori
avrebbero usato un linguaggio preciso, esposto però alla contraffazione, mentre
l’utilizzo di un idioma sprovvisto di vocali, sembrava invece voler facilitare
la creazione di versioni differenti, visto che la vocalizzazione concepita dai
traduttori di turno avrebbe permesso l’utilizzo di una vasta gamma di
significati alternativi e non necessariamente
riconducibili al testo originale del quale nulla, fino a prova
contraria, era ed è dato ‘sapere’ senza la imprescindibile formazione (spesso
iniziatica. Vedere a tal proposito il prossimo paragrafo : I livelli di lettura
nei Sacri Testi del passato.). I veri Autori della Bibbia all’opposto, quelli
cioè che per primi hanno composto i versetti a noi noti, debbono essersi ingegnati
ad utilizzare uno strumento linguistico funzionale ad eventuali adattamenti e
fatto apposta per essere voltato e rivoltato come un calzino a seconda dei
significati che si volevano avallare e tramandare. Ed allora, a meno di non
voler considerare questi antichi Autori alla stregua di sfaccendati letterati,
bisogna pensare che essi abbiano creato volontariamente i presupposti affinché
il primo testo potesse essere adattato a circostanze storiche e alle idee (in
realtà ideologie) di un qualsivoglia sovrano conquistatore che nel timore di vedere oscurati i valori e
le conoscenze scientifiche della propria civiltà, quella dei dominatori, ad
opera di documenti concepiti in seno alla cultura sottomessa, non decidesse di
punto in bianco di eliminarli dalla faccia della terra.
La precauzione ideata dagli antichi eruditi ebrei sembrerebbe quindi, più che giustificata alla luce del macello perpetrato in Sudamerica dalla premiata ditta Pizzarro & Soci e dal trattamento riservato a tutti gli scritti sacri di quelle lontane comunità. Penso così di poter concludere che l’adozione dell’ebraico non-vocalizzato da parte degli sconosciuti Autori della Bibbia, sia stata una trovata non da poco, pensata al preciso scopo di proteggere qualcosa. Per farlo hanno adottato uno dei sistemi più banali, ed allo stesso tempo, più antichi che si conoscano: li hanno lasciati in bella vista, proprio sotto il nostro naso! Ovviamente è stata adoperata una mascheratura criptica e forse è questo il vero mistero su cui occorrerebbe indagare bene. A negarlo per partito preso, si rischia una magra figura. Questi fatti non si possono ignorare! Non si può ignorare che determinati numeri esistano e siano ottenibili spesso attraverso il risultato di sommatorie (Censimenti di popolazioni, elenchi di preziosi o di offerte votive). Non lo si può obiettare anche perché l’uso della matematica risulta alquanto elementare dacché si tratta di cognizioni aritmetiche appannaggio di popolazioni vissute migliaia di anni fa. E’ la modalità di decriptazione, semmai, a destare stupore: questi innominabili e innominati eruditi ebrei non eccellevano in matematica, però bisogna ammettere che conoscevano bene i meccanismi della mente umana visto che, come fosse la zuccheriera di Nonna Papera, essi hanno lasciato i loro segreti il bella evidenza per tanto tempo e lì sono rimasti senza che alcuno ci facesse caso. E nessuno credo possa nemmeno obiettare nulla riguardo il carattere di interpretabilità che l’ebraico antico continua a manifestare ancora oggi. Ciò potrebbe fornire un senso alla molteplicità di varianti narrative germogliate da quella prima radice del testo, un senso caro alla tradizione qabbalistica, per la quale tale ricchezza di aspetti non costituiva un’anomalia ma una proprietà dovuta all’ intercessione diretta del Dio unico, assunto come riferimento assoluto della sensibilità religiosa comunitaria. In parole povere, la tradizione rabbinica sembra voler ribadire che all’uomo comune non è dato conoscere tutti i significati della parola di Dio e forse, in piena coerenza con questa convinzione fideistica, i depositari dei principi e dei valori religiosi, avrebbero deciso di rendere gran parte dei contenuti biblici altamente malleabili, mai definitivi.
L'accumulo di parole e
testi non significa distanziarsi dalla Verità ma dipanarla,
aggiungere significato, arricchirla. Le fonti originarie
servono allora come punto di partenza per una ri-narrazione. Ma
proprio questa ri-narrazione deve esser vista come un atto di fedeltà ai modi della
tradizione, un'operazione quasi filologica di innesto in una trasmissione testuale
in continuo divenire.
Elena Loewenthal
Ai
giorni nostri, però, questa duttilità del testo biblico, sembra aver generato
speculazioni e fornito i necessari pretesti ad una nutrita schiera di spregiudicati
esegeti nati dalla costola dello scrittore Zecharia
Sitchin, i quali hanno cominciato a rivisitare le antiche scritture in
senso realistico e letterale, proprio come l'azerbadzjiano aveva fatto con le
tavolette dell'Enuma Elish.
Dopo una ‘sparata’ del genere in molti - e non necessariamente
iscritti ai circoli accademici più intransigenti - si sentirebbero in obbligo
di porre alcune domande sulla possibilità che una conventicola di sacerdoti
avesse nascosto per tanto tempo informazioni di carattere astronomico, e per di
più, estremamente precise. Il fronte degli esperti è così sembrato dividersi
dinanzi alla questione della scientificità della Bibbia, alcuni supportandola
interamente, spesso senza argomenti probatori, altri negandola. Ed è
proprio per fornire una prima risposta a tanto scetticismo, crediamo sia venuto
il momento di proporre correlazioni facilmente verificabili al posto di
semplici ipotesi. Non ci pare quindi azzardato affermare che, probabilmente,
attraverso l’utilizzo di quantità numeriche ben definite, gli antichi redattori
volessero creare un argine di contenimento alla flessibilità del testo
alfabetico, lasciandone pressoché intatta una parte. Per quanto ne sappiamo,*
le sequenze numeriche inserite nella Bibbia, non hanno subito
alterazioni nel corso della storia (chiunque può verificare come le cifre siano
sempre state riportate integralmente e quindi, tradotte di volta in volta allo
stesso modo). Solo i numeri, pertanto, nella loro accezione quantitativa,
avrebbero ed hanno garantito nei millenni la funzione di veicolare informazioni
dettagliate, nonché suscettibili di aggiustamento (come mostra la leggera
discrepanza fra dati e misure riportate entro rapporti stilati in epoche
diverse).
