mercoledì 22 dicembre 2021
sabato 18 dicembre 2021
Le tre bestie …E la quarta vien da sé. (Settima parte)
La prima parte si può consultare qui
Nel settimo capitolo del Libro di Daniele si trova la descrizione delle tre bestie che si susseguono dopo la visione del Leone. Essendo quest'ultimo una casa zodiacale, contrariamente alle altre tre che sono semplici costellazioni, potrebbe essere inteso dall’Autore del testo come il segno che sarebbe sorto dal mare all’alba dell’equinozio primaverile di una determinata epoca. Avendo già visto in altre circostanze che i capitoli del libro non seguono un solco coerente ne risulta che l’Autore (o gli autori?) a volte descrive vicende umane in uno scenario storico, o pseudo tale, a volte salta a contesti e raffigurazioni cosmiche. Quest’ultima modalità narrativa sembra esser stata applicata alla visione delle quattro bestie del settimo capitolo del Libro . Il segno del Leone entra in scena precessionalmente 10800 anni prima di Cristo, primo segno di quattro che si verticalizzano verso il nord celeste, fino alla stella polare dell’epoca.
La discesa sull’orizzonte locale di Deneb, la stella più luminosa del Cigno, segnava l’inizio della Grande Spaccatura della Via Lattea, quindi Deneb già nel 10000-11000 a.C. faceva da stella polare, ovvero la stella più vicina al polo celeste. Anche dopo che Deneb ha cessato di essere la stella polare, intorno al 9000 a.C., a causa degli effetti della precessione (lenta oscillazione dell’asse terrestre attraverso un ciclo di circa 26 mila anni), il suo posto non è stato occupato fisicamente da nessun'altra stella, pertanto, in virtù della sua luminosità, Deneb deve aver mantenuto il suo carisma per molti altri secoli successivi.
Dov'è finita la stella polare?
Al Louvre è conservata una statua mutilata di Tutankamon nella quale il busto del faraone è ricoperto da una pelle di pantera. Carlo Magno indossava paramenti sacerdotali ammantati di stelle. Nell’Apocalisse di Giovanni il termine viene usato metaforicamente per indicare la Bestia che sale dal mare, in quanto essere ibrido, dalle zampe di orso, dalla bocca di leone e dotata del potere del drago. Tale importante passo quindi non va interpretato banalmente quale indice di una demonicità infera della Pantera, ma al contrario l’immagine della Pantera, data la sua sacralità e importanza, viene usata quale segno dell’universalità della Bestia.
Giovanna
Belli approfondisce con sapienza i significati più nascosti della lingua
ebraica in relazione al nome e all’immaginario della Pantera. Ne deriva una
cabala fonetica spirituale dove si congiunge il senso dell’assopimento a quello
dello spirito divino vivificante. La studiosa ricorda poi come i sacerdoti di
Seth indossassero pelli di Pantera e il rito non era solo funerario e
imbalsamatorio, ma anche per i vivi, di tipo iniziatico. La Pantera appare
connessa quindi con la simbolica dell’Orsa maggiore e con l’apertura del
cammino di risalita e di trasfigurazione verso Osiride. Cristianamente,
l’immagine scritturale dell’alito di Cristo che uccide l’empio è tratta per
analogia anagogica dal soffio del drago, dal ruggito della Pantera
https://wsimag.com/it/cultura/23354-la-pantera
Gli
Evangelisti, pertanto, pongono una nuova unità temporale: l’ultimo emiciclo precessionale, di 12960
anni(10.800 + 2160), che fanno durare fino alla fine dell’Era dei Pesci. Con
Daniele, allora, si introducono quegli elementi temporali di riferimento che,
per la prima volta in ambiente ebraico, spostano l’attenzione sull’ultimo
emiciclo precessionale, quello cioè che rimarrà in voga nel periodo della prima
cristianità. Rispetto all’intervallo di 39.000 anni (Le età dell’Argento e del
Bronzo del Mantanvarah) , si applica la proporzione di un terzo, la stessa che
vale per i ‘sette tempi’ di cui abbiamo già scritto in precedenza. L’intervallo
significativo di un tempo= 6500 anni, diventa così 2160 anni (6500/3).
Di questa nuova proporzione se ne trova traccia alla fine del Vangelo di Giovanni, nella parabola della pesca miracolosa, quando nella rete dei sei pescatori/discepoli vengono trattenuti 153 pesci (153 x 3 = 459; 459 + 30 gradi corrispondenti a Pietro che sta fuori dalla barca = 489). Sembra allora che il Libro di Daniele introduca nuove categorie temporali in sostituzione di quelle adottate nei testi ebraici più antichi, e ad esse faranno costante riferimento gli evangelisti nei loro scritti.
Qui il simbolismo animale è utilizzato quale lingua di sovrascrittura nel senso di modulo per cercare di illustrare il senso cosmico, e quindi panterico, del mistero del male, ma non porta a identificare la pantera quale emblema del male. È piuttosto l’ibrido composto della bestia apocalittica che porta a un'apparenza di “similitudine alla pantera” (topos nell’Apocalisse questo della similitudine quale “metafora narrativa dell’Indicibile”) quale parodia demonica dell’integrità cosmico-panterica di Cristo. Controprova di ciò si ha nel ricorrere dell’emblema fra alcune fra le più nobili famiglie reali e nobiliari della Cristianità europea. Nel sigillo più antico del comune di Rouen domina una
pantera con una stella a sei punte. Plantageneti utilizzano il segno della
pantera, in particolare Enrico II che portava un anello, secondo il racconto
del contemporaneo Gèrald le Cambrien, sul quale erano incise le parole: una
pantera, allusione al motto greco: en to pan (uno, il tutto). Wolfram Von
Eschenbach nel suo Parzifal mostra Gahmuret l’angioino, padre di Parsifall, con
l’insegna della Pantera nera e paragona Lancillotto alla Pantera che farà
nascere il Leone: suo figlio Galaad, il cavaliere perfetto. Anche per il colore
nero va evitato il vizio interpretativo moralistico/ideologico. Si tratta di un
nero analogo a quello del vessillo dei Templari, descritti nello stesso poema
cavalleresco: è il colore dell’Abisso divino, di Dio quale Ombra (Salmo 90).
I Babilonesi
diedero un nome alle costellazioni e le collocarono in posizioni che avevano un
rapporto preciso l’una con l’altra. Molti nomi ci sono familiari: il Toro, i
Gemelli, lo Scorpione, il Sagittario. Ma al posto del Cigno, della Lira e dell’Auriga
essi avevano una Pantera, una Capra e un Vaso.
https://www.astronomia.com/2012/07/23/atlantide-e-lorigine-delle-costellazioni/
Tornando alla locuzione: “Essa calpestava gli altri animali” (Dan 7 : 6), pensiamo che l’Autore intendesse forse dire che la via ascendente rimase un importante riferimento astrale per tutto il tempo in cui il Leone ha occupato il posto degli altri quattro segni zodiacali ai cardini equinoziali e solstiziali, cioè per i successivi otto millenni dei 120 gradi precessionali che precedono la fine dei tempi: uno è il Leone, due il Cancro, tre i Gemelli e quattro il Toro; poi comincerà l’Ariete, l’inizio del riscatto. Secondo questa lettura ripresa anche nell’Apocalisse, che facciamo in tutto e per tutto nostra, negli anni successivi è ancora attivo l’influsso malefico della bestia. E qui, secondo il nostro punto di vista, si sta parlando di quei gradi precessionali amputati dal segno dell’Acquario, il quale appartiene a quella definizione che nel Libro dell'Apocalisse di Giovanni (Ap 17:9.10) viene descritta con le seguenti parole: “ il settimo (re) deve ancora venire e quando arriverà durerà poco”. Quindi l’Acquario durerà meno delle altre età che l’avevano preceduto (‘Cinque sono già passati, uno è quello attuale…’ ). Le dieci corna della bestia, infatti - secondo i versetti del testo ufficiale del relativo paragrafo nel Libro di Daniele - erano diventate sette alle quali se ne aggiunge un’altra, l’ottavo corno, che può essere intesa come la porzione amputata dell’Acquario, proprio perché è più piccolo degli altri (Dan 7:8. "Stavo osservando queste corna, quand'ecco spuntare in mezzo a quelle un altro corno più piccolo...")
