Al vaglio due lettere: le domande di un autore esordiente e la risposta di Umberto Eco.
Prima parte
Autori Esordienti: scimmie o dèi?
Come autori esordienti dovremmo accettare i criteri imposti dalla grande editoria e farcene una ragione, oppure tentare di formularne di nuovi, di originali e ambire a nuovi spazi e traguardi? Nelle pagine successive ho inteso rispolverare una vecchia lettera di Umberto Eco allo scrittore esordiente Simone Bartoletti. L’intellettuale, scrittore e semiologo Umberto Eco, rappresenta la punta di diamante di un’elite che si fa forte dei propri titoli, un’enclave di dotti dall’atteggiamento superbo, ai limiti dell’arroganza, anche se mascherato di buon senso borghese. Ma ciò fomenta sinistri sospetti rispetto al nostro quesito e cioè rispetto alla possibilità che le case editrici – attraverso criteri condivisi e condivisibili – riescano a far emergere la qualità di un’opera mai pubblicata prima. La posizione dell’ ‘immortale’ autore è quanto di meglio (o di peggio) ci si possa aspettare da coloro che sguazzano e ingrassano all’ombra del sistema selettivo ufficialmente adottato dalla grande editoria. Ma l’aspetto più controverso riguarda la remissività apatica di quelli che , entro un siffatto ordine di idee, hanno tutto da perdere.Purtroppo nella mia ricerca in rete mi sono imbattuto prevalentemente in plausi ammirati per la ‘logica’ di Eco e ancor più tristemente ho preso atto che le approvazioni per le sue parole provenivano oltreché dagli editori, come era ovvio attendersi, anche dagli aspiranti scrittori, i quali avrebbero dovuto sottolinearne quantomeno le inverosimili cazzate.
lettera di Simone Bartoletti (scrittore esordiente)
“Caro Umberto Eco, Tempo fa ho inviato un mio “libro” ad alcune case editrici, che non si sono minimamente degnate di darmi una risposta. I loro indirizzi sono stati presi sempre su internet, dove chiaramente si poteva leggere che avevano interesse a valutare inediti. Non ho mai avuto sogni di gloria, anche perché non credo di avere i requisiti adatti, però ho voluto realizzare un mio piccolo sogno, cercando soltanto un parere autorevole su quello che poteva essere saltato fuori dalla mia testa, un consiglio, un cenno alla mia esistenza, niente di più. Ho creduto di poterlo trovare in un’ ambiente di cultura, che vive di arte e quindi ritenuto da me più sensibile, ma sbagliavo, ho trovato la più totale indifferenza nei miei confronti e soprattutto verso i miei sentimenti, verso l’amore che avevo messo in quello che avevo fatto, e il tempo che ci avevo perso. Forse sarò un povero analfabeta che sporca fogli nel tentativo di mettere in fila due pensieri, ma credo che un minimo di rispetto lo meritassi, solo per aver tentato. Invece sono stato schiacciato dalla più totale incuranza del mondo d’oggi. Non voglio cadere nella retorica, ma è veramente triste che su una decina di editori da me contattati, nessuno abbia avuto la “cortesia” di scrivermi due righe, che so: “La ringraziamo per la fiducia a noi accordataci ma siamo spiacenti di dirle che la sua opera è un ammasso di cavolate una latrina maleodorante, ci risparmi d’ora in avanti simili schifezze!”. Era troppo forse? Chiedo l’impossibile? È troppo distogliere per un attimo il pensiero dai propri meschini interessi per pensare che dietro a quel misero lavoro esiste un cervello, un cuore con dei sentimenti e dei sogni infantili? Ne arriveranno a centinaia di porcherie alle case editrici, ma basterebbe una lettera standard per dare una risposta a tutti, per non tradire la fiducia che qualcuno vi aveva riposto. Forse la sensibilità non fa più parte del mondo degli affari, visto che ormai anche i libri, l’arte di scrivere non è altro un modo come un’altro per fare soldi, non è altro che un mezzo, come può essere produrre spazzolini per il cesso, né più né meno. Non voglio giudicare, non credo di essere un grado, ma se considero le porcherie che vengono stampate, o quel groviglio di letterine messe in fila da chi sa chi o da nomi illustri che garantiscano le vendite, forse, in mezzo a questo letamaio, un rimprovero, un incoraggiamento, una stroncatura definitiva me la meritavo. Adesso vorrei solo sapere se Umberto Eco o uno degli altri editori è disposto a leggere il mio “libro”, semplicemente per avere dei suggerimenti, un “bravo” o uno “scemo”. Se possibile rispondetemi, inviandomi magari un indirizzo al quale mandare il mio lavoro. Vi ringrazio anticipatamente, certo di non ricadere in un nuovo baratro di freddezza e indifferenza.”
