sabato 18 dicembre 2021

Le tre bestie …E la quarta vien da sé. (Settima parte)

 La prima parte si può consultare qui


      Nel settimo capitolo del Libro di Daniele si trova la descrizione delle tre bestie che si susseguono dopo la visione del Leone. Essendo quest'ultimo una casa zodiacale, contrariamente alle altre tre che sono semplici costellazioni, potrebbe essere inteso dall’Autore del testo come il segno che sarebbe sorto dal mare all’alba dell’equinozio primaverile di una determinata epoca. Avendo già visto in altre circostanze che i capitoli del libro non seguono un solco coerente ne risulta che l’Autore (o gli autori?) a volte descrive vicende umane in uno scenario storico, o pseudo tale, a volte salta a contesti e raffigurazioni cosmiche. Quest’ultima modalità narrativa sembra esser stata applicata alla visione delle quattro bestie del settimo capitolo del Libro . Il segno del Leone entra in scena precessionalmente 10800 anni prima di Cristo, primo segno di quattro che si verticalizzano verso il nord celeste, fino alla stella polare dell’epoca.                                                                                                                                                            


Secondo la versione più diffusa del Testo, la figura con parvenza di leone compare a Daniele quando ancora vigeva  l’amministrazione regale di Baldassar, nel primo anno del suo regno. Poniamo perciò che nel passo in questione l’alba dell’equinozio primaverile  fosse dominata/preceduta dal segno del Leone. Il testo  non si riferisce in questo caso a un momento storico che, come sappiamo, ai tempi di Daniele, cioè cinquecentocinquant’anni  anni prima di Cristo, era rappresentato precessionalmente dall’Ariete. Ma il ‘leone che viene dal mare’, viene dopo un, non meglio precisato, ‘scompiglio’ provocato dai quattro venti. E già questi pochi versi rivelano sottilmente una prima fase di un epocale fenomeno in cui i vecchi riferimenti astrali vengono, per così dire, smarriti. Annoto per gli interessati, alcune fra le teorie catastrofiste più gettonate del momento, premettendo che le nostre analisi non si conciliano con nessuna di esse. C'è infatti chi sostiene la possibilità che la terra abbia subito l'impatto con un meteorite, mentre altri studiosi si attengono alla più plausibile tesi dello sbalzo dell'asse terrestre, con temporanea perdita della regolarità del moto assiale.  In entrambi i casi si fa riferimento a effetti cataclismatici ai quali tuttavia mancano prove decisive di carattere geologico . A noi sembra invece evidente che la terra e il proprio asse abbiano continuato a girare regolarmente, mentre ciò che ha destato lo stupore e lo sconforto degli antichi osservatori del cielo può esser stato , verosimilmente, la mancanza di una percezione visiva della polare, un fenomeno dovuto proprio allo spostamento regolare e continuo dell'asse terrestre sulle traiettorie che conosciamo perfettamente e che vengono ben spiegate e illustrate  in questo dettagliato articolo.
Come precisato poc’anzi, l’autore non si riferisce ai tempi degli uomini ma, semmai, a quelli degli déi. Per azzardare un termine cronologico, o una datazione , potremmo dire che il lettore viene catapultato all’inizio di un ciclo molto particolare, caratterizzato dallo ‘smarrimento dei riferimenti astrali’. Per capire cosa intendesse dire il testo, con questa singolare espressione, abbiamo ritenuto utile riportare l’idea di Andrew Collins, autore di Gobekli Tepe: Genesis of the Gods: The Temple of the Watchers and the Discovery of Eden.  Nel suo libro Collins sostiene che intorno all’ 11000 a.C. Vega si era spostata fuori dalla portata del polo celeste e che non fu sostituita da nessuna stella luminosa per diverse migliaia di anni. Questo significa che quando Göbekli Tepe è stato costruito, tra il 9500 e il 9000 a.C., non c’era Stella Polare, o meglio, la stella polare non sarebbe stata un astro luminoso ed facilmente visibile, come nelle epoche precedenti. E’ per questo motivo che Deneb, e la Grande Spaccatura della Via Lattea, hanno conservato, per gli sciamani di Göbekli Tepe, la loro importanza come il principale punto di ingresso nel mondo del cielo. I menhir eretti nelle sezioni nord-nord-ovest delle mura in due recinti chiave a Göbekli Tepe portavano grandi buchi che incorniciavano la posizione di Deneb ogni notte, mettendo in evidenza il significato della stella per i costruttori di Gobekli, e mostrando la direzione precisa in cui lo sciamano doveva accedere al mondo del cielo. Se pertanto per i sacri sciamani la stella di riferimento polare rimase per tanti anni Deneb, in sostituzione della stella polare smarrita (cioè, come dice il Collins, non più evidente e luminosa come le altre) possiamo credere che lo fosse anche per altri popoli che attribuirono a quell’astro un carisma tale da rappresentarlo nelle loro narrazioni mitiche. E sotto quella forma dev’essere giunto all’autore del Libro di Daniele che probabilmente con la descrizione delle quattro bestie (che sono costellazioni allineate sulla via di accesso al cielo) intendeva fornire una demarcazione temporale ben precisa, quella di 10800 anni prima di Cristo.