A questo punto è bene chiarire che non pretendiamo di imporre la nostra lettura del testo, anche perché, come si può notare, non compaiono ancora contenuti cifrati. Dobbiamo pertanto ammettere il carattere di estrema volatilità di queste nostre chiose, che non hanno maggior valenza di pareri divergenti e non vanno intese - fintanto che non sopraggiunge una corrispondenza numerica - come definitive o più attendibili di altre.
Tornando al testo ufficiale, ci è parsa altresì degna di particolare attenzione la visione dell’ultima creatura dalle fattezze bestiali. All’inizio l’autore afferma che la quarta bestia viene dal mare e segue la pantera con quattro ali e quattro teste. Di questa creatura informe si descrivono le fauci piene zeppe di denti ferrosi. Essa calpestava gli altri animali e – in questo primo profilo - disponeva di dieci corna, poi diventate sette e poi otto; l’ultimo e ottavo corno aveva occhi e bocca assai screanzata con la quale proferiva ogni sorta di bestemmie: e siamo alla fine dell’epoca della tribolazione e dell’abominio, dopo la quale compare un vecchio dalla barba e i capelli bianchi che prenderà il potere per l’eternità.
Dal versetto 17 in avanti (Dan 7: 17-19), il profeta Daniele ripropone immagini già viste, in guisa di ripetizioni, ma stavolta egli sostiene che ‘i quattro esseri’ arrivavano tutti dalla terra e non più dal mare, se quindi quest’ultimo rappresentava l’est equinoziale, la ‘terra’ al suo estremo opposto poteva forse indicare l’ovest, l’equinozio autunnale.Sembra proprio che con questi versetti l’Autore stia riferendosi al moto precessionale che anno dopo anno, seguendo la traiettoria contraria (da ovest, verso est) a quella normale degli altre costellazioni, mostra nel cielo notturno il segno del Leone in transito da ovest .
L’apparente caoticità della narrazione biblica non deve stupire! Abbiamo già visto una modalità simile in altri passaggi del testo di Daniele, dove il racconto cambia repentinamente scenario, senza fornire preamboli o un qualche minimo orientamento temporale, lasciando all’intuito del lettore il compito di ricostruire la struttura e il palcoscenico celeste a cui ci si sta riferendo.
Quando il testo si sofferma sulla quarta bestia, la figura mostruosa dai denti di ferro, aggiunge un particolare emblematico: essa dispone anche di unghie bronzee. Col suo movimento, dopo aver stritolato e mangiato ‘ i rimanenti’ (i rimanenti animali, cioè, le altre costellazioni), la bestiale creatura li calpesta con i piedi. Il fatto che la bestia utilizzi denti di bronzo potrebbe essere un riferimento esplicito all’Età del Bronzo, epoca in cui il mito racconta che la terra veniva combusta dal fuoco; l’Età dell’Argento era appena terminata e perciò siamo a 19.000 anni circa dalla nostra epoca. Secondo quanto appreso finora, i verbi ‘calpestare’ o, ‘passare sopra’, indicherebbero un movimento temporale in avanti, cioè lo scorrere del tempo dominato da quelle particolari figure astrali che fanno da capofila ai quattro cardini colurali; il ‘divorare’ viene spesso inteso simbolicamente come divorare il tempo, far sì che trascorra, ma se questo tempo fa parte di un contesto ciclico misurato sulle oscillazioni dell’asse terrestre ecco che quella fantastica immagine può assumere significato di allegoria. E se allora gli intervalli chiamati ore, minuti o secondi, possono essere considerati figli del tempo, viene facile capire il ruolo dell’insaziabile fagocitatore assunto dal mitico Kronos. Sulle corna della bestia e sulla strana modalità della loro crescita, sostanzialmente non vengono aggiunti ulteriori dettagli e perciò vale quanto detto nella prima interpretazione, ma quando si parla di quest’ultima bestia (Dan 7: 24-25), la chiosa introdotta indica la rappresentazione di un regno diverso da tutti gli altri: “ Le sue dieci corna sono i dieci re che sorgeranno da quel primo regno. Dopo di loro ne sorgerà un altro che abbatterà ben tre dei precedenti.” .
venerdì 19 novembre 2021
L’ obliquità dell’eclittica e gli effetti sul clima. (Parte sesta)
per corrispondere con l'autore: atzorifabio64@gmail.com
La prima parte si può consultare qui
Introduzione Tengo a specificare in modo chiaro e scevro da fraintendimenti, che il moto dell’Obliquità dell’eclittica ha grande importanza nella scansione delle fasi di oscillazione assiale a cui il mito sembra far riferimento. Con ciò, non vogliamo suggerire che gli antichi redattori dei testi fin qui esaminati, conoscessero a puntino i lenti movimenti oscillatori dell’asse terrestre ; tutt’al più possiamo supporre che avessero notato come questa misura variasse nel tempo. I mezzi per farlo li avevano e, quasi sicuramente, perfino molto prima di Enopide di Chio. A questo impercettibile movimento diedero tuttavia un’interpretazione metafisica, valutando con eccessiva disinvoltura, un ipotetico ‘tempo zero’ in cui l’inclinazione di 23 gradi e mezzo sarebbe calata fino a raggiungere la perpendicolarità esatta fra eclittica e asse terrestre, che poi è la sovrapposizione dei due piani rappresentati dall’eclittica e dall’equatore celeste. Avevano quindi immaginato una condizione tale da annullare le differenze fra giorno e notte, azzerando al contempo la discrepanza climatica stagionale e, in definitiva, l’esistenza delle stesse stagioni. Essi pensavano che dopo un tempo di pace ed armonia fosse sopraggiunto un periodo di squilibrio cosmico, lo stesso menzionato in molte profezie fra cui spicca quella di Daniele. La tradizione biblica ha attribuito a questo periodo significati nefasti. L’aumento del caldo estivo o del freddo invernale furono perciò concepiti come tempi di sofferenza, in contrapposizione alla serenità e al benessere, raggiunto nella decaduta Età dell’Oro. In tempi di desolazione, l’uomo avrebbe così dovuto procacciarsi i mezzi per la sopravivenza a costo di inaudite sofferenze. Il mito biblico lo racconta chiaramente già nei primi passi della Genesi, anche se non fa mai cenno alla raffigurazione astronomica che oggi chiamiamo Obliquità dell’eclittica. Siamo in realtà stati noi a formulare quest’associazione, a causa della perfetta corrispondenza fra gli anni indicati dai testi biblici e i gradi, per l’appunto, dell’Obliquità dell’eclittica. Se quindi accettassimo i presupposti della rappresentazione metafisica (mai confermata da evidenze scientifiche) di una terra in rapporto di perfetta ortogonalità col piano dell’equatore celeste, non dovremmo faticare molto per capire quali ragionamenti (la traiettoria delle case zodiacali e quello degli umani) , possono aver portato gli antichi autori dei Testi a concepire la celebre raffigurazione favolistica del tempo in cui 'gli dèi camminavano sulla terra insieme agli uomini'. Attraverso le parole del mito, appare evidente che, per loro, l'eclittica fosse, molto tempo fa, unita all'equatore celeste ed insieme formassero una sola traiettoria comune percorsa sia dalle costellazioni zodiacali, sia dagli uomini.