Un metodo che analizza le cifre,
talvolta gli errori
Errori di
sommatorie alquanto elementari, si presentano saltuariamente fra i passi del
testo canonico della Bibbia. Alcuni di questi sono diventati piuttosto famosi,
anche se non tutti gli analisti che si sono cimentati in questa ricerca li
hanno ritenuti
frutto di disattenzione. I numeri, al contrario dei testi alfabetici, hanno riprodotto costantemente le cifre trascritte in origine, ma anche gli errori di calcolo; la loro ricorrenza ha suggerito l’ipotesi che essi possano essere stati inseriti volontariamente nella Bibbia, e tale idea ha perfino preso vigore quando si è giunti a scoprire, dietro la banalità di talune sviste, la corrispondenza centesimale di misure di fenomeni cosmici (durata del ciclo precessionale degli equinozi, o misura del suo grado), con quelle valutate dagli astronomi della nostra epoca, come a voler ribadire che i testi antichi fossero composti da una parte volatile/interpretabile (e resa tale, come abbiamo visto, dalla struttura della lingua) e di una non-alterabile che, attraverso la decodificazione in un linguaggio arcaico, intendesse racchiudere e preservare contenuti di carattere strettamente scientifico.
Questa concezione analitica concepita
da Giorgio de Santillana, ha ben presto sollevato enormi dibattiti nella
comunità accademica, la quale, prima di allora, aveva categoricamente escluso
che popolazioni vissute otto o diecimila anni prima, avessero potuto disporre
di dati e informazioni precise quanto le nostre. Questo semplice assunto
avrebbe fatto saltare l’equazione portante del concetto di sviluppo tarato
su scala antropologica, concezione che non ammette sbalzi, o
vuoti, in linea cronologica.
Errori nei testi biblici: tre
casi celebri
Il
libro dei Numeri (Censimenti) è ritenuto, per la Chiesa di Roma, un testo
dettato (o ispirato) direttamente da Dio, sebbene il suo contenuto abbia nel
tempo suscitato forti perplessità. Anche il capitolo dei patriarchi
antidiluviani - in Genesi - specie per quanto concerne l'età dei discendenti
adamitici, non è stato risparmiato da critiche pungenti. In questi due, come in
tanti altri casi del Vecchio Testamento, non è stato facile comprendere i
significati o il pensiero del redattore, tanto più se alla stranezza e
incoerenza della narrazione sono stati aggiunti errori palesi nella trascrizione
delle cifre.
A questo punto ho convenuto dover distinguere gli
errori individuati secondo due categorie: da un lato questi possono
essere il risultato di un lavoro di copiatura disattento, ma dall'altro
bisogna dire che l'imprecisione può, in realtà, aver voluto celare significati
importanti, lasciando pervia l'idea che le 'sviste' fossero
volontarie, fossero cioè state inserite dagli autori allo scopo di occultare la
precisione dei risultati (peraltro facilmente ottenibile previo opportuna
correzione).
Non fa parte di quest'ultima categoria, il celebre
errore riportato nelle vecchie bibbie CEI, rispetto il conteggio degli uomini
della tribù di Giuda, in Numeri 1:27 e Numeri 2:4 (ripetizione). La
cifra, probabilmente trascritta male nella quantità di diecimila unità (per
difetto), può ragionevolmente ritenersi errore, in quanto facilmente
identificabile in riferimento al risultato della sommatoria. I conti,
infatti, torneranno con precisione solo se a quel 'sessantaquattromila e
cinquecento’(64.500) si sostituirà la cifra settantaquattromila e cinquecento
(74.500).
Di natura molto differente sembrano invece essere altre sviste, peraltro molto famose, come la somma di tutti i maschi leviti da un mese in su, che anziché 22.000, risulterebbero, pallottoliere alla mano, ben 22.300 (Numeri 3: 39). Anche in questo caso,una volta corretto l' 'errore', potremo affrontare, in senso strettamente matematico, un'operazione che porterà a risultati sorprendenti. Rimanderei però ogni ulteriore considerazione sul tema, al contributo che proporremo più avanti.
I discendenti di
Levi
______________________________________________________________
Maschi della
tribù di Levi da un mese in su totale
_______________________________________________________________
Ghersomiti Keatiti Merariti
7500
8600
6200
22300
Ovest
Sud
Nord
_______________________________________________________________
Maschi della tribù
di Levi da 30 anni a 50 anni
totale
_____________________________________________________________
Ghersomiti Keatiti Merariti
2630 2750 3200 8580
Dello stesso tenore è sembrato essere anche
l'errore riconosciuto da molti studiosi (quali William Albright, Gershon Galil,
Martin Anstey, Mario Liverani e Marco Nobile) , presente in 2Re: 15- 1, in cui
si conteggia il regno di Emazia ben
dodici anni più lungo. Apportate le giuste correzioni, la somma degli anni del regno del Nord (Israele) e del Sud
(Giuda) ha dato come risultato il valore
di 720 anni. Questa quantità , a nostro avviso, rappresenta un numero
altamente significativo in chiave precessionale, ed ecco perciò il motivo che
ci ha indotto a credere, che l'errore in questione non fosse una semplice
svista ma un accorgimento del tutto
volontario, introdotto dai redattori (nel brano sui regni di Giuda e Israele,
tratto dal libro 2Re) allo scopo di salvaguardare cripticamente un dato
sensibile rilevabile soltanto attraverso una conoscenza assai avanzata dei
fenomeni astronomici.
