giovedì 14 dicembre 2023

Le palle di Natale

 A Natale non c’è abete che non mi stia sulle palle. (Omaggio a Walter Matthau)

il brano è stato scritto in omaggio all'attore americano Walter Matthau, ovvero, al genere di personaggio più volte da lui interpretato nella sua memorabile carriera. Ho immaginato che un tipo scontroso, cinico e misogino, sulla bozza  delle sue più riuscite macchiette cinematografiche, fosse proiettato nel nostro mondo angustiato dalle logiche del  politically correct. Ho provato a costruire una meditazione fredda e distaccata sulla società contemporanea, proprio come  il burbero allibratore  della pellicola di Bernstein, 'E io mi gioco la bambina'. L'idea mi è venuta dopo aver letto il post 'Io amo il cinema' sul blog di Gus. Scrivere in quello spazio delle mie preferenze cinematografiche sarebbe stato lungo e noioso, mentre l' omaggio a un bravo attore, lo trovo di gran lunga più leggibile. Approfitto dell'occasione per fare a tutti i miei più cordiali  auguri di buon Natale. 

Fabio Painnet Blade 

   "La gente mi sta sempre sulle palle, ma a Natale posso dire che mi sta sulle palle anche di più. Più che a Pasqua, più che a Ferragosto; ai compleanni poi…ci sarebbe da ammazzarli tutti, questi gioiosi, con le loro torte burrose incatramate di cacao. Odio i pacchetti infiocchettati che promettono e poi non mantengono, poiché tanto 'quel che conta dev’essere il pensiero'. Ma quando mai il solo pensiero ha  contato qualcosa? Mi tengo a distanza di sicurezza da ogni cerimoniale festoso, germoglio d’ipocrisia. Le lacrimucce di circostanza, i “proprio non li dimostri, cara”, o quei mielosi “sei sempre così bella...”, non li ho mai digeriti. Le badilate di stronzaggini che si dispensano in tali occasioni mi fanno sempre rivoltare lo stomaco. Non sono un tipo simpatico, lo so. Ma non perché soffra di una misantropia congenita, semmai perché non credo affatto alla gioia del momento. Non credo alla felicità in generale, quel che ne vien fuori, intendo; forse quel che rimane dentro è di gran lunga migliore…Non v'è nulla di più prezioso delle cose celate, disse qualcuno*.  Per me il tempo buono è quello del ‘dopo’, il ‘durante’ non mi dice niente di speciale. Il dì della festa? Non ha alcun senso. Punto. 

 Delle cose della vita mi interessa parecchio il ‘dopo’. Il concerto di Capodanno? M’ha sempre lasciato indifferente, mentre al mattino, quando gli operai cominciano a smontare l’impalcatura e gli spazzini a raccattare le montagne di immondizia, io assaporo la malinconia dell’epilogo. Per me in quel preciso istante comincia l’eccitazione e mi capita di pensare: meno male, anche per quest’anno è andata. Una buona pellicola comincia a prendermi quando il nastro con i nomi degli attori ha terminato di scorrere, dopo le citazioni, i costumisti, le musiche e i ringraziamenti agli enti locali. Ogni inizio è un potente narcotico, nella fine vi è altresì un' energia nuova. Avevano ragione i saggi del tempo che fu: il tempo è ciclico e quel che comincia è sempre meglio di ciò che finisce. Neppure in vacanza riesco a rilassarmi, meglio un giro di vodka al bar dell’aerostazione, quando le turbine hanno smesso di fischiare e i pericolosi marchingegni hanno depositato i nostri culi sulla terraferma.

 Ottenere una vittoria è sempre una bella sfacchinata, val forse la pena vincere se prima devi farti un mazzo così? No, no… Meglio il dopo, e poco importa che il successo non sia tuo e sugli allori si gongoli qualcun altro. Meglio il dopo, in ogni caso, come quando senti lo scroscio dello sciacquone portarsi via fatti e misfatti della giornata, solo allora ti senti in pace col mondo. Svuotarsi gli intestini è una questione liberatoria, posteriore, - in tutti i sensi - mai antecedente. Forse questo mio godere del momento appena trascorso e della solitudine che in esso trae giovamento, è la vera causa del rapporto di merda col mio prossimo. E a Natale la ripulsa si fa ossessione. L’aria della festa mi da l’orticaria, che posso farci? Per me il momento buono viene quando rimango solo. L’ho detto.