Simone Bartoletti
'Certo di non ricadere in un nuovo baratro di indifferenza'... Sigh! Dalla padella nella brace: il baratro in cui è incappato il giovane ed illuso autore, è anche peggio di quello che s'aspettava.
Perle di erudita saggezza Risposta di Umberto Eco (Quand'era ancora mortale)
Disegno di Tullio Pericoli
"NON È BENE INVIAR MANOSCRITTI…"
Suggerisce l’immortale scrittore.
A meno che:
1) non si parta da una posizione di assoluto prestigio sociale, che so io,non si abbia la fortuna di esser re, presidente di una nazione o deputato parlamentare, dirigente o consigliere d’amministrazione di un’azienda di stato.
2) non si abbia a disposizione: un canale televisivo (meglio se sono tre)
3) non si goda dei favori di un editore di rango ( condizione conseguente al punto b)
4) non si goda dei favori di una testata ad ampia tiratura ( condizione conseguente al punto a, b, c .)
5) non si ricopra un ruolo dirigenziale un un’azienda televisiva.
6) non si sia disposti ad infarcire il proprio lavoro di contenuti ideologici.
Per puro caso il signor Umbro Eco poteva permettersi di soddisfare tutte e sei le condizioni precedenti e, nonostante ciò, prestando attenzione a non menzionare mai questo suo stato di invidiabile privilegio, si permetteva pure di dare consigli agli scrittori emergenti. Ma leggiamole dunque, le sue impagabili perle di saggezza:
Opera del pittore napoletano Mimmo Di Caterino
Caro Simone Bartoletti, Rispondo volentieri al suo messaggio perché spero così di raggiungere altre persone che si trovano nella sua situazione, per dire loro candidamente come vanno le cose a questo mondo. Vengo anzitutto alla sua ultima richiesta, se io sia disposto a leggere il suo manoscritto. La risposta è no, e le ragioni sono tutte ispirate a un profondo principio di lealtà. Io (ma questa situazione è comune a molti scrittori e studiosi di una certa notorietà) ricevo ogni settimana almeno una decina di manoscritti (spediti da persone che non hanno avuto la delicatezza di fare come lei, e chiedermi prima se potevano inviarlo), dei generi più svariati, in gran parte racconti e romanzi, ma anche opere storiche o addirittura dimostrazioni sull’esistenza di Atlantide o del continente scomparso di Mu. A questi si aggiungono bozze di libri inviati liberalmente da editori stranieri che chiedono un blurb, e cioè una di quelle frasi di raccomandazione dell’opera che si stampano poi sull’ultima di copertina o in fascetta. Dieci manoscritti alla settimana fanno 520 all’anno. Una persona come me, che fa il professore universitario, dirige una rivista scientifica e due collane specializzate, è tenuto a leggere (e correggere, e rileggere) tesi di laurea voluminosissime e manoscritti inviati per la pubblicazione, per dovere d’ufficio, oltre a seguire quanto si pubblica nel proprio campo, per tenersi dovutamente aggiornato (anche se la mole di materiale che arriva è anche quella insostenibile). Anche a volersi eroicamente occupare degli altri manoscritti in arrivo, si può dedicare al massimo (diciamo) due ore giornaliere, strappate al sonno, alla lettura di tale materiale – a parte il fatto che, dopo aver letto per obbligo centinaia di pagine, ballano gli occhi. Tenuto conto che per leggere (bene) un manoscritto che può andare da cento a quattrocento pagine, anche procedendo a tre minuti a pagina (che è lo standard della lettura veloce ad alta voce), calcolando un libro medio di 250 pagine, saremmo a dodici ore, e quindi 24 giorni per libro, i conti sono facili da fare. 24 giorni per 250 libri fa 4000 giorni, e l’anno ne ha 365. Pertanto chiunque (che non faccia il mestiere full time di lettore per una casa editrice), ricevendo un manoscritto promette di guardarlo, mente. Al massimo lo annusa, ne legge le prime righe, ed emette un giudizio evidentemente poco fondato. A me non piace ingannare la gente in questo modo.La informo di un altro particolare, su cui nessuno ha mai detto la verità. Quando l’autore noto di una casa editrice invia alla direzione un manoscritto che ha ricevuto, dicendo che vale la pena di prenderlo in considerazione, rarissimamente gli si dà ascolto. Vige la persuasione che l’autore noto abbia rifilato loro qualcuno che lo stava sottomettendo a molte pressioni e che se la sia cavata in quel modo. È triste ma è così. Passiamo ora alle case editrici che sollecitano manoscritti. Di solito cercano autori a pagamento, sono disposte a pubblicare