I livelli di lettura dei Sacri Testi del passato
Polisemia di uno scritto
Che
alcuni testi appartenuti a civiltà antiche e al passato remoto della nostra
storia, non riguardassero solo semplici racconti di fantasia, è una convinzione
che ho attinto dalla letteratura esoterica della tradizione ebraica. In
pratica, in mezzo a righe di innocenti descrizioni favolistiche vi sono
contenuti che possono esser svelati secondo differenti livelli di analisi, in
rapporto alla preparazione dell’analista, dal suo grado di conoscenza
iniziatica ed altre qualità che non possono prescindere da un lungo percorso di
formazione. Vari autori hanno seguito questa impostazione, motivati
dall’idea che il significato dei testi antichi fosse anzitutto allegorico,
proprio perché nelle grandi opere del
mito arcaico hanno individuato significati allegorici ben definiti, partendo
dal principio che molti testi letterari si riferissero a un’antichissima
conoscenza dell’astronomia, su un binario di ricerca che solo gli archeoastronomi,
fra tante e dotte personalità del mondo scientifico, hanno saputo tradurre in
risultati attendibili. Essi ci hanno trasmesso il concetto secondo il quale già
in tempi remoti alcune civiltà fossero al corrente di fenomeni planetari quali
la precessione degli equinozi, la durata dei cicli lunari, o del giorno solare.
Per arrivare a conclusioni così precise i ricercatori di questa recente
disciplina, hanno rilevato il corretto orientamento equinoziale e solstiziale di monumenti molto antichi. Sono stati loro, pertanto, i primi a sollevare
legittimi dubbi sulle (ipotetiche) scoperte di Ipparco da Nicea, del quale
nulla ci giunge di scritto, mentre ciò che sappiamo della sua più nota scoperta
astronomica, è soprattutto frutto di una citazione generica tratta
dall’Almagesto tolemaico; secondo quanto riportato nell’opera, la velocità del
moto precessionale andrebbe approssimativamente stimata intorno, e non oltre, a
un grado d’arco ogni cento anni. Dato piuttosto impreciso, visto che altri
testi indicano la misura di un grado d’arco ogni settantadue anni solari. Se
pensiamo a questa evidenza storica, e cioè che un astronomo greco (‘scienziato’
a pieno titolo secondo l’accezione molto vicina a quella che intendiamo
oggi), Ipparco, disponesse di
quantificazioni assai meno precise di quelle ritrovate negli scritti sacri
ebraici, siamo autorizzati a pensare che gli studi ufficiali degli astronomi
greci avessero seguito percorsi autonomi rispetto a quelli degli eruditi ebrei,
a usufrutto della sola classe sacerdotale; ne consegue che questi ultimi
disponessero di dati assai più attendibili dei greci. Dal momento che nella
Bibbia dei Settanta abbiamo invece riscontrato gli stessi dati contenuti nelle
altre versioni bibliche (Vulgata latina e
Pentateuco samaritano), se ne evince che, in qualche modo, la cultura
greca in tempi immediatamente successivi possa essere entrata in contatto con
quella ebraica e avesse avuto accesso al patrimonio custodito dalla sua ricca
tradizione. Ed in effetti, la città di Alessandria, per quanto è dato sapere,
ad un certo momento della sua storia
contava fra i suoi migliori studiosi un gran numero di ebrei. Forse per
questo motivo la famosa versione biblica dei Septuaginta è stata redatta
secondo conoscenze derivate direttamente dalla tradizione giudaica, piuttosto
che attenersi alle ricerche dei greci, come Ipparco.
Fra i maggiori autori convinti che gli scritti antichi dovessero essere interpretati in chiave allegorica e che fossero così riconducibili a conoscenze assai accurate del cosmo a noi più prossimo, spicca il nome di Giorgio de Santillana, una figura completamente messa al bando dalle accademie scientifiche. A Lui ci siamo ispirati in gran parte del nostro lavoro. Quel che, comunque, crediamo siano in pochi a poter negare, è la possibilità che la struttura narrativa degli antichi reperti giunti ai nostri giorni sottoforma di testi sacri e apocrifi, sia costituita da una serie di livelli di lettura, dietro i quali, sovente in chiave cifrata (i testi sono infatti formati da numeri, oltre che dal testo in origine consonantico) possono nascondersi dati astronomici precisi. Eppure una cosa appare fuori da ogni dubbio: il significato più superficiale degli scritti, quello comunemente chiamato ‘letterale’, appartiene a un primo livello, il più immediato da cogliere ma non certo il più importante. Tuttavia, volendo prestar fede ad alcuni spregiudicati autori che oggi godono del favore degli editori, il significato strettamente letterale di un testo sarebbe, di per sé, pienamente e realisticamente attendibile. Sulla base di questo criterio si sono generate numerose speculazioni, la più estrema delle quali, si è spinta ad affermare che le conoscenze astronomiche potessero essere state trasmesse alle primitive civiltà umane, da entità aliene capitate, chissà come, sul nostro pianeta. Per coloro che attribuissero veridicità a queste pensate, e alle motivazioni degli autori che le promuovono, consiglierei vivamente la consultazione delle opere di scrittori di fama, come Zecharia Sitchin o Mauro Biglino (Più recentemente), mentre sarebbe opportuno girassero alla larga dai ragionamenti e dalle soluzioni pubblicate in questo piccolo saggio. Come accennato in precedenza, il livelli di lettura degli antichi testi, fra i quali la Bibbia non fa eccezione, farebbero parte di una