E dunque, in conclusione, sentiamo di dover ribadire che l'Obliquità dell'eclittica, nei termini che sono propri della nostra epoca, fosse un fenomeno, in senso planetario, sconosciuto agli antichi narratori del mito che peraltro avevano ben rilevato le scadenze millenarie degli effetti che l'oscillazione assiale provocava sul clima e sulla geologia del pianeta.
Sole d'oro e ghiacci d'argento
Nel modello guenoniano, quest’epoca di vertice, in cui l'Obliquità dell'eclittica cresceva da 23,5 a 24,5 gradi, è stata fatta corrispondere al termine dell’Età dell’Argento, che durò 19000 anni dopo la fine di quella aurea. Ciò che si verificò da questo momento in avanti è stato fonte d’ispirazione di racconti mitici in seno a molte culture che, in pratica, mentre i ghiacciai cominciavano a sciogliersi, produssero suggestivi racconti per voce di abili cantori col vizio dell’astronomia, in cui l’umanità veniva falcidiata da leggendari diluvi preceduti da epocali incendi in cui il globo del pianeta prendeva drammaticamente fuoco per mano di dèi distratti, o un po’ imbranati come Fetonte Figura B
Nel grafico da noi proposto nella Figura B, abbiamo messo in evidenza alcune date dei periodi guenoniani, le abbiamo contrassegnate nei punti C, alla fine dell’Età dell’Oro (o primo termine dell’arcaica Età del Sole= Oro), e nel punto D, all’inizio della Nuova Era (quella che ancora deve arrivare, detta dell’Agnello nella tradizione apocalittica evangelica). Può rivelarsi utile a questo proposito provare ad affiancare le varie scale di tipo astronomico (Inclinazione OE), geologico, antropologico e mitologico (Sogno di Nabuccodonosor e scala guenoniana).
Nella Figura D si legge a grandi linee che alla fine dell’Età dell’Argento (scala del ‘MITO’) l’Obliquità dell’eclittica misurava 24° 30’ e il pianeta stava uscendo dalla sua fase più fredda per passare ad una più temperata, nella quale i ghiacci avrebbero cominciato a ritirarsi. Dal punto di vista geologico comincia il processo inverso a quello che ha prodotto la grande glaciazione di Wurm. I successivi 19000 anni di temperature in aumento, anche per il sommarsi di periodi invernali in cui la vicinanza al sole intiepidiva il clima, condussero il nostro pianeta alla situazione climatologica attuale, e ad un’inclinazione assiale di 23° 27’.
Nella
Figura D abbiamo sovrapposto le seguenti scale secondo una linea retta di
valori crescenti che nella Figura B rappresentava un intero ciclo temporale:
a) scala
dell’OE, valori angolari (colore rosso)
b) scala geologica (colore neutro e azzurro)
c) scala
antropologica (colore verde)
d) scala
del mito
e) scala
zodiacale (Ere precessionali di 2160 anni ciascuna)
Nella prima scala (a) abbiamo evidenziato col colore rosso, i
valori dell’inclinazione assiale terrestre; nella seconda (b) l’epoca della
glaciazione di Wurm (colore azzurro) nella sua fase più stabile; nella scala
antropologica (c) abbiamo segnalato con tre cerchietti verdi i risultati di studi accademici che stabiliscono tre date in cui può esser nata l’agricoltura;
seguita dalla scala del ‘Mito’ (d) con le età dell’Oro, dell’Argento e del Bronzo; infine nella scala zodiacale (e)
abbiamo posto in risalto il susseguirsi delle case precessionali, secondo il
moto della precessione degli equinozi. Balza all’occhio come l’intero ciclo di
quasi ottanta mila anni solari comprendesse in misura quasi esatta (ma c’è
voluta l’amputazione mitica della casa dell’Acquario per farle coincidere) la
somma di ben tre cicli precessionali.
La
scala antropologica Rispetto
a questa classificazione, bisogna spendere però due paroline, dacché il
giudizio degli esperti, ai più, non è
sembrato del tutto unanime. Ed in effetti secondo alcune accreditate ricerche,
i primi segni della tecnica di coltivazione agricola andrebbero datati ad oltre
20. 000 anni fa (21.000 a.C.,
secondo la Treccani). Questa interessante datazione - a nostro modestissimo
avviso - non va in conflitto con altre
posizioni dotte che propongono un limite cronologico non superiore ai 10-12000
anni fa. E neppure riteniamo prive di fondamento quelle nozioni scolastiche che
ponevano le origini della fase agricola dell’umanità, nella mezzaluna fertile
(Mesopotamia) in un tempo lontano cinque o seimila anni. Le tre datazioni
risultano altresì equamente attendibili
se si considerano alcuni fattori logici:
a) Datazione
20.000 anni fa. In questa lontana epoca le tecniche di coltivazione avrebbero
potuto svilupparsi in misura sperimentale. Il clima rigido dovuto alla
recente glaciazione wurmiana era di
sicuro una condizione difficile alla quale bisogna aggiunge re però la grande
quantità di terre emerse nell’Europa meridionale, come nel resto del globo e
dal clima temperato di questi luoghi,
resi fruibili per il livello estremamente basso degli oceani.
b)
Datazione 10.000-12.000 anni fa. Questa datazione risulta particolarmente attendibile
se si tiene conto che già da allora le persone si raggruppavano in agglomerati
urbani (prima urbanizzazione: Gerico, Aleppo, Göbekli Tepe) e dovevano
soddisfare una esigente necessità alimentare. Non beneficiano ancora degli
utensili più adatti alla coltivazione e alla preparazione della terra, possono
però contare sulla disponibilità e sulla partecipazione collettiva.
c) Datazione 7000 anni fa. In quest’epoca di grandi regni e grandi sovrani, l’umanità poteva
contare sull’apporto di una tecnologia avanzata e sull’uso appropriato dei
metalliche aprivano la strada a nuove tecniche e utensilerie da lavoro sui
campi, oltreché all’impiego di animali.