- Perché non prendi un cane? Ti farebbe bene. Mi si consiglia spesso, con una stoccata di bonaria premura borghese.                                                                                                                                    - Come no. L’ho fatto a suo tempo, ma ho cominciato ad interessarmi a lui solo quando è schiattato sotto il battistrada di un autoarticolato. Prima di allora m’aveva sempre dato ai nervi. Dannata cagnetta! Meritava qualcosa di più come padrone ed io qualcosa di più come compagnia: in pratica stavo molto meglio senza. Ma l’ho capito dopo…dopo che ho veduto il suo muso spelacchiato appiattirsi su un groviglio di interiora rosa, sul selciato. Insomma, non sono il tipo adatto a tenere fra i piedi un piccolo, per quanto tenero, sacco di pulci. Raccoglierne le deiezioni poi, un vero supplizio; il sottile piacere lo lascio volentieri al vedovo del pianerottolo a fianco: un tipo dai modi cortesi ed odiosi, molto preciso e attento ai formalismi di maniera, a cui piace far di conto fuori e dentro l’ufficio pidocchioso in cui trascorre le ore della giornata. Ma quella di far quadrare i conti è una mansione che si è portato fin dentro le mura domestiche, dove – si dice - non lasciasse passare lo spreco di un solo centesimo. Il vicinato maligna che la consorte sia spirata anzitempo per disperazione, non volendole lui concedere alcun lusso o sperpero e centellinandole persino i pochi nichelini che di solito si lasciano al mendicante, sul sagrato della chiesa. Mi é capitato molte volte di osservare questo vecchio contabile inforcare il suo buon guanto in lattice e ingobbarsi sugli escrementi del proprio cane, uno scagaccione tutto coda e mandibole che sembra farlo apposta a cacargli attorno, proprio mentre passano le signore ingioiellate, quasi conosca alla perfezione i suoi modi da incorreggibile dongiovanni. Questi di norma, segue l’animale, col quale sembra aver rimpiazzato la più dispendiosa moglie, gli sta appresso metro dopo metro e si piega fino a terra per adempiere al suo quotidiano esercizio di buona creanza. Al primo mattino tuttavia, è assai meno sollecito a raccattar escrementi, cosa che non manca mai di fare in pieno giorno, quando invece pare assai più attento a non rovinarsi la reputazione di persona a modo; solo per questo motivo alla luce del sole è assai più coscienzioso con la merda del suo cane: e dagli con le genuflessioni, col guantino e con la quotidiana esibizione di impareggiabile disinvoltura manipolatoria. Ogni tanto, nel vederlo carezzare le digestioni canine, alcuni non riescono a trattenere il disgusto e con la mano sulla bocca, a mo’ di tampone, tirano avanti senza degnarlo d’uno sguardo. E che altro può suscitare un tale, stomachevole contegno? Solo a guardarlo desta compassione: mai e poi mai potrei tenere, ed ancor meno accudire, un tale impiccio sotto il mio tetto. 