qualsiasi cosa e se non rispondono è perché ne hanno già troppa. Sul funzionamento di queste case si veda cosa racconto nel mio Pendolo di Foucault a proposito del signor Garamond. È un romanzo, ma fondato su fatti reali. Una casa editrice seria e importante, che non sollecita pubblicamente manoscritti, ne riceve comunque tantissimi – certamente cento volte più di quanti ne riceva io. Di solito (ma non esiste una regola generale) cerca di farli guardare tutti. È improbabile che li possa leggere il direttore editoriale (altrimenti non avrebbe tempo per dirigere), e spesso li si affida a lettori esterni. Quando lavoravo in una casa editrice ne conoscevo uno, intelligentissimo e con una penna intrisa nel vetriolo, che passava la giornata sdraiato sul letto e leggeva tutti i manoscritti che riceveva. Queste letture gli venivano pagate con molta parsimonia, ma tutto sommato così campava. Li leggeva davvero, e mandava giudizi di fuoco – anche se qualche volta esprimeva rispetto e ammirazione per qualche testo. In casa editrice si faceva fatica a leggere tutti i giudizi, di una o due cartelle, che costui inviava giorno per giorno. Io adesso non ricordo bene (anche perché di solito i manoscritti in arrivo sono di carattere narrativo, e io mi occupavo solo di saggistica) ma non ho presente alcun manoscritto che sia poi diventato un libro. Perché? Anzitutto si legga il gustoso libretto di Fabio Mauri, I 21 modi di non pubblicare un libro (Bologna, Il Mulino, 1990; per questo libro ho scritto una prefazione: Chi manoscrive è perduto). Riassumendo, un bravo editore è ansioso di scoprire nuovi talenti ma non si fida dell’autore che spunta improvvisamente dal nulla. Va cercare il talento là dove si forma, così come avviene nello sport, ed è raro che qualcuno arrivi ad essere assunto come centravanti della Juventus se non è stato scoperto e apprezzato mentre giocava in una squadra di serie B, e prima di serie C, e prima ancora nella squadra della polisportiva locale o dell’oratorio salesiano. La vita letteraria, almeno dai tempi di Catullo sino a oggi, è fatta di gruppi, di persone anche giovanissime che s’incontrano e si scambiano i loro lavori, poi li pubblicano su una piccola rivista, poi su una più nota, e passano, per così dire, una prima selezione da parte dei loro pari. Ed è lì che l’editore va a cercare le personalità interessanti. È verissimo che può esistere anche il genio sconosciuto, che vive in un paesino isolato dal mondo, ma di solito ogni attività “creativa” si svolge tra gli altri, e in questo modo si affrontano i primi giudizi, si impara. Se un editore cerca qualcuno capace di fargli una buona biografia di Giulio Cesare, va a sfogliare le riviste di storia, o i programmi dei convegni sulla storia romana. Solo così sa che una persona, che sostiene di essere esperta su Giulio Cesare, è già stata valutata da chi segue queste cose, e ha così una prima garanzia. Ma lo stesso avviene anche per i giovani poeti, che incominciano ad apparire su piccole riviste di poesia, o ricevono il premio di poesia per i liceali di Roccacannuccia, e iniziano a farsi conoscere. Se non hanno saputo arrivare almeno sino a quel punto, dove stavano, con chi si misuravano? Il genio solitario non è mai escluso, ma quando si legge di scrittori ignorati in vita e scoperti dopo la morte, esempio massimo Giuseppe Tomasi di Lampedusa, si vede che in vita frequentavano cenacoli letterari, erano stimati da molti scrittori magari meno bravi e più fortunati di loro, non erano affatto dei selvaggi spuntati dal nulla. Raramente un grande giornalista è arrivato al quotidiano nazionale senza prima aver mostrato le sue qualità sulla gazzetta locale, o addirittura sul bollettino parrocchiale. Chieda ai grandi giornalisti. Le diranno tanti che hanno fatto una lunga gavetta e solo così sono diventati poi notissimi – anche perché far la gavetta vuole dire migliorare lentamente giorno per giorno. Questa persuasione, che gli editori hanno, che di solito è meglio cercare i futuri campioni in palestra, è giusta, e il più delle volte ha funzionato. Quindi, ai giovani che mi chiedono come fare pervenire un loro manoscritto al grande editore, io dico di non bruciare le tappe, e iniziare a farsi conoscere tra quelli che, come loro, scrivono, e pubblicano lentamente le loro prime prove. Potrei aggiungere che io, neppure da giovanissimo, ho mai mandato manoscritti a case editrici. Ho aspettato che