In altre parole, si può dire che
nell’Europa continentale, dalla penisola iberica all’area mesopotamica, già 20.000 anni fa l’umanità, nonostante la
recente glaciazione, fosse in grado di
sviluppare una modesta produzione agricola; poteva contare difatti su territori
emersi o sulla fertilità di aree termali abbastanza vaste, come sul lago di Nemi
nel meridione della penisola italica, teatro di antichissime ritualità pagane
legate indiscutibilmente al culto della fertilità. Ce ne fornisce ampia
documentazione James Frazer, nella sua opera più conosciuta, ‘Il ramo d’oro’. Tornando a bomba sulla questione
delle date, e all’interrogativo lasciato in sospeso (Perché da C a b1-b2 si era
accumulato ghiaccio?), cominceremo col dire che l’inclinazione assiale di
38-40.000 anni fa, (stimata su valori quasi sovrapponibili a quelli attuali ma
in crescita, mentre quelli attuali sono in decrescita), cominciò a presentare
un quadro climatico in progressivo ‘raffreddamento’ che circa 13.000 anni dopo (26.000 anni prima di Cristo),
avrebbe dato origine a una fase di stabilità di ulteriori settemila anni,
portando al suo estremo massimo il fenomeno di glaciazione chiamato
‘wurmiano’. Dopo questo evento culminante, l’inclinazione avrebbe cominciato a
invertire la rotta al punto da raggiungere il valore attuale di 23° 27’.
Abbiamo
affermato in precedenza che alla fine dell’Età dell’Oro (che ad esser chiari, è
sempre stato inteso come simbolo solare), avremmo avuto un divario notte giorno
lungo 4 ore (giorno di 10 ore al solstizio d’inverno e 14 ore al solstizio d’estate. E viceversa
per la notte - che sono valori medi rispetto ai limiti calcolati per inclinazione di 22°30’ e di 24° 30’). Dalla fine dell’epoca
aurea, dunque, procedendo in avanti nel tempo geologico e astronomico, la terra, seguendo la sua orbita ellittica,
come accade oggi, a volte si avvicinava al sole (perielio) a volte si
allontanava (afelio), in un ciclo lungo 24000 anni, cosicché quando il
passaggio all’afelio corrispondeva con la stagione fredda (per 12000 anni)
gli inverni diventavano più freddi e le
estati più miti. Evidentemente queste condizioni, si presentarono durante l’Età
dell’Argento, con l’Obliquità dell’eclittica al suo apice, e i ghiacci presero
ad accumularsi ai poli e sugli altipiani, anche a basse quote. Col superamento
del punto b1 l’incidenza delle condizioni opposte produsse via via estati più
calde e più miti inverni, determinando
lo scioglimento lento e progressivo delle riserve di ghiaccio. Secolo dopo
secolo, grazie anche all’inclinazione dell’Obliquità dell’eclittica ancora su
valori alti, la frequenza degli inverni temperati sommati alle estati
roventi cominciò a limitare l’accumulo
di ghiaccio che, dal punto della sua
massima espansione (Wurm), intraprese
una lunga fase di scioglimento,
destinata nel tempo di 20.000 anni circa
a far ridurre dalle banchise artiche le stratificazioni di ghiaccio. E’ ciò che
accade oggi, con la terra al perielio ai primi di gennaio. Fra 12000 anni circa
lo sarà ai primi di luglio. Tuttavia fra 12.000 anni l’Obliquità dell’eclittica
sarà talmente bassa da rendere estati e inverni piuttosto temperati. Fu un
giovane astronomo serbo, Milutin Milankovitch che negli anni Venti del secolo
scorso svelò, anzi per meglio dire, propose la soluzione da noi adottata che
rimane tuttora la più attendibile.
Dal punto b1 di massima inclinazione assiale il mito avrebbe così raccontato della fine dell’Età dell’Argento e avrebbe preso a formulare nuove narrazioni in forma di favole, per spiegare l’avvento di nuovi mutamenti climatici e nuovi panorami. Di particolare interesse, in Sardegna, il toponimo del massiccio del Gennargentu, sul quale si è scritto tanto, lasciando però sostanzialmente irrisolti grossi interrogativi sulle origini del nome e sul periodo in cui sarebbe stato coniato dai locali. Letteralmente il nome Genna Argentu, significa porta d’argento. Fatto insolito per un luogo che non ha mai veduto estrarre dal sottosuolo un solo grammo di questo prezioso minerale, presente in molte altre località dell’isola. Ma non su questo altipiano! Se, come noi pensiamo, questo nome si rifaceva invece all’epoca della glaciazione di Wurm, significherebbe che è antico almeno quanto il tempo in cui, con la denominazione ‘Età dell’Argento’, anche in altre parti del mondo, si alludeva a un’epoca di vaste aree ghiacciate. Oro= Sole/calore, Argento= ghiaccio/freddo. Se dunque l’Età dell’Oro avesse indicato l’Età del sole, e quella del Bronzo un periodo di arsura, non vediamo perché quella dell’Argento non potesse riferirsi a un’età di freddo artico. Col suo termine naturale, il mondo si sarebbe affacciato a una nuova età di trasformazioni, anche e soprattutto climatiche. Le estati, in corrispondenza del passaggio della terra al perielio, presero così vigore e, a partire da 19-20000 anni fa, i ghiacciai incominciarono a sciogliersi lentamente, restituendo al pianeta quel particolare equilibrio destinato, in un futuro tutt’altro che prossimo, ad abbattere il precedente divario climatico stagionale. Con la nuova era di ‘armonia’, e col nuovo ordine climatico privo di grossi sbalzi stagionali e col sole tenuto a debita distanza nella stagione calda, presumibilmente le attività agricole perderanno la loro capacità produttiva e l’umanità dovrà forse rinunciare, a fronte di inaudite sofferenze, all’abbondanza di quella risorsa alimentare. Forse proprio a questa crisi si riferisce il libro dell’Apocalisse di Giovanni.
Conclusioni.
Abbiamo
creduto utile ed opportuno soffermarci sugli aspetti astronomici della questione,
soprattutto perché riteniamo che la tesi avanzata dagli analisti del mito non
riguardi un fenomeno cosmico verificatosi realmente. In sostanza, quando i
racconti del mito arcaico assicurano ( o lasciano intendere) che l’asse
terrestre abbia raggiunto i zero gradi dell’Obliquità dell’eclittica, formulano
un ragionamento dedotto dal fatto – questo sì, forse correttamente valutato –
che l’inclinazione assiale oltre 30.000 anni fa , andasse crescendo fino ad
invertire la rotta al suo culmine massimo, registrato circa 20.000 anni fa, per
poi proseguire la sua lenta oscillazione decrescente per raggiungere l’attuale misura di 23° 27’.
Non ci stupisce, perciò, che gli interpreti del mito arcaico abbiano supposto (
in via del tutto teorica) la condizione di assoluta perpendicolarità dell’asse
terrestre con l’eclittica, alla quale hanno ricostruito il significato
dell’Età dell’Oro. Il dato certo che questo limite fosse mai stato raggiunto,
nessuno però l’ha mai rilevato, né l’avrebbero potuto fare gli antichi
astronomi. La moderna astronomia, supportata da evidenze di carattere
geologico, indica invece che il range di variazione dell’Obliquità
dell’eclittica si è contenuto nelle ultime centinaia di migliaia di anni fra i
valori di 22° 30’ e 24° 30’ circa. Nel linguaggio del mito , avvezzo a
rappresentare una prospettiva superna ben distante da quella umana (“Per i tuoi
occhi, Signore, mille anni sono come un giorno e quattro ore di veglia nella
notte” – Salmo 90) i tempi dell’inclinazione assiale terrestre e gli effetti sul
pianeta, sono stati appiattiti nei celebri racconti di diluvi e incendi
catastrofici . A nostro ponderato avviso, viceversa, appare perfino ovvio che
all’origine delle stagioni e del riscaldamento globale, il livello delle acque
marine, come dentro una immensa vasca da bagno, si sia sollevato
considerevolmente dopo la glaciazione di Wurm , ed è altrettanto ovvio che
tutto ciò sia accaduto lentamente (percezione fisica umana) nel pieno
rispetto dei tempi geologici previsti e calcolati. Nel linguaggio favolistico
del mito, allora, l’inondazione secolare di terre un tempo emerse , può esser
stato concepito come un allagamento di proporzioni planetarie/universali, quale
in effetti fu. L’idea delle catastrofi appare così ai nostri occhi come una
pura congettura mal supportata da elementi probatori di ordine geologico e
astronomico.