modalità narrativa intessuta in una trama che proviene direttamente dal mito arcaico di derivazione orale. Un tempo vi era solo la tradizione orale a veicolare e preservare la memoria del mito e ciò andava a comporre tutte le variabili narrative concepite in seno alla cultura dei popoli, ad ogni latitudine del pianeta. Non deve stupire, allora, la comparsa di analogie nelle rispettive tradizioni, dall’Africa nera alla Polinesia, dacché tutti i racconti, nelle loro peculiarità antropologiche, avevano come unico oggetto da indagare il firmamento. Se ora pensiamo al mito della Creazione, posto che alla radice di questo, come di altri miti, vi fosse un preciso contesto astronomico, non ci si deve sorprendere se anch’esso presenta robuste somiglianze da un luogo all’altro del globo. Ed inoltre, non si può fare a meno di notare come in questi miti delle origini la contrapposizione dualistica fra bene e male non fosse così radicata come ai giorni nostri. Il bene e il male potevano essere infatti percezioni di effetti naturali sul determinati aspetti della vita: l’acqua dona la vita, ma la può anche togliere; e così via... La rappresentazione dei moti celesti, la ciclica alternanza di luce e tenebre, aldilà di un 'buono' e un ‘cattivo’ intuitivi, non poteva rendere l’idea di un Assoluto fazioso sbilanciato solo da una parte (il bene), in quanto l’Assoluto Principio che governava tutte le cose terrene, si mostrava costituito da un equilibrio includente gli opposti. Luce e buio, originariamente effetti complementari di un dinamismo necessario al conseguimento del Tutto, sono divenuti solo a posteriori, in primis sotto l’ombrello della tradizione cattolica, entità irrimediabilmente antagoniste. Ma sono solo le speculazioni teologiche e filosofiche ad aver esasperato certi aspetti. Forse, e dico forse, l’unica indicazione etica che ci proviene dall’enunciazione evangelica ed apocalittica, riguarda la possibilità di operare delle scelte in un tempo escatologicamente concepito come ultimo, frontiera del tempo-spazio in cui, per natura, la degradazione spontanea del primo ordine avrebbe, in misura inevitabile, portato l’iniziale Armonia a sbilanciarsi verso un prevedibile squilibrio cosmico, nel quale il principio ‘malefico’ avrebbe finito col prendere il sopravvento. Quanto appena definito, rimane tuttavia un concetto, anzitutto, di ordine fisico. Nella misura concessa entro i margini di un ambiente spirituale, oltre che materiale, ecco allora che si viene a delineare la possibilità di uno sbalzo indeterministico di libertà (anche individuale), dove ognuno può consapevolmente scegliere la propria condotta, può cioè liberamente compiere un atto in apparenza contro logica e decidere di seguire il senso del bene, affinché sia ancora possibile una nuova esistenza in cui a prevalere sia l’Armonia del singolo e quindi del Tutto. Ecco perché il principio di Libertà è così importante nell’economia del tempo, ecco perché questo spirito può svolgere un ruolo chiave nella determinazione di un nuovo ciclo, di una Nuova Nascita, nel senso di un Eterno che sia in realtà, in senso aristotelico, un ulteriore slancio della Vita oltre la Vita (deterministicamente calcolata). Mi limiterei allora a ribadire che al principio, in un mondo lontano in cui le persone rapportavano le loro credenze alla piena realtà dell’Universo e in essa trovavano il necessario conforto e tutte le certificazioni di cui avevano bisogno, non si sarebbero potuti generare i paradossi della questione Teodicea che, vista in quest’ottica, sembra più che altro una mera speculazione filosofica, risolta ampiamente dall’escatologia evangelica.
Tornando alla biforcazione culturale fra Oriente e Occidente, alla frattura apparentemente inspiegabile di questi due mondi un tempo uniti in una sola visione del trascendente e da una sola concezione arcaica dell’universo e della società (‘Così sopra così sotto’), proprio come dalle ramificazioni di un Albero della Vita di concezione anti-darwinista, può esser accaduto che, da una proto-forma iniziale e comune, siano venuti fuori effetti differenti, tanto differenti ed eterogenei da non poter esser più ricondotti, per concatenazioni di anelli comunicanti (e quindi scevra dalla necessità del fatidico ‘anello mancante’), alla fisionomia religiosa e alla struttura culturale di epoche passate. Pertanto, anche se dalla nostra angolazione l’Oriente può apparirci come un’isola di spiritualità incontaminata ed ancora stabilmente aggrappata al suo passato arcaico, di fatto la sua vocazione modernista e tecnologica (India, Cina), indica che in fondo anch’ esso abbia ceduto il passo a paradossi infestanti, gli stessi che abbiamo noi, irriducibili tecnocrati, mostrando come anche lì (nel profondo Oriente) non siano stati capaci di preservare la propria intelaiatura civile e sociale dalle derive di cui s’è detto. In parole povere, per quanto posso spingermi a capire in virtù di capacità analitiche alquanto modeste, direi che tanto in Oriente quanto in Occidente, sembrano esser stati perduti i significati dell’ antico linguaggio arcaico (del mito), il solo in grado di collegare cielo e terra e mantenere salda l’autenticità e il senso dei valori delle origini. E’ dunque andata svanendo la consapevolezza e il rispetto per l’Autorità degli antichi scritti e per quanto avessero avuto intenzione di tramandarci i nostri progenitori.