un editore, leggendomi altrove, mi abbia proposto di fare qualcosa. È passato del tempo, ma ho sempre sostenuto che se sei caporale devi darti da fare per diventare sergente, senza voler diventare generale di un colpo. Se poi qualcuno dice orgogliosamente che non vuole sottoporsi al giudizio dei suoi pari ma è disponibile solo per il grande editore, e non vuole fare gavette, perché è convinto di avere scritto un capolavoro (e magari è vero) deve anche pagare per il suo legittimo orgoglio, e spesso accontentarsi di avere scritto un capolavoro, anche se gli altri non gli danno retta. Aspetti la riscoperta dei posteri, nella storia è accaduto. Passiamo alle lettere degli editori. Un editore che non risponde all’invio di un manoscritto (anche se qualche tempo dopo, perché abbiamo visto che, se lo fa leggere, gli ci vuole del tempo) è scortese. Un editore che risponde con la formula solita (“i nostri programmi sono già definiti per due anni”), è un editore per bene, e nessuno può lamentarsi se ha fatto il suo lavoro, che è anche quello di respingere almeno l’ottanta per cento delle proposte che gli arrivano. Quanto alla sua richiesta di ricevere almeno un giudizio sincero come “la sua opera è una schifezza”, ho conosciuto redattori editoriali che scrivevano all’autore perché e dove la sua opera non funzionava, invitandoli a rivedere il lavoro, ma di solito ricevevano in cambio lettere di insulti. Una volta è accaduto a me di scrivere almeno tre cartelle di analisi critica per dire a un signore (distinto professionista) perché il suo lavoro non andava bene e cosa avrebbe dovuto fare per migliorarlo, e qualche tempo dopo quel signore mi ha mandato copia di lettera inviata a un celebre brigatista rosso in carcere, dove lo invitava a dire ai suoi compagni a piede libero di punire non solo i loro diretti avversari politici, ma anche i detentori del potere mafioso editoriale (io nella fattispecie). Questo spiega perché è più comodo per l’editore declinare il manoscritto con una lettera cortese senza compromettersi troppo. Inoltre, se non esiste una editoria di stato, come nei paesi sotto dittatura, una casa editrice è una azienda privata e ha il pieno diritto di pubblicare quello che vuole o che ritiene più redditizio (magari non sempre in termini di denaro, ma anche di prestigio). Se sbagliano, peggio per loro. Editori famosi hanno rifiutato opere, di grande valore letterario o di grande successo commerciale, come Via col vento, Il gattopardo, Il Tamburo di latta, Lolita, e via dicendo, mentre altri sono stati più accorti. Un editore francese, tra l’altro carissimo amico e lettore molto fine, mi ha rifiutato Il Nome della Rosa (per carità, non glielo avevo mandato io, semplicemente lo aveva visto in catalogo dall’editore italiano) dicendomi “la balena è troppo grossa e non può funzionare commercialmente”. Invece un suo concorrente l’ha pubblicato, e gli è andata bene. È la vita editoriale. Ci sarebbe un modo per venire incontro all’autore solitario, evitandogli penose trafile? Forse c’è ma, dal secolo XV, quando è stata inventata la stampa, non è stato trovato. È certo che nei secoli hanno trionfato autori pessimi (ma poi i posteri hanno fatto giustizia), e sono stati lasciati cadere nel nulla autori bravissimi. In letteratura non vale il principio della selezione darwiniana, per cui sopravvivono solo i più forti (ma poi anche lì, perché hanno dovuto scomparire i dinosauri, che erano tanto buoni e simpatici?). Però, se ci voltiamo indietro, ci accorgiamo che tanti autori veramente importanti, che ai loro tempi avevano subito vari ostracismi, ci sono rimasti, e quindi si vede che in questa giungla, sia pure col sacrificio di tanti meritevoli innocenti, la vita è andata avanti in modo ragionevole. E se il vicino di casa di Proust fosse stato tanto più bravo di lui e nessuno se ne fosse accorto. Per lui sarebbe tristissimo, per l’umanità basta Proust, e avanza. So che con queste mie considerazioni non l’ho consolata. Ma, quando ero studente, un mio giovane maestro aveva fatto una conferenza intitolata “La filosofia non consola”, e da quel titolo (anche se non ricordo il contenuto) ho imparato molto. Ci sono due modi di consolare: uno è di dare false illusioni, ed è disonesto; l’altro è di spiegare come vanno le cose a questo mondo, così che gli altri, anche se non intendono adattarsi all’andazzo corrente, sappiano almeno come si può reagire.Umberto Eco