Vorremo spingerci ad affermare, a
rifinitura di questo articolo, come il progressivo decremento dell’inclinazione
assiale terrestre (OE) potrebbe portare verosimilmente a una minor differenza
di temperatura fra estati e inverni e
quindi , in virtù di quanto scritto finora su queste pagine digitali, alla
mancanza di stagioni. Anche se, bisogna dire che ciò, in senso assoluto,
potrebbe avvenire solo se l’asse terrestre raggiungesse - irrealisticamente
- la perpendicolarità con l’eclittica. E
dunque, se all’estremo dell’inclinazione assiale dell’Obliquità dell’eclittica,
la tradizione escatologica evangelica aveva idealizzato il ‘tempo del bene
assoluto’, non possiamo scandalizzarci se all’estremo opposto il mito continuò a idealizzare ‘il tempo del male’, o perlomeno
quello della tribolazione cosmica, entro i margini di un concetto ripreso
persino dal Divin Poeta quando racconta dell’inferno come di un luogo freddo,
inospitale e di inaudita sofferenza. Che
i nostri antenati non fossero trogloditi vestiti di pelli grezze e che fossero perfettamente in grado di calcolare
l’inclinazione dell’asse terrestre già da alcuni secoli prima di Cristo, lo
sappiamo con certezza e, proprio come ipotizzato per la questione del ciclo
precessionale, nessuno ci vieta di pensare che , data la semplicità del metodo
di rilevazione (uso dello gnomone), questa abilità fosse stata appresa
dall’uomo e poi perfezionata durante chissà quanti anni, o
forse secoli, prima di Enopide di Chio. Se quindi i nostri ragionamenti sui
numeri contenuti nel Libro di Daniele trovassero ulteriori e più titolate
conferme, dovremmo alfine arrenderci all’evidenza e non potremmo più negare
l’arguzia e il livello di conoscenza scientifica raggiunta da uomini che fino
ad ora avevamo sbrigativamente bollato come primitivi; dovremmo pertanto
cominciare a considerare che essi avessero potuto valutare con sufficiente precisione la
variazione nel tempo dell’asse orbitale del pianeta e correlare ad essa
importanti cambiamenti del clima per poi contrassegnare, col linguaggio del mito arcaico, le
loro conoscenze e le loro ‘profezie’.
domenica 14 novembre 2021
Diluvi, cataclismi ed altre leggende (Quinta parte)
La profezia di Daniele La prima parte qui
La posizione della scienza ufficiale, ovvero, l’ apporto della geologia e dell’antropologia
Oltre le divergenze con le ricerche più
attuali del ramo antropologico, bisogna aggiungere che un cataclisma su ampia
scala, provocato dallo spostamento
repentino dell’asse terrestre non sarebbe potuto rimanere celato alle moderne
indagini geologiche. Secondo gli esperti
di questa disciplina infatti, eventuali precipitazioni e conseguenti diluvi di
portata apocalittica andrebbero correlati a
periodi immediatamente posteriori
alla grande glaciazione di Wurm (che poi prende nomi diversi a seconda
del luogo in cui si è verificata); a quanto registrano le rilevazioni
geologiche, questi periodi di lento intiepidimento del clima, si sono
indiscutibilmente verificati non meno di
quindici-diciassettemila anni prima della Nascita di Cristo.
Secondo l’articolo da noi preso in esame nel link
sopra, piccole variazioni dell’asse terrestre, nell’ordine di un grado ogni
ventimila anni, avrebbero provocato un primo accumulo di ghiacci che, in
seguito a valori in apparenza irrilevanti dell’inclinazione dell’asse terrestre
(24,5°-23,5°), si sarebbero progressivamente ritirati. Fatto curioso è che, in
risposta all’approssimazione del Casella (post precedente), Geologia e
Astronomia vanno a collocare le loro datazioni
(in rapporto all’ultima grande glaciazione di 26000 anni fa), proprio nei periodi più vicini alla versione
mitologica induista e biblica.
Dallo
schemetto (Fig A) che ci siamo presi la briga di realizzare, si evincono limiti
e durata dei vari Yuga dell’ultimo Manvantara
(Renè Guenon . Forme tradizionali e cicli cosmici-Edizioni Mediterranee), e si
possono stimare chiaramente le date di
19000 anni solari precedenti il punto ‘Zero Pesci’ (In pieno Kali Yuga), poste alla fine dell’Età dell’Argento che si
interpone coi suoi 19000 anni fra l’Età dell’Oro e quella del Bronzo e Acciaio
(19000+19000= 38000). Stiamo, ovviamente, parlando della classificazione
guenoniana e non della nomenclatura
ufficiale fornita dagli antropologi per le varie età dell’evoluzione
sociale umana.
Secondo quanto letto finora rispetto le
conclusioni del pur pregevole Andrea Casella, ritengo di poter dire vi siano
nel suo articolo alcuni punti
controversi. Primo fra tutti quello delle date riportate in questo
passaggio: “La condizione aurea venne meno intorno all’anno 4500 a.C. Di questa
tragedia – egli scrive – è rimasto solo un pallido ricordo che narra di un
incendio della terra.” Di quel dramma parla anche la vicenda di Fetonte che ci
giunge da un’epoca lontana, secondo noi ben più lontana da quel ‘4500 a.C’. Non
vi sono infatti riscontri scientifici, o evidenze geologiche di alcun tipo a
conferma di una catastrofe di portata pari a quella ipotizzata dal Casella nel
4500 a.C..
Ho creduto più ragionevole pensare che
queste narrazioni mitiche (Fetonte, Prometeo) abbiano avuto origini assai più
remote, poiché avrebbero potuto far riferimento a fenomeni registrati entro
precisi fasi geologiche, dovute a variazioni climatiche di un certo rilievo
(glaciazione di Wurm) e astronomiche, a loro volta provocate dal lento
movimento di inclinazione assiale terrestre conosciuto come Obliquità
dell’eclittica. Quando certi autori parlano di un tempo in cui equatore celeste
ed piano dell’eclittica corrispondevano perfettamente (grado dell’Obliquità dell’eclittica= 0, non
si era cioè verificata l’inclinazione assiale di 23° e 27’ e la terra ruotava
in perfetto assetto perpendicolare rispetto al sole), pongono come certezza un
dato non realistico, ma metafisico. Una tal perpendicolarità, se mai vi fosse
stata, non si sarebbe certo verificata in epoche recenti (le conseguenze
avrebbero infatti lasciato tracce indelebili ed evidenti all’indagine
geologica) ed è pertanto ovvio che le leggende che parlavano di via ascendente
aperta e di uomini che camminavano con gli dèi, fossero mitizzazioni riferite a
qualcos’altro o , semmai, a un periodo in cui l’asse terrestre avesse
certamente preso un’ inclinazione minore, ma sempre entro i suoi limiti
naturali di 22° e 30’. Che questo fenomeno fosse perciò accaduto appena seimila
anni fa sembra una conclusione del tutto arbitraria coniata dall’articolista di
Axis Mundi. Ciò di cui invece parla l’astronomia moderna, senza lasciare
margini di dubbio alcuno, è che l’asse terrestre, nelle ultime centinaia di
migliaia di anni, ha sempre oscillato
entro margini conosciuti e compresi fra 22,5 e 24,5 gradi in un tempo di circa
40.000 anni solari. Alcuni recenti studi attestano che forse maggiori
inclinazioni possono essersi verificate in precedenza, ma in un tempo di milioni
di anni (addirittura un’ottantina, secondo alcuni studi). Insomma, il livello
della variazione dell’Obliquità dell’eclittica pare esserci stato, sebbene in
misura ridotta; eppure è la stessa
scienza a dichiarare che ciò sarebbe
stato sufficiente a produrre forti mutamenti del clima. In un tempo però
estremamente lento, sia chiaro. A noi tuttavia, basta questo semplice ma
inconfutabile dato per attribuire un senso di scientificità alle parole del mito. Abbiamo cercato così di
verificarne l’ attendibilità trovando, in un approccio alla questione di tipo
multidisciplinare, perfino corrette analogie con le intuizioni di René Guenon e
con la cronologia del cosiddetto ‘ultimo
Manvantarah’. Siamo partiti perciò, da alcune evidenze non suscettibili di interpretazione.