   Stasera, il 24 dicembre, ho deciso di farmi una bella passeggiata in centro, a distanza di sicurezza dai luoghi dove le persone si addensano come afidi. I centri commerciali sfavillano di luci e sembrano invogliarti a scucire i tuoi ultimi risparmi. A me pare che questa folla sciami intorno ai mercati proprio nei momenti meno felici dell’economia, quando i telegiornali sfornano le peggiori previsioni e il portafoglio ti fa marameo dalla tasca lisa. Se non ci si può permettere nulla, la sola idea di spendere provoca una sottile frenesia masochistica a cui nessuno vuol rinunciare; così, a Natale, tutti si riversano per le strade a godere di questa strana vocazione. E come puoi fermarti a comprare qualcosa?: le facce di fuori ricordano il cipiglio sconsolato dei mocciosi anni Venti: berretto largo di due taglie calcato su riccioli aurei, occhi supplicanti e bava alla bocca davanti alle leccornie della pasticceria. Perché non portano i loro musi imploranti altrove questi infelici? Che ci posso fare se non sono un sadico? Non tutti amano gioire delle sfighe altrui. Acquistare qualsiasi cosa, in questo periodo dell’anno, mi innervosisce, provo quasi vergogna e allora, anche per questo Natale mi guarderò bene dall’idea di sperperare quattrini. Mi farò due passi solo per prendere una boccata d’aria, ci sarà pure un buon diavolo che del Natale se ne frega.

 Per le vie del centro mi imbatto invece nel solito via vai di faccioni inebetiti davanti alle vetrine sfavillanti: dentro i locali le commesse fanno i cruciverba. Quei pochi che osano interrompere i loro svogliati passatempi sono trafitti da sguardi d’invidia feroce. I fanciulli vengono strattonati come somari davanti ai multicolori arredi dei negozi di giocattolame, le scene si ripetono sotto i miei occhi e il biasimo per questa umanità corrotta mi lievita dentro.

 Neppure gli abeti riscuotono successo, giacciono accatastati col cartellino del prezzo appiccicato a rami che mai vedranno addobbi colorati. Il prossimo Natale la loro strage         – o una parte di essa - potrà essere evitata, una buona percentuale si salverà in attesa di tempi migliori. Guardo le palle che stanno sugli abeti e scopro che gli abeti mi stanno sulle palle più delle persone… a Natale. Mi sovviene un vecchio motto che invitava a piantare un albero per ogni nascituro. Se l’equazione fosse corretta, ad ogni Natale si dovrebbe registrare un preciso decremento demografico, dato il numero di piante destinate alle discariche. Mi si ricorda che non sempre la matematica c’azzecca. Mah! Non ne sono troppo convinto: il calo delle nascite nei paesi più opulenti è una scudisciata di pessimismo spalmata su tutti i mesi dell'anno. E hai voglia di seminare alberelli sull'intero pianeta! L'equazione non torna.  Mi fermo davanti al grosso schermo di una piazza cittadina, al momento trasmette il telegiornale dell’emittente che fa capo alla redazione di un quotidiano. Persino la piazza porta il nome della testata, manco fosse un caduto dell’ultima guerra. Il notiziario trasmette immagini da terzo mondo, in diretta televisiva dai teatri di violenza più gettonati. Spuntano volti emaciati, cornee giallastre infestate d’insetti, o ventri gonfi come bocce da bowling, ma solo nei luoghi caldi, mentre a settentrione il sangue è lo stesso, stessi drammi e stessa disperazione con  densi fumi neri sullo sfondo, come tetri sipari sullo spettacolo della Nera Signora, in replica perenne,  giunta dal cielo sul suo metallico destriero gravido di esplosivi . E poi roghi di morte, calcinacci imbiancati di polvere dove un tempo svettavano edifici, quartieri, città. Cazzo! Quanto ci azzecca la matematica a Natale. 



* Oscar Wilde

mercoledì 6 dicembre 2023

Controcorrente: Il re della foresta o no?