Per comprendere il senso della
tradizione arcaica e per affrontare un tema di tale portata, con tutti i limiti
delle mie modeste capacità e in quelli del quadro tematico scelto per questo
paragrafo, proverò a liberami di tutti i condizionamenti dovuti
all’istruzione, alla formazione di un uomo moderno, in maniera di potermi
attenere ai margini di quella semplicità d’animo che costituiva, forse, per i
nostri antenati, una forma di purezza spirituale; per essi il dubbio non era
previsto, dato che raccoglievano a piene mani le loro certezze nella fiducia
sul mito, ovvero, nella conoscenza profonda delle formule dell'
arcaico codice linguistico, nei termini del quale le entità
superiori erano raccontate e tramandate. Non vi era spazio in quelle menti per
l’incertezza, poiché era nelle dinamiche astrali che essi trovavano piena
giustificazione e ragione delle loro convinzioni. Per questo motivo non
dobbiamo guardare al passato con superbia! Non dobbiamo credere che l’accesso
alla Conoscenza fosse un processo rapido e diretto che si trasmetteva in
automatico da uomo a uomo. A colui che intendeva dissetarsi alla fonte della
saggezza occorreva infatti un’educazione preliminare che doveva anzitutto
attraversare diversi livelli
formativi. Forse, se un giorno fossimo in grado di percorrere la
strada col mite passo degli umili, potremmo accedere ad antichi segreti, a
conoscenze insperate. Questo rimane il mio auspicio più vivo.
Il modo in cui, in tempi passati, la conoscenza essenziale veniva trasmessa su due, o più, livelli intellettuali, lo si può apprendere dall’introduzione di Germaine Dieterlen all’opera A Conversation with Ogotemméli di Marcel Griaule, dove si parla dell’educazione dei Dogon in base ai ricchi rapporti dei membri della mission Griaule, i quali dovettero aspettare ben sedici anni prima che i vecchi saggi della tribù si decidessero ad aprire la porta del loro antico Sapere. Occorre a questo punto soffermarsi su quella che fu la mancanza di Griaule nel comunicare al mondo la sua scoperta in maniera che non finisse nelle grinfie di scaltri detrattori. E ciò ci riporta, a bomba, sul un tema da noi spesso trattato in questo spazio, quello dell’ interpretabilità di giudizio. A quanto sembra i contestatori dello studioso francese, non giunsero ai medesimi risultati, arrivando ad accusare Griaule di aver voluto vedere arbitrariamente, nelle testimonianze dei saggi Dogon, conoscenze astronomiche, a loro giudizio inesistenti. Ulteriori indagini non confermarono le sue scoperte benché egli poté sempre appellarsi alla pretesto del lungo periodo trascorso nella tribù africana. A nostro avviso, Griaule con le sue motivazioni ha fornito un chiaro esempio di ‘principio di autorità’ che non differisce molto da quello dei tromboni di casa nostra quando, di fronte a giuste perplessità, pongono, anziché la spiegazione secca del fenomeno in questione, la solenne prosopopea dei loro titoli accademici. Non è questa, tuttavia la strada che deve perseguire un metodo che voglia qualificarsi come ‘attendibile’; la strada casomai, dovrebbe essere quella della soluzione alla portata di tutti, ben espressa dal celebre adagio di Albert Einstein: non hai veramente capito qualcosa fino a quando non lo sai spiegare anche a tua nonna. Dietro questa debolezza di Marcel Griaule, ovviamente gli sciacalli della speculazione hanno allestito i loro banchetti e non deve stupire, allora, se poco tempo dopo un certo Temple (The Sirius mistery) si premurò di fornire ai suoi editori la fantastica trovata della ‘pista aliena’. Tralascerei le scoperte del supponente Griaule, per sottolineare un aspetto molto particolare della sua indagine: la presenza di livelli iniziatici fra le caste dei saggi della tribù Dogon. Ciò ricalca a puntino quanto poi siamo andati a trovare negli ordini gerarchici delle antiche organizzazioni iniziatiche e perciò nella possibilità che fin dai tempi più antichi la conoscenza vera e propria fosse inserita negli scritti attraverso diversi livelli di lettura che potessero essere appresi gradualmente. Così continua il rapporto di Griaule: “ Nelle società africane che hanno conservato la loro organizzazione tradizionale, il numero delle persone educate a questa conoscenza (o diciamo pure, all’uso del Sapere arcaico) è assai considerevole. Essi la chiamano ‘Conoscenza profonda’ per distinguerla da quella ‘semplice’ , necessaria soltanto come propedeutica per la comprensione delle credenze e dei costumi di una società. E’ questa una fase transitoria per coloro che aspirano all’ acquisizione di una conoscenza superiore, che è indiscutibilmente di ordine cosmogonico. La riluttanza verso gli stranieri, spesso occidentali, era ed è dovuta alla diffidenza verso la loro superbia”. Nei gruppi dove, tuttavia, la tradizione conserva il suo primo vigore, questa ‘conoscenza superiore’ è segretata solo in questo senso, di fatto essa è disponibile per tutti quelli che mostrano volontà di comprendere, purché ne siano giudicati degni per posizione sociale e condotta morale. In questi casi, l’aspirante saggio deve dotarsi di pazienza e umiltà e seguire tutti i gradi di giudizio che lo porteranno a ‘sedersi, con la dovuta disposizione d’animo, allo stesso livello degli anziani competenti’. Nel caso della spedizione di Griaule, prima che i suoi membri fossero accolti accanto al Gran Consiglio degli anziani, dovettero passare quindi parecchi anni, durante i quali, fece per loro da mediatore - ma alla fine concedendo l’agognato lasciapassare - il leggendario Ogotemméli.