Ciclo dell’Obliquità dell’eclittica: le intuizioni di Renè Guenon
Anzitutto è bene chiarie che il piano dell’eclittica, cioè dell’orbita terrestre attorno al sole, non resta fisso nel tempo a causa di molte perturbazioni e influssi gravitazionali planetari: da qui le variazioni periodiche dell’obliquità nell’ordine di un grado d’inclinazione per ogni 20.000 anni circa. Ciò ne determina una diminuzione progressiva di circa 0”,469 secondi all’anno che la porterà fra circa 9300 anni al suo minimo di 22° 38’. La precisione di queste rilevazioni era pressoché sconosciuta agli ‘astronomi’ di quelle epoche remote, benché il loro intuito si fosse spinto a certificare e registrare nozioni astronomiche estremamente avanzate. Se pure con arrotondamenti e approssimazioni, bisogna rendere merito alla loro superlativa perizia nel trattare, per così dire, gli affari degli déi. Per gli antichi osservatori del cielo, ammesso che avessero effettuato i loro calcoli col necessario zelo, il ciclo completo del fenomeno di variazione dell’inclinazione dell’asse terrestre, si sarebbe spalmato su ben quattro gradi: due di incremento (fino a raggiungere il valore massimo di 24° 30’), e due di decremento/ritorno, dopo i quali le stelle – in un tempo di circa ottantamila anni solari, avrebbero occupato ancora una volta le originarie sedi celesti (Nel linguaggio favolistico: ‘esse sarebbero tornate a casa’). Fig B
Nella Figura B, abbiamo provato a raffigurare il ciclo temporale di questo movimento assiale evidenziando col colore verde un balzo temporale all’indietro di diciannovemila anni , da a a b1, quel tempo cioè che i testi biblici nelle loro scritture apocalittiche hanno chiamato ‘grande tribolazione’ (in realtà la proiezione polare dell’asse terrestre delinea nel cielo un linea curva piuttosto breve e irregolare). Nello spicchio di grafico in azzurro (da b1 a b2), abbiamo segnato un arco di settemila anni solari, ad indicare il periodo in cui avremmo trovato il pianeta prigioniero della morsa impietosa della glaciazione di Wurm, al suo culmine massimo. Il punto b1 corrisponde infatti alla massima inclinazione assiale, stimata oggi intorno al valore di 24° 30’ (leggi 24 gradi e trenta primi). Anche per gli antichi questo dato doveva risultare abbastanza chiaro, benché l’approssimazione di allora non poteva essere migliore di quella rilevata al giorno d’oggi con strumenti tecnologicamente superiori. Nessuno nega l’utilità e l’efficacia dell’apporto tecnologico, ma fin da allora le idee sulla variazione assiale terrestre, dovevano avercele piuttosto chiare!
L’inclinazione dell’ Axis Mundi cambia l’esposizione al calore
Per effetto dell’inclinazione assiale, la terra riceverebbe diverse quantità di calore solare, oltreché di luce. Secondo una diffusa opinione fra studiosi, roba peraltro abbastanza semplice da capire anche per non-specialisti del ramo, il fenomeno dell’inclinazione assiale, modificando l’equilibrio stagionale, andrebbe nei millenni a modificare la climatologia dell’intero pianeta.
Come può determinarsi un simile fenomeno di raffreddamento e riscaldamento globale per effetto di poche ore di calore al giorno?
E’ in realtà la differenza climatica fra estati e inverni a determinare, e ad aver determinato 80.000 anni fa, un primo stadio di stasi climatica, al quale sono seguite, in concomitanza con un altro fenomeno planetario, fasi di progressivo raffreddamento fino alla grande, ultima glaciazione di Wurm, a circa 26000 anni dall’epoca attuale. Ma andiamo con ordine.
Pressappoco sessantamila ani fa l’inclinazione dell’asse terrestre era ben assestata a 22° 30’ (22 gradi e trenta primi circa. Ma si può trovare anche la definizione 22,5° , che è la stessa cosa), in una posizione in cui i raggi solari determinavano giorni e notti piuttosto simili fra loro rispetto ad oggi. Il che non significa che fossero uguali! Non si trattava però, di un orientamento perfettamente perpendicolare fra asse terrestre ed eclittica, a causa della quale, come vorrebbero molti mitografi, le giornate sarebbero state costantemente uguali alle notti con pari irradiazione di luce e ombra per ogni giorno e quindi con una forte corrispondenza delle fasi stagionali, che a questa inclinazione estrema dell’asse terrestre, non sarebbero esistite. A provocare lo sbalzo climatico capace di determinare nette discrepanze climatiche ai cicli stagionali, occorrono perciò variazioni di pochi gradi o – come vedremo in seguito - di poche frazioni di grado di inclinazione assiale. Non è quindi assolutamente necessario che il pianeta si ribalti di ventitré gradi per provocare effetti rilevanti sul clima. In realtà, e qui la scienza si pronuncia in un coro unanime, dopo circa 20.000 anni dal punto di minima inclinazione dell’ Obliquità dell’eclittica (22° 30’), avremmo trovato l’asse terrestre inclinata di circa un grado (cioè a 23° 30’). In cifra goniometrica, è’ pressappoco questa la posizione attuale dell’ asse terrestre che peraltro, differisce dalla precedente (40.000 anni prima aumentava) per il movimento in chiara diminuzione.