   La discesa sull’orizzonte locale di Deneb, la stella più luminosa del Cigno, segnava l’inizio della Grande Spaccatura della Via Lattea, quindi Deneb già nel 10000-11000 a.C.  faceva da stella polare, ovvero la stella più vicina al polo celeste. Anche dopo che Deneb ha cessato di essere la stella polare, intorno al 9000 a.C., a causa degli effetti della precessione (lenta oscillazione dell’asse terrestre attraverso un ciclo di circa 26 mila anni), il suo posto non è stato occupato fisicamente da nessun'altra stella, pertanto, in virtù della sua luminosità, Deneb deve aver mantenuto il suo carisma per molti altri secoli successivi.

L'illustrazione è tratta dal sito di Adriano Gaspani Due passi nel mistero

In precedenza il ruolo di Stella Polare era occupato da Vega nella costellazione della Lyra. Quando intorno al 10000 a.C. Deneb si spostò  fuori dalla portata del polo celeste, non fu sostituita da nessuna stella luminosa per diverse migliaia di anni. Questo significa che quando Göbekli Tepe venne edificato, tra il 9500 e il 9000 a.C. (O perfino prima), non c’era Stella Polare. E’ per questo motivo che Deneb, e la Grande Spaccatura della Via Lattea, hanno conservato la loro importanza come il principale punto di ingresso nel mondo del cielo
                                                                       

                                                                                                                                                                                                                                              fig 2  Il cielo dell'emisfero nord il 22 settembre 2021 

   Dov'è finita la stella polare? 

   Nella mitologia Babilonese (ma anche presso gli egiziani) la linea immaginaria Leone-Orsa-Pantera ( Fig 2)  indicava  la via ascendente seguita dalle anime nella loro risalita al cielo. Forse per questo al leone vengono ‘strappate le ali e dato un cuore di uomo’. 