 Fra il serio e il (poi mica tanto) faceto.                                                                                                                                                                             
   Abbiamo visto nel precedente post  , che Aristotele non prendeva in considerazione descrizioni di fenomeni e leggi fisiche che fondassero il loro significato su condizioni ideali e completamente astratte, il che vuol dire anche : estrapolate da una realtà che si presentava con caratteristiche peculiari  e perfettamente osservabili (Ad esempio il movimento di un corpo privato dall'attrito naturale dell'aria, non si può osservare nella realtà, quindi il concetto è astratto). Ciò che intendeva chiaramente affermare il filosofo di Stagira, oggi tutt'altro che recepito a livello accademico, e che determinate astrazioni fossero del tutto improponibili nel contesto fisico reale. La nostra cultura tecnologica è invece fondata su leggi che propongono condizioni puramente astratte, condizioni cioè meno che improbabili sul nostro pianeta e ciò, quando non intervengono verifiche di carattere sperimentale, rende tali criteri talvolta indistinguibili dalle macchinazioni dell'ideologia di potere. Anch'essa, infatti, costruisce i suoi 'postulati'  su condizioni immaginate che non trovano riscontro nel mondo fisico. Il mito del 're della foresta', rappresenta una fra le tante astrazioni del pensiero ideologico, dove un modello (extra-biologico, quindi metafisico) non-reale viene imposto sulla base di una correlazione fittizia col dato empirico, che tuttavia fa comodo a una certa logica opportunistica . Pensiamo al modello di potere monarchico, al suo carattere essenzialmente verticistico che poggia sull'autorità indiscussa del sovrano. Per conferire attendibilità assoluta a questa astrazione, farla cioè apparire come determinazione naturale, ecco allora che occorre ideare un analogo modello, sostenuto da leggi naturali (in realtà si tratta di leggi non-empiriche perché, come vedremo più avanti, l'osservazione diretta propone altri e più significativi dati), fino ad un certo periodo considerate di esclusiva pertinenza divina. Allora è possibile che la natura venisse descritta con specifiche caratteristiche di comodo, affinché valesse un principio valido tanto nelle società degli uomini che in quelle degli animali .  Almeno gli antichi eruditi, cercavano questa analogia (Il:  'così sopra, così sotto) attraverso l'osservazione, quella sì meticolosa e scientifica, delle sempiterne dinamiche astrali. Chi dunque avrebbe mai dubitato dell'autorità del tiranno se il suo governo fosse posto sullo stesso piano dell'ordine naturale voluto da Dio (In tempi moderni voluto dalla scienza) ? Quale miglior modello si poteva dunque scegliere se non quello biologico predefinito dall'imperscrutabile autorità divina? 

 
Nullius in verba, ovvero, la scienza prima di tutto

    Prendiamo in considerazione  il mito del 're della foresta'. Questo concetto è dovuto soprattutto alla interpretazione ideologica promossa dalla  Royal Scientific Society, un' istituzione fondata  e sovvenzionata dalla corona britannica nel 1660 , proprio col fine di sostenere l’idea di una regalità, (quella del sovrano) perfettamente contemplata dalla natura e , ufficialmente proposta sulla traccia della filosofia baconiana. Proveremo a dimostrare che certe analogie appaiono fuorvianti ed oltretutto, alquanto superate. Per farlo cercheremo di capire se davvero il leone, re indiscusso della brughiera africana, goda degli stessi diritti e privilegi di un monarca.  Osserveremo quindi in chiave umoristica, ma non per questo meno attendibile, a quale destino andrebbe incontro il povero tiranno del bush africano se, anziché dare per scontata la prospettiva dominante, provassimo ad osservare nel tempo quanto durano i suoi 'privilegi di corte' e a quale carissimo prezzo esso deve guadagnarseli assieme all'agognato scettro del potere. Il quadro, ben chiaro agli etologi moderni, mette in evidenza la transitorietà del suo ipotetico dominio, le inaudite difficoltà a cui deve far fronte una povera bestia per garantirsi il primato per la discendenza e il sostentamento alimentare; cosa ben diversa dall'agevole regalità degli umani che poco ha da spartire – ribadiamolo - con quella decisa dalla natura. (La natura infatti, non prevede l'abdicazione, o la tranquilla uscita di scena per limiti d'età, del sovrano. La natura definisce l'alternanza di potere  in modo esclusivamente cruento. )


Il re della Foresta, figura ideologica costruita a tavolino, o rappresentazione  di un modello d'ordine naturale? (Di Fabio Painnet Blade)

 Il mito del Re della foresta? Ah ah. Frottole, datemi retta! Solo fandonie messe in giro per convenienza!