Fig C
Mentre nei 20.000 anni successivi all’inclinazione minima, i gradi presero ad aumentare (allora come oggi il giorno differiva da un minimo a un massimo stagionale di quattro ore) attualmente i gradi di inclinazione stanno diminuendo e l’asse terrestre risulta inclinata, come detto, di 23° e 27’. Torniamo dunque al tempo di circa 40.000 anni fa, che nella Figura B abbiamo indicato col punto C, diametralmente opposto ad a. Man mano che i secoli trascorrevano, il divario fra ore diurne e ore notturne si incrementò fino al punto da noi indicato in b2. In sostanza, da C a b2 lo scarto fra giorno e notte si proiettò sulle fasi stagionali ( estate-inverno ) dimodoché a inverni più rigidi corrisposero estati molto calde, in cui, senza l’apporto di altri fattori, l’esposizione solare sarebbe riuscita a sciogliere tutto il ghiaccio accumulato d’inverno. Ma, evidentemente, vi era nella posizione fra terra e sole, un elemento di disturbo che provocò un deciso aumento del freddo sull’intero globo terrestre. Il punto b2, nella figura B, rappresenta per l’appunto il momento geologico di massima espansione della coltre di ghiaccio, noto come glaciazione di Wurm, periodo durato stabilmente per settemila anni (nel grafico in figura B indicato con l’arco b1- b2). Cosa è avvenuto, dunque, nell’intervallo temporale di circa 20.000 anni in cui l’inclinazione assiale si è portata da 23° 30’ a circa 24 gradi e mezzo (24° 30’)? Anzitutto è avvenuto che lo scarto fra durata del giorno e della notte si è incrementato fino a raggiungere livelli massimi. L’incremento della differenza di durata di giorno e notte, significa sostanzialmente che la notte era divenuta sensibilmente più lunga al solstizio d’inverno e così anche il giorno al solstizio d’estate. Erano nate le stagioni! Nonostante ciò l’accumulo di ghiacci raggiunse la sua espansione polare e continentale massima, pertanto dobbiamo dedurre che nel frattempo fosse avvenuto qualche altro evento a modificare l’iniziale condizione di equilibrio. A questo punto, cioè dopo aver raggiunto l’apice (b1 e b2) della scala relativa all’inclinazione assiale, cominciò il ciclo inverso: lo scarto/differenza fra notte e giorno prese a diminuire, le notti nel nostro emisfero iniziarono ad accorciarsi così come le ore diurne, mentre l’asse terrestre, l’Axis Mundi, cominciava una lenta inclinazione dalla parte opposta, in un lentissimo movimento di ritorno che però bisogna relazionare ai tempi in cui la terra, seguendo la sua orbita, passava a volte più vicino al sole (Perielio), a volte più lontano (afelio). In parole povere, dopo l’inclinazione massima di 24° 30’ incominciò il lento movimento di inversione dell’Obliquità dell’eclittica, per cui le estati divennero più calde e gli inverni meno freddi, al punto di cominciare a consumare lo strato di ghiaccio formatosi precedentemente. I dettagli sono ben spiegati nei rapporti del giovane astronomo serbo Milutin Milankovitch, del quale scriveremo più dettagliatamente nelle prossime pagine.
lunedì 1 novembre 2021
Il profeta Daniele alle prese con l'Axis Mundi (Quarta parte)
La perpendicolarità dell'asse terrestre col piano dell'eclittica: reale fenomeno planetario o abbaglio dei mitografi?
Odilon Redon. La caduta di Fetonte
Introduzione
Lo schema del grande fuoco, preceduto dall’equilibrio della fase aurea,
secondo le analisi sviluppate nel sito Axis Mundi, rappresenterebbe i grossi cambiamenti
climatici conseguenti al ciclo
stagionale che a sua volta sarebbe stato provocato dallo spostamento dell’asse
terrestre combinato ad altri minimi fenomeni orbitali, fenomeni tanto ridotti
che gli esperti li hanno ignorati e ritenuto insignificanti per tanto tempo. Una serie di fattori astronomici in stretta concomitanza
fra loro, avrebbe provocato l’alternanza del caldo estivo (il
fuoco del mito, per l’appunto) e del freddo invernale, fattori decisivi per lo
sviluppo dell’agricoltura e della pastorizia. I ritmi delle attività umane si
regoleranno e consolideranno successivamente intorno a questa importante
caratteristica climatica: le stagioni, che forniranno all’uomo la possibilità
di costruire, sull’accumulo delle risorse alimentari, le prerogative della
propria sopravvivenza e del successivo incremento demografico.
Una
catastrofe recente o un abbaglio collettivo?
Ciò che però sembra sfuggire alla nostra perspicacia è il periodo effettivo durante il quale sarebbe realmente avvenuto questo importante stravolgimento climatico e si sarebbe verificato su tutto il pianeta il ben noto fenomeno dell’alternanza stagionale. Andrea Casella e Marco Maculotti, stabiliscono come data di riferimento l’Era dei Gemelli (quando La vergine occupava il coluro soltiziale estivo), indicando pertanto la data (approssimativa) di 4500 anni a.C. E qui i nostri conti, confermati dai numeri riportati nel Libro di Daniele, non paiono in sintonia coi due Autori. Da tener presente, in questo caso, è il fatto che la fine dell’Età dell’Oro sarebbe astronomicamente determinata (secondo gli Autori citati) dallo spostamento della via ascendente che originariamente, cioè durante l’Età dell’Oro, era stata identificata con la Via Lattea. In sostanza, sempre secondo il parere degli Autori in questione, in questo periodo si sarebbe verificata l’inclinazione dell’asse terrestre, fenomeno che l’astronomia ufficiale avrebbe anticipato di parecchio tempo. Secondo noi, invece, non si sarebbe trattato di un movimento rapido, ma casomai lento, corrispondente al fenomeno dell’obliquità dell’eclittica, la cui misura attuale, 23 gradi e 27 primi, si sarebbe potuta calcolare, con le dovute approssimazioni, già diversi secoli prima di Cristo (Enopide di Chio). A rafforzare questa nostra idea, sta il fatto incontestabile che a piccole variazioni dell’inclinazione dell’asse terrestre corrisponderebbero forti cambiamenti climatici. Andiamo comunque, con ordine, andando a ripescare alcuni punti controversi del post su Axis Mundi dal titolo: ‘Il significato dell’Età dell’Oro. Astrea e la caduta di Fetonte’’, a firma di Andrea Casella.
L’Autore comincia la sua
analisi ricordandoci che il mito dell’Età dell’Oro è stato menzionato nei testi
sacri di molte tradizioni, per poi giungere alla nostra epoca per bocca e penna
di poeti e antichi cantori.
PREMESSA. “Tutti i popoli del mondo – scrive il Casella – hanno raccontato come fosse una favola, il mitico Primo Tempo dell’umanità, un periodo di abbondanza e armonia in cui gli déi camminavano sulla terra con gli uomini.” Ancor oggi, nel lessico popolare con questo appellativo si usa indicare un’epoca di fasti, glorie passate e di equilibrio sociale. Anche a nostro avviso, la celebre formula poetica nasconde ‘sotto il velame di versi strani’ ben più concreti contenuti astronomici. Così continua Andrea Casella: “La nostra era, quella dei Pesci, iniziata intorno all’anno zero (Zero Pesci), in precedenza era stata l’Era dell’Ariete e ancor prima, l’Era del Toro (4200 anni a.C.). Circa 6500 anni precedenti la venuta del Cristo, poco prima dell’alba dell’equinozio di primavera avremmo visto splendere nel cielo le stelle del segno dei Gemelli, mentre al solstizio d’estate avremmo potuto ammirare sorgere eliacamente il segno della Vergine (Astrea), all’equinozio autunnale la costellazione del Sagittario e al solstizio d’inverno quella dei Pesci. Erano dunque questi i quattro pilastri che reggevano il mondo quadrangolare degli antichi osservatori del cielo, alla fine dell’Età dell’Oro. Si dice infatti che la Vergine celeste, in quel tempo, camminasse fra gli uomini distribuendo pace e giustizia. Alla fine del penultimo Manvantarah, non a caso Vishnù appare sotto forma di pesce” e , aggiungo io , anche dalle catacombe romane e da scavi effettuati nei dintorni, ci giungono vari reperti che raffigurano animali comuni dotati di coda di pesce.