   La simbologia potrebbe indicare che la via ascendente privilegiata durante l’Età del Leone (10.800 anni a.C.) ad un certo punto risulta sbarrata (). E qui , a nostro avviso, si tratterebbe di capire a quale evento astrale/astronomico si faccia riferimento. Noi proponiamo la medesima soluzione adottata dal Collins, ovvero, quella dell’improvviso ‘smarrimento’ della polare (La posizione polare era cioè occupata da costellazioni poco luminose, le quali non rappresentavano degnamente l’importanza del riferimento polare. Deneb, stella alfa del Cigno/Pantera, si prestava assai meglio a sostituire l’astro ‘mancante’ nel periodo successivo all’11.000 a.C., tanto più che alloggiava comodamente entro il fascio scintillante della Via Lattea) . Secondo questa linea, quella puntata verso il nord celeste, si incontra la costellazione della Grande Orsa divoratrice di carne. L’orsa ha tre costole in bocca e il fatto che divorasse carne indica forse che essa si cibava di tempo. Segue la figura del Drago e dopo ancora la Pantera, in altre culture conosciuta come Cigno, all’estremo nord. Nei passaggi successivi, quelli che descrivono la quarta bestia,  non si può ignorare l’analogia con la bestia  dell’Apocalisse di Giovanni che disponeva di zampe di orso, bocca di leone e potere del drago. La costellazione del Drago, a ben vedere,  è posta esattamente sulla direttiva sud-nord, prima di quella  del Cigno-Pantera e ci fa pensare – dietro imbeccata di vari autori - che l’immagine della Pantera fosse  usata quale segno bipolare dell’universalità della bestia. L’introduzione della figura della Pantera, che abbiamo visto connessa al Drago, ci fornisce forse la data dell’orologio temporale e l’epoca esatta di cui parla il Libro di Daniele.  Nella descrizione della pantera con quattro ali e quattro teste, si richiama forse il momento/tempo in cui la via ascendente era caratterizzata nei coluri equinoziali e solstiziali dalle quattro costellazioni: Leone all’equinozio primaverile, Toro al solstizio estivo, Acquario all’equinozio autunnale e Scorpione/Aquila al solstizio invernale.                                     
uomo/Acquario=Matteo; Leone = Marco; Bue/Toro = Luca; Aquila/Scorpione= Giovanni       

Al Louvre è conservata una statua mutilata di Tutankamon nella quale il busto del faraone è ricoperto da una pelle di pantera. Carlo Magno indossava paramenti sacerdotali ammantati di stelle. Nell’Apocalisse di Giovanni il termine viene usato metaforicamente per indicare la Bestia che sale dal mare, in quanto essere ibrido, dalle zampe di orso, dalla bocca di leone e dotata del potere del drago. Tale importante passo quindi non va interpretato banalmente quale indice di una demonicità infera della Pantera, ma al contrario l’immagine della Pantera, data la sua sacralità e importanza, viene usata quale segno dell’universalità della Bestia.                                   

   Giovanna Belli approfondisce con sapienza i significati più nascosti della lingua ebraica in relazione al nome e all’immaginario della Pantera. Ne deriva una cabala fonetica spirituale dove si congiunge il senso dell’assopimento a quello dello spirito divino vivificante. La studiosa ricorda poi come i sacerdoti di Seth indossassero pelli di Pantera e il rito non era solo funerario e imbalsamatorio, ma anche per i vivi, di tipo iniziatico. La Pantera appare connessa quindi con la simbolica dell’Orsa maggiore e con l’apertura del cammino di risalita e di trasfigurazione verso Osiride. Cristianamente, l’immagine scritturale dell’alito di Cristo che uccide l’empio è tratta per analogia anagogica dal soffio del drago, dal ruggito della Pantera

https://wsimag.com/it/cultura/23354-la-pantera

 


Gli Evangelisti, pertanto, pongono una nuova unità temporale:  l’ultimo emiciclo precessionale, di 12960 anni(10.800 + 2160), che fanno durare fino alla fine dell’Era dei Pesci. Con Daniele, allora, si introducono quegli elementi temporali di riferimento che, per la prima volta in ambiente ebraico, spostano l’attenzione sull’ultimo emiciclo precessionale, quello cioè che rimarrà in voga nel periodo della prima cristianità. Rispetto all’intervallo di 39.000 anni (Le età dell’Argento e del Bronzo del Mantanvarah) , si applica la proporzione di un terzo, la stessa che vale per i ‘sette tempi’ di cui abbiamo già scritto in precedenza. L’intervallo significativo di un tempo= 6500 anni, diventa così 2160 anni (6500/3).

Di questa nuova proporzione se ne trova traccia alla fine del Vangelo di Giovanni, nella parabola della pesca miracolosa, quando nella rete dei  sei pescatori/discepoli vengono trattenuti   153 pesci (153 x 3 = 459; 459 + 30 gradi corrispondenti a Pietro che sta fuori dalla barca =  489). Sembra allora che il Libro di Daniele introduca nuove categorie temporali  in sostituzione di quelle adottate nei testi ebraici più antichi, e ad esse faranno costante riferimento gli evangelisti nei loro scritti.