Tornando al diavolo e le sue varie
raffigurazioni apocalittiche, bisogna dire che esse non possono essere separate
dalle origini della prima tradizione, nel senso che il male, in un primo
momento della storia umana aveva avuto una connotazione diversa. Crediamo
perciò che prima di accedere all’analisi di una conoscenza superiore che possa
spiegarci il ruolo del ‘maligno’- così come pretendeva il vecchio Ogotemméli -
sarebbe utile partire dalle prime rappresentazioni di questa entità
votata al male e comprendere quanto essa si rispecchiasse in una dinamica
cosmogonica che, al principio, non avallava tout court la raffigurazione
mostruosa mutuata dalle tradizioni religiose, che sembra oggi rivelare
gli eccessi di una sola natura (negativa). In questa consapevolezza credo possa
racchiudersi un primo passo, dei tanti necessari al conseguimento di una
Conoscenza veramente superiore.
Il male insomma è ben presente, ovunque si
manifestino i sintomi, peraltro previsti dal corso naturale delle cose,
di un degrado (degrado termico), che è anzitutto, di pari passo col quello
spirituale, essenzialmente cosmico, in un contesto fisico globale –
ricordiamolo - in cui il freddo abbraccio delle tenebre pare assorbire ogni scintilla
di calore. Ma è a questo calore e alla luce che dobbiamo la nostra parentesi
biologica su questo pianeta. Nell’ effige del male sono conchiuse,
pertanto, anche quelle caratteristiche a-morali da evitare - attraverso
una libera scelta - affinché lo spirito, così come l’essenza cosmica,
possa liberarsi dall’incipiente minaccia (squilibrio disarmonico) e conseguire
una netta vittoria sulle ‘tenebre’, così da permettere al mondo e all’umanità di
affacciarsi alla Nuova Era, alla nuova Età dell’Oro. Alla fine,
allegoricamente parlando, saranno i 144000 beati a salvarsi e a permettere la
transizione. D’accordo, fin qui ci siamo! Ora sta a noi, alla nostra
perspicacia, comprendere quali significati allegorici attribuire a questo
fatidico numero.
Ci fu dunque, un primo tempo, un’Età
dell’Oro che registrò un periodo di equilibrio e di armonia. Perché ebbe fine,
e come? Scomposto, trito e ritrito, riflesso in cento miti diversi, spiegato in
tantissimi modi che esprimono sempre dolore, nostalgia e sconforto, questo
problema ha assillato profondamente l’umanità nel corso dei millenni. Perché
l’uomo ha perduto il Giardino dell’Eden? Per noi, genti di area cattolica
vissute in tempi moderni e per i popoli di cultura ebraica, la risposta è
sempre stata la medesima: perché l’uomo ha commesso il peccato originale.
L’Antico Testamento aveva presunto che soltanto l’uomo dovesse espiare questo
peccato e toccò al cristianesimo rimettere le cose a posto, suggerendo
che solo Dio avrebbe dovuto pagare il conto offrendo se stesso come capro
espiatorio; venne allora ristabilito l’antico ordine cosmico per il quale
solo gli dèi potevano fare e disfare il mondo a loro piacimento e l’uomo,
altro non avrebbe potuto fare se non ricoprire un ruolo del tutto subordinato a
quello dei grandi attori celesti. Ed era quasi scontato che la grande macchina
del cielo avrebbe potuto produrre solo armonia e perfezione non suscettibile di
aggiustamento. Il male non era contemplato in una natura amica e comunque
sempre giusta nel suo equilibrio. Tuttavia, la storia dell’umanità propriamente
detta ebbe inizio quando quest’ordine cominciò a vacillare. La perfezione
mutò, segnando il corso del tempo, prima indistinguibile: solo allora ci fu un
'prima' e un 'dopo', un Essere e un Non-essere, suo esatto contrario. Così
perlomeno stabilirono i filosofi del passato. La mancanza di astrazione del
pensiero fece principiare tutto dal moto dei corpi celesti e si creò un
apposito linguaggio per descriverlo, un codice espressivo orale che per essere
decifrato avrebbe richiesto un certo grado di preparazione. Solo una
volta acquisita la necessaria competenza si potranno conoscere le dinamiche del
Cielo, il principio di tutto ed allora si potranno concepire categorie diverse
da quelle ricevute per induzione, da quelle che la cultura moderna ha dettato
come categorie di riferimento etico. Me nell’etica astrale il male, efficace
rappresentazione della tenebra, non è che una componente del quadrante
biologico e come tale non riveste significati esclusivamente negativi. Se
il male è diventato l’essenza di tutto ciò che si deve evitare, lo dobbiamo
soprattutto al fatto che esso diventi parte integrante di un processo di
omologazione destinato a dominare nei tempi della fine. Come in un qualsiasi
processo di invecchiamento, il ciclo destinato a concludersi tende naturalmente
ad acquisire valenza omologante nella quale le diversificazioni vengono via via
annullate per lasciar spazio alla stasi ultima, alla morte termica
dell’organismo. La previsione, in questo stadio, si appoggia a un criterio di
calcolo deterministico, l’organismo malato (o invecchiato), dunque prossimo
alla fine, scandisce nel tempo fasi gradualmente ripetitive, degrada
nell’omologazione e può dettare attraverso un’equazione precisa (da cui la determinazione
causale), i tempi esatti della soluzione finale. Ma lo Spirito ci ha abituato
alla possibilità del miracolo, dell’evento inatteso e non prevedibile, in
altri termini ci ha regalato la speranza prodigiosa della Vita oltre la
Vita! L’Amore, la serenità e la Speranza possono rendere possibile questo
effetto, l’odio e l’intolleranza possono annullarlo. Il tempo della materia è
finito! Se ci sarà un futuro sarà un futuro dominato dello Spirito, un
Regno al quale tutti possono accedere. - CONTINUA -
nteressante tesi sugli errori dei testi! Quello dei trecento infanti, è una svista molto famosa ma la somma di cui ho letto solo in questo post (ed io leggo parecchio materiale di questo tipo), indica qualcosa di molto importante in chiave precessionale. Chi non capisce questa scoperta, che può definirsi davvero tale, non può cogliere intimamente letture di questo livello. De Santillana avrebbe di certo gradito le analisi qui affrontate con zelo, coraggio e una competenza che sembra crescere di volta in volta. Complimenti .