 A badarci bene questo altisonante titolo, al leone, glielo dovrebbe aver appioppato un biologo al servizio della corona britannica, spacciandolo com'è ovvio,  per insindacabile tesi scientifica. A conti fatti, però, l’equazione non torna. L’idea di fondo della supposta regalità leonina sarebbe dunque una costruzione immaginaria (Un'astrazione direbbe Aristotele) edificata su uno zoccolo di inaudite falsità. Non occorre grande arguzia per capire il vero ruolo del povero leone, sottomesso ai doveri di una nobiltà imposta dalla scienza degli uomini. Insomma, dopo averci convinto che la società degli umani sia simile, e talvolta perfino sovrapponibile, a quella delle bestie, tesi già dimostratasi poco attendibile, questo turpe inganno ha edificato la sua propaganda su congetture infondate, ammantandole a posteriori di spuria solennità accademica: s’è sempre detto con inaudita malafede che l’uomo, come il suo alter-ego della savana africana, avesse da soddisfare brame di virilità e potere sulla moltitudine diversificata delle femmine del branco, attraverso una promiscuità sessuale legata ad ineludibili finalità riproduttive. Ma ciò non si è rivelato corretto, in quanto s’è omesso di ricordare che la femmina della specie sfrutta meglio e a fondo tale opportunità, infatti essa può profittare di numerose occasioni da accoppiamento molto comodamente e per un tempo ben più lungo di quello del maschio, il quale oltretutto se lo deve guadagnare a suon di artigliate, o rinunciarvi del tutto.

 Per la femmina, il privilegio della promiscuità sessuale è una condizione conseguente ad ogni cambio di scettro che comporta delle buone opportunità,  come quella di accaparrarsi le attenzioni dell’esemplare più in forma del clan, e di farlo nel rispetto di quella legge dell’alternanza a cui son soggetti con troppa frequenza i capobranco di ogni specie; in realtà, dunque, la posizione di favore di una o più femmine durerebbe per tutta la vita e non solo per il breve periodo di una stagione che ad ogni anno solare correrebbe il rischio di concludersi violentemente e definitivamente. In sostanza, la parentesi riproduttiva nella vita di un singolo maschio (quella della dominanza e dei sollazzi) una volta espletati gli impegni più immediati (conflitti, alimentazione, malattie e quant’altro) si ridurrebbe ad un intervallo estremamente limitato nell’arco della propria esistenza. Pertanto sembra scontato che nel mondo delle bestie a  spassarsela  fino  in fondo   non  sia affatto il  maschio  adulto, bensì la femmina. In seno ad una comunità di mammiferi evoluti, come di uomini, la dominanza sarebbe dunque da intendersi come la peggiore delle fregature! Sono pronto a scommettere che le cose non vadano poi tanto bene neppure nell’habitat di specie meno nobili ... Per due o tre accoppiamenti  di un maschio, le femmine stanno in fregola per tutto il resto della vita: questo è il punto! E non c’è legge darwiniana che possa negarlo: esser ‘capo’, in sostanza, si riduce ad un gran brutto impiccio! Tornando al nocciolo della questione direi allora che i grattacapi annessi ad una tale, misera condizione, li dobbiamo essenzialmente al vezzo di voler servire contemporaneamente due padroni che si gongolano  nei guai che il povero uomo trae dai suoi romanticismi sentimentali. Ma per farlo, l’ho detto e ridetto, tali despoti debbono servirsi della donna! Entrambi i tiranni, possessori della nostra anima carnale, sembrano ben attaccati al loro scettro, irrinunciabile appendice di un’indole portata al comando ed al capriccio per il quale l' XY biologico è indotto a soddisfare contemporaneamente le brame della propria indomabile voluttà o i dettami dei più immediati istinti riproduttivi. Essi vivono un antagonismo latente e si affannano allo spasmo per prevalere sulla corruttibile volontà umana.                                                                          
Nelle figure  sopra e sotto:  ecco come il concetto si insinua nella cultura: libri illustrati per bambini, giocattoli e gioielli.