Qui il simbolismo animale è utilizzato quale lingua di sovrascrittura nel senso di modulo per cercare di illustrare il senso cosmico, e quindi panterico, del mistero del male, ma non porta a identificare la pantera quale emblema del male. È piuttosto l’ibrido composto della bestia apocalittica che porta a un'apparenza di “similitudine alla pantera” (topos nell’Apocalisse questo della similitudine quale “metafora narrativa dell’Indicibile”) quale parodia demonica dell’integrità cosmico-panterica di Cristo. Controprova di ciò si ha nel ricorrere dell’emblema fra alcune fra le più nobili famiglie reali e nobiliari della Cristianità europea.  Nel sigillo più antico del comune di Rouen domina una pantera con una stella a sei punte. Plantageneti utilizzano il segno della pantera, in particolare Enrico II che portava un anello, secondo il racconto del contemporaneo Gèrald le Cambrien, sul quale erano incise le parole: una pantera, allusione al motto greco: en to pan (uno, il tutto). Wolfram Von Eschenbach nel suo Parzifal mostra Gahmuret l’angioino, padre di Parsifall, con l’insegna della Pantera nera e paragona Lancillotto alla Pantera che farà nascere il Leone: suo figlio Galaad, il cavaliere perfetto. Anche per il colore nero va evitato il vizio interpretativo moralistico/ideologico. Si tratta di un nero analogo a quello del vessillo dei Templari, descritti nello stesso poema cavalleresco: è il colore dell’Abisso divino, di Dio quale Ombra (Salmo 90).  

   I Babilonesi diedero un nome alle costellazioni e le collocarono in posizioni che avevano un rapporto preciso l’una con l’altra. Molti nomi ci sono familiari: il Toro, i Gemelli, lo Scorpione, il Sagittario. Ma al posto del Cigno, della Lira e dell’Auriga essi avevano una Pantera, una Capra e un Vaso.

https://www.astronomia.com/2012/07/23/atlantide-e-lorigine-delle-costellazioni/

 

  Tornando alla locuzione: “Essa calpestava gli altri animali” (Dan 7 : 6), pensiamo che l’Autore intendesse forse dire che la via ascendente rimase un importante riferimento astrale per tutto il tempo in cui il Leone ha occupato il posto degli altri quattro segni zodiacali ai cardini equinoziali e solstiziali, cioè per i successivi otto millenni dei 120 gradi  precessionali che precedono la fine dei tempi: uno è il Leone, due il Cancro, tre i Gemelli e quattro il Toro; poi comincerà l’Ariete, l’inizio del riscatto. Secondo questa lettura ripresa anche nell’Apocalisse, che facciamo in tutto e per tutto nostra, negli anni successivi è ancora attivo l’influsso malefico della bestia. E qui, secondo il nostro punto di vista, si sta parlando di quei gradi precessionali amputati dal segno dell’Acquario, il quale appartiene a quella definizione che nel Libro dell'Apocalisse di Giovanni (Ap 17:9.10) viene descritta con le seguenti parole: “ il settimo (re) deve ancora venire e quando arriverà durerà poco”. Quindi l’Acquario durerà meno delle altre età che l’avevano preceduto (‘Cinque sono già passati, uno è quello attuale…’ ). Le dieci corna della bestia, infatti - secondo i versetti del testo ufficiale del relativo paragrafo nel Libro di Daniele - erano diventate sette  alle quali se ne aggiunge un’altra, l’ottavo corno, che può essere intesa come la porzione amputata dell’Acquario, proprio perché è più piccolo degli altri (Dan 7:8. "Stavo osservando queste corna, quand'ecco spuntare in mezzo a quelle un altro corno più piccolo...")