RispondiEliminaRobert C
Grazie per i complimenti Robert e grazie par la mail. E' bello sentirsi compresi da qualcuno. In pochi però possono capire il tuo entusiasmo, anche perché , tu lo sai, ma ancora non abbiamo pubblicato l'articolo che svela quel famoso libro (il terzo caso, considerando l'intero corpo di testi biblici) che, a fronte di un errore facile facile da individuare, ci riporta proprio alla rilevazione di quella particolarissima cifra. Per dare un aiutino a chi volesse tentare in autonomia di cimentarsi nella soluzione dell'enigma matematico, posso anticipare che stiamo parlando del libro dei Numeri. Per ulteriori chiarimenti risponderemo dettagliatamente solo via e-mail. Grazie per l'attenzione
RispondiEliminaTemo di non aver capito l'enigma dicui si parla
RispondiEliminaAllora, mi associo ai complimenti, passo poi alla questione cominciando dal principio.
RispondiEliminaAbbiamo la somma dei leviti che fa 22300 e non 22000, come mi sembra sia riportato ufficialmente dalla Bibbia. Gli esperti parlano di svista, invece??.
Il commento precedente è mio
RispondiEliminaRiprendo il discorso dalla domanda di @Agostino, anche a beneficio di Dori@n:
RispondiEliminase consideriamo i maschi leviti non sequestrati da Yahweh, secondo il conteggio corretto, andrebbero aggiunti al censimento degli altri ebrei. Ecco che, se prendiamo il secondo censimento (ma non il primo), il calcolo porta ad un numero molto significativo.
E quindi la questione si fa molto precisa quando questo numero lo si ritrova, identico, in altri tre libri della Bibbia. Uno di questi tre casi l'abbiamo già pubblicato: è quello sul Salmo 90
RispondiEliminaSì, ho ripreso il primo dei tre articoli sul Salmo 90 e mi sembra di aver capito quale sia la cifra 'significativa'. Però oggi la durata di un giorno solare è stimata di un secondo più lunga. Se sostituiamo al posto di 3 sec. 4 sec. , quella cifra non torna, benché il linea di massima non si può negare che la equazione del Salmo 90 riporti, a tutti gli effetti, la misura del grado precessionale espressa in ore.
RispondiEliminaBene, questione delicata ed estremamente importante. Anzitutto bisogna comprendersi: vi sono dubbi rispetto al fatto che il Salmo 90 rappresenti un'equazione? E vi sono dubbi sui dati inseriti?
RispondiEliminaCredo di trovare il tuo consenso Agostino, si tratta di capire dunque quali stime gli antichi redattori volessero comunicarci. Essi avevano dunque unasomposizione del tempo simile alla nostra che divideva i ventiquattresimi del giono in 60 parti di un minuto e 3600 di un secondo. Ribadito questo punto, credo funga da conferma il fatto che essi abbiano reso l'equazione in senso rotondo e non decimale. La stima della misura del giorno in 23 ore, 56 minuti e 3 secondi una volta moltiplicati per 360.000 portano infatti ad una cifra tonda, e questo fattore ci induce a credere molto attendibile il nostro ragionamento. E' presumibile , dunque, che la stessa cifra, onde evitare ambiguità, una volta calcolata sia stata inserita in altri testi, proprio per fornire un termine di paragone. Se ciò corrisponde al vero, stiamo affermando in sostanza che il Salmo 90, e quindi la stima della durata del giorno solare, sia stata una conoscenza scientifica precedente rispetto al libro dei Numeri in cui tale cifra viene confermata. Seguire questa strada implicherebbe dunque una revisione delle datazioni dei testi, benché la versione masoretica in nostro possesso fornisca un ordine e pertanto una cronologia invertita. Come definito nei post sul Salmo 90, altri studiosi considerano molto antico il Salmo 90.
Ovviamente stiamo proponendo una versione alternativa della datazione di alcuni reperti, per farlo ci siamo appellati alla evidenza di alcuni riscontri numerici che al momento sembrano gli unici a fornire risposte rispetto a questioni irrisolte
Sto seguendo con attenzione i passaggi del ragionamento.. Dunque, ad un certo punto del post si parla di ‘errori’. Gli errori della Bibbia appaiono banali, troppo banali per non essere notati, Per questa ragione vien da pensare che non siano semplici sviste di scribacchini disattenti, ma veri e propri trucchetti per nascondere dati importanti e con essi le reali competenze degli eruditi ebrei vissuti nei tempi che furono. Sostituendo infatti la soluzione corretta vengono alla luce cifre incredibilmente vicine a quelle rilevate oggi. Ho trovato sorprendente che certe cifre fossero conosciute fin dai tempi antichi e questi articoli dimostrano proprio una realtà sfuggita ai nostri più autorevoli accademici. Gli autori di questo blog dunque sembrano essere sulla strada giusta e solo un mentecatto non se ne renderebbe conto, o un provocatore da strapazzo come quel tale anonimo, che ogni tanto tira le sue entrate a gamba tesa. Ma quando leggo (nei post precedenti) che tanto scetticismo alberga anche nella mente di matematici di fama (Ho infatti individuato e confermato chi sia quel matematico che non dà il permesso di pubblicare le sue sparate), mi viene da pensare che non siamo in buone mani, o che non lo sia chi si affida ai bellimbusti del piccolo schermo. Ora lascio a chi di dovere il compito di svelare le cifre di cui si è detto e i libri in cui inequivocabilmente esse si trovano.