In genere, gli archeologi non hanno mostrato attenzione per queste lastre di pietra scolpite a mano, forse perché incapaci di fornire una qualche interpretazione. In questo senso, le successive parole del Casella paiono suggerire qualcosa di importante: “Vishnù-pesce annuncia a Satyavrata (Manu) che presto il mondo sarebbe stato sommerso dalle acque (diluvio) e che, per salvarsi, egli avrebbe dovuto rifugiarsi in un’arca (legno di frassino per la mitologia nordica. E qui torna il motivo/simbolo del legno).
Il dato davvero dirimente ce lo forniscono tuttavia De Santillana e la Dechend (paragrafo tratto da Il Mulino di Amleto): ‘Al tempo Zero (è la definizione indicante lo Zep Tepi egiziano) i due cardini equinoziali del mondo erano stati quelli dei Gemelli e del Saggitario, tra i quali si estendeva l’arco della Via Lattea’. L’immagine dell’arco sfavillante della Via Lattea teso fra i cardini equinoziali esprime chiaramente il concetto di via (ascendente e discendente) aperta: ecco perché uomini e dèi potevano incontrarsi! Viene dunque sottolineato come la virtù dell’Età dell’Oro fosse in senso cosmico la coincidenza del punto d’incrocio fra eclittica-equatore celeste e eclittica-Galassia, che raccordavano il nord e il sud del firmamento. “Come detto - prosegue il Casella – la Vergine celeste sorgeva eliacamente al solstizio d’estate portando in mano una spiga di grano (la stella detta Spica è infatti l’astro principale della costellazione) come nunzia della mietitura”. A suo giudizio, pertanto, questa epoca (circa 6000 a.C.) avrebbe visto nascere l’agricoltura; ma questa datazione rimane per noi incerta, perché non risulta confermata da precisi studi di settore (Antropologia, Biologia), nei quali si tende invece a collocare l’origine di questa fondamentale tecnica di coltivazione, intorno a 10-12000 anni fa o , secondo studi più recenti, addirittura a 21000 anni prima di Cristo, e non perciò in corrispondenza dell’ultima Era dei Gemelli.
Leggiamo ancora su Axis
Mundi: “Scrive Robert Graves (nell’introduzione
a I miti greci), meno attento alla
questione delle date: ‘In tutta l’Europa neolitica le credenze religiose erano piuttosto omogenee e tutte basate sul culto della dea madre dai
molti appellativi: L’antichissima relazione fra la Vergine e il Sole, giunge
attraverso i meandri del tempo fino a periodi relativamente recenti,
riversandosi nella dottrina iniziatica dei Misteri Eleusini, con Demetra che
partorisce Dioniso. Ora, è fin troppo noto
che l’Età dell’Oro vide come suo sovrano Kronos-Saturno (figlio di Gaia e di
Urano stellato). I Saturnali potrebbero allora esser stati, più che una
festa antropaica in cui si sovvertivano
i ruoli sociali, una commemorazione di quell’aureo tempo mitico in cui non
c’erano distinzioni tra dèi del
firmamento, uomini della terra e
spiriti. Si potrebbe, a tal proposito, condurre uno studio comparato su tutte
le festività arcaiche, il cui significato primordiale potrebbe essere
soprattutto astronomico e astrologico; significato che in seguito si perse
nell’apparenza di una ritualità dedicata alla vegetazione, all’agricoltura
organizzata, al grano e alla fertilità (Frazer). Risulta alquanto significativa anche la ritualità
degli indiani (d’America) Cherokee
( J. Frazer
. Il ramo d’oro. Pag 585) i quali raccontano di un’antica disperazione umana
per la perdita dei punti cardinali del ‘campo celeste’. Andrea Casella commenta così : “Come si sa, quella
condizione aurea venne meno intorno al
4500 a.C. . Di questa tragedia è rimasto un pallido ricordo che narra di un
incendio della terra.” E di
quello sconquasso parla anche la vicenda di Fetonte. Fetonte convinse un giorno
suo padre, Helios, a lasciargli condurre il suo carro.
Sfortunatamente, durante il tragitto i cavalli si imbizzarrirono, spaventati
dagli animali dello zodiaco e Fetonte finì la sua corsa andando incontro alla
morte, mentre il carro si rovesciava e incendiava tutta la terra.Così Manilio in Astronomica I° ( pg.
748-749): “ Il mondo prese fuoco e in nuove stelle accese chiaro ricordo di suo
fato reca”. Che le peripezie di Fetonte non fossero solo il pretesto per una
storiella moraleggiante lo dimostra anche Platone per bocca di un sacerdote
egizio (Timeo 22c-d) che conversando con Solone rivela: “Ci sono state molte
catastrofi per l’umanità e molte ancora
ve ne saranno, le più grandi dovute al fuoco e all’acqua, altre meno gravi
provocate da infinite cause. Ciò che si racconta per esempio anche da voi e che una volta Fetonte, figlio del Sole,
dopo aver aggiogato il carro del padre
ed essendo incapace di guidarlo lungo il percorso stabilito dal
genitore, fece bruciare tutto ciò che si trovava sulla terra e morì lui stesso
fulminato”. Giustamente Andrea
Casella ricorda che la vicenda di Fetonte si tramanda sotto forma di mito, mentre la verità è che
si dà una deviazione dei corpi che si muovono nel cielo intorno alla terra e
una distruzione di ciò che si trova sulla terra, per un eccesso di fuoco. Ma
cos’è, più precisamente, questo fuoco ? Sembra qualcosa che abbia a che fare
direttamente col cielo. “Questo fuoco , conclude il Casella, non è altro che il
coluro equinoziale di cui abbiamo parlato, corrispondente al cerchio massimo
passante per i poli celesti e i punti equinoziali, e che , nell’Età Dell’Oro,
coincideva con la via Lattea, tenendo uniti saldamente l’Equatore celeste e
l’eclittica. Gli Aztechi consideravano Castore e Polluce, le due stelle
principali della costellazione dei Gemelli, i primi bastoncini da fuoco, quelli
da cui l’umanità aveva imparato come produrre la combustione per sfregamento”. Per Andrea Casella
insomma, tutto sembra abbastanza chiaro,
a patto di considerare che nell’Età dell’Oro, il primo termine dell’arco
equinoziale della via Lattea era posto nei Gemelli.
Tornando al pezzo su Axis Mundi (Approfondimenti su Il fuoco celeste, Kronos, Fetonte e Prometeo) si è dunque visto che nell’Età dell’Oro le tre grandi linee celesti erano unite a costituire l’armatura-asse del mondo. La via che collegava, la terra dei vivi, il cielo e il regno dei morti, era aperta e non vi era distinzione fra uomini in carne ed ossa e immortali. Il problema rimasto insoluto riguarda perciò l’esatta cronologia in cui questa epocale separazione cosmica sarebbe avvenuta, poiché il segno dei Gemelli, quello a noi più prossimo, al quale in tutta evidenza si riferisce il Casella, (cioè al tempo di circa 8000 anni fa o, 6000 anni prima di Cristo.) non sembra trovare conferme nelle soluzioni delle moderne discipline scientifiche.