RispondiEliminaGrazie per l’aiuto Dåniel, sei stato chiaro e ciò mi rinfranca. In realtà devo apportare una rettifica rispetto a quanto ho anticipato rispetto i tre libri della Bibbia nei quali , in forma assai precisa e corrispondente, si troverebbero importanti dati astronomici. Il tuo intervento mostra come dovrebbe funzionare un vero tavolo di lavoro, in cui non vengono espressi solo commenti di assenso o dissenso, ma anche utili sintesi rispetto a quanto è stato pubblicato. Questa modalità di interazione fra i commentatori ci dà occasione di rivedere informazioni imprecise e correggere eventuali errori. Ed infatti rettifico subito che i libri in cui troveremo le importanti correlazioni di cui abbiamo scritto, non sono tre ma due: il Salmo 90 e il Libro dei Numeri.
RispondiEliminaPrendo nota anch’io! Ho provato a cimentarmi nel calcolo dei censimenti ma non sono riuscito a trovare niente di serio. I calcoli però sono facili. Attendo istruzioni.
RispondiEliminaSe prendiamo il Libro della Genesi, sulla base di una semplice addizione non sarà difficile ricavare il numero 8575, come totale delle età dei patriarchi. Gli autori inseriscono quasi la stessa cifra nel censimento dei leviti requisiti da Yahweh: 8580 come somma dei Ghersomiti, Keatiti e Merariti dai 30 ai 50 anni di età. Sono quelli destinati alle funzioni di guardia, preparazione e trasporto dei suppellettili sacri. Ma è attraverso questo addendo che otterremo la quantità di leviti non requisiti dall’autorità divina e che quindi andranno a far parte del gruppo degli altri ebrei. Gli individui del secondo censimento aggiunti a questi leviti forniranno una sommatoria molto importante da noi riconosciuta come misura in ore del grado precessionale. Ora, abbiamo visto che anche in Genesi la relazione fra età dei patriarchi e il numero 120, fornirà la misura del grado precessionale, anche se di entità leggermente discrepante rispetto il valore calcolato in Numeri e nel Salmo 90. Il grado precessionale calcolato nel Libro dei Numeri (E nel Salmo 90) risulterà 11 anni più piccolo di quello stimato nella relazione del Libro della Genesi . Questa minima differenza ci riporterà tuttavia alla misura precisa rilevata dai nostri astronomi, anche se, proprio perché differente, non ci permette di dire che la stessa misura sia presente in tre testi. La somiglianza e la precisione del dato in Genesi sembrano volerci confermare l’attendibilità della procedura da noi utilizzata per svelare la presenza di queste cifre.
RispondiEliminaRimane da fare un’ ulteriore considerazione: Poiché la misura in Genesi coincide con quella rilevata al giorno d’oggi, possiamo pensare che i redattori di questo testo siano giunti al risultato in autonomia e che lo abbiano fatto in tempi successivi a quelli in cui sono stati scritti i Libri dei Numeri e il Salmo 90. Rimane perciò una questione importante da sottolineare: gli eruditi che studiavano il cielo hanno lavorato in tempi diversi allo stesso problema, cioè alla ricerca della durata del ciclo precessionale e del suo trecentosessantesimo. Osserviamo ancora che nel Salmo novanta sia stato sviluppato un calcolo che implicava la conoscenza della durata in ore, minuti e secondi del giorno solare, la quale, sempre che le nostre valutazioni siano corrette, è risultata di un solo secondo inferiore a quella rilevata attualmente. Un secondo in eccesso o uno in difetto , ci avrebbero condotto a risultati ben diversi da quel 615450 tanto significativo. La nostra sorpresa, evidentemente, non è stata condivisa in campo accademico, dal momento che, oltre gli astronomi moderni, anche personalità del calibro di Odifreddi, continuano a negare l’evidenza di queste scoperte e a rimarcare con illogico scetticismo che gli ebrei antichi non avessero alcuna competenza specifica particolarmente avanzata in ambito astronomico. Prendiamo pertanto le dovute distanze dai loro ciechi pregiudizi.
RispondiEliminaAvete mai provato a sottoporgli queste ricerche?
EliminaEccome! Troverai soddisfacenti risposte alle tue perplessità in un vecchio post dal titolo ‘ la Bibbia nelle considerazioni di un matematico’. Dello stesso tenore è stata anche la pronta replica di Gianfranco Ravasi (Cardinale e Responsabile dell’Istituto della Pontificia Cultura). Altri Autori come Barbero sono stati più gentili, ma il nesso è che non riconoscono credibile l’archeoastronomia e comunque – quando difettano di argomentazioni – sostengono di non essere interessati a queste speculazioni. Per loro la Bibbia è un libro come un altro, non attendibile storicamente e perfino più inutile di altre letture.
Eliminacontenti loro...
EliminaQuel che ho capito è che, sia nel Salmo che nel libro dei Numeri , dovremmo ritrovare numeri che indicano la durata del ciclo della precessione.
RispondiEliminaE’ davvero incredibile come l’equazione del Salmo 90 riconduca con grande puntualità ad una cifra tonda rispetto la durata in ore, minuti e secondi del giorno solare. Se si cambia di un solo secondo la misura dell’ora non si può ottenere quella cifra tonda che sappiamo essere giusta, anzitutto perché è perfettamente divisibile per 14 e poi perché è contenuta, anche qui in maniera inequivocabile, nel libro dei Numeri.
RispondiEliminaIn pratica anche dal Salmo 90 si ottiene una misura precisa del ciclo precessionale 25714, e di conseguenza del suo grado (25714/360)
Grazie Ago, è sempre molto utile sentire qualcuno che ripete concetti complicati anche se eccezionali come nel caso del Salmo 90. Non so con quale argomentazioni e pretese si possa contestare la procedura che abbiamo applicato. Sono veramente curioso di sentire eventuali pareri dissenzienti.
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