Illustrazione di Hans Holbein il Giovane

 A questo punto è bene chiarire  che non pretendiamo di imporre la nostra lettura del testo, anche perché, come si può notare, non compaiono ancora contenuti cifrati. Dobbiamo pertanto ammettere il carattere di estrema volatilità di queste nostre chiose, che non hanno maggior valenza di pareri divergenti  e non vanno intese - fintanto che non sopraggiunge una corrispondenza numerica - come definitive o più attendibili di altre. 

  Tornando al testo ufficiale, ci è parsa altresì degna di particolare attenzione  la visione dell’ultima creatura dalle fattezze bestiali. All’inizio l’autore afferma che la quarta bestia viene dal mare e segue la pantera con quattro ali e quattro teste. Di questa  creatura informe si descrivono le fauci piene zeppe di denti ferrosi. Essa calpestava gli altri animali e – in questo primo profilo - disponeva di dieci corna, poi diventate sette e poi otto; l’ultimo e ottavo corno aveva occhi e bocca assai screanzata con la quale proferiva ogni sorta di bestemmie: e siamo alla fine dell’epoca della tribolazione e dell’abominio,  dopo la quale compare un vecchio dalla barba e i capelli bianchi che prenderà il potere per l’eternità.       

Dal versetto 17 in avanti (Dan 7: 17-19), il profeta Daniele ripropone immagini già viste, in guisa di ripetizioni, ma stavolta egli sostiene che  ‘i quattro esseri’  arrivavano tutti dalla terra e non più dal mare, se quindi quest’ultimo rappresentava l’est equinoziale, la ‘terra’ al suo estremo opposto poteva forse indicare l’ovest, l’equinozio autunnale.Sembra proprio che con questi versetti l’Autore stia riferendosi al moto precessionale che anno dopo anno, seguendo la traiettoria contraria (da ovest, verso est) a quella normale degli altre costellazioni, mostra nel cielo notturno il segno del Leone in transito da ovest .

 L’apparente caoticità della narrazione biblica non deve stupire! Abbiamo già visto una modalità simile in altri passaggi del testo di Daniele, dove  il racconto cambia repentinamente scenario, senza fornire preamboli o un qualche minimo orientamento temporale, lasciando all’intuito del lettore il compito di ricostruire la struttura e il palcoscenico celeste a cui ci si sta riferendo. 

 Quando il testo  si sofferma sulla quarta bestia, la figura mostruosa dai denti di ferro, aggiunge un particolare emblematico: essa dispone  anche di unghie bronzee. Col suo movimento, dopo aver stritolato e mangiato ‘ i rimanenti’ (i rimanenti animali, cioè, le altre costellazioni), la bestiale creatura li calpesta con i piedi.  Il fatto che la bestia utilizzi denti di bronzo potrebbe essere un riferimento esplicito all’Età del Bronzo, epoca in cui il mito racconta che la terra veniva combusta dal fuoco; l’Età dell’Argento era appena terminata e perciò siamo a 19.000 anni circa dalla nostra epoca. Secondo quanto appreso finora, i verbi ‘calpestare’ o, ‘passare sopra’, indicherebbero un movimento temporale in avanti, cioè lo scorrere del tempo dominato da quelle particolari  figure astrali che fanno da capofila ai quattro cardini colurali; il ‘divorare’ viene spesso inteso simbolicamente come divorare il tempo, far sì che trascorra, ma se questo tempo fa parte di un contesto ciclico misurato sulle oscillazioni dell’asse terrestre ecco che quella fantastica immagine può assumere significato di allegoria. E se allora gli intervalli chiamati ore, minuti o secondi, possono essere considerati figli del tempo, viene facile capire il ruolo dell’insaziabile fagocitatore assunto dal mitico  Kronos. Sulle corna della bestia e sulla strana modalità della loro crescita, sostanzialmente non vengono aggiunti ulteriori dettagli e perciò vale quanto detto nella prima interpretazione, ma quando si parla di quest’ultima bestia (Dan 7: 24-25), la chiosa introdotta  indica la rappresentazione di un regno diverso da tutti gli altri Le sue dieci corna sono i dieci re che sorgeranno da quel primo regno. Dopo di loro ne sorgerà un altro che abbatterà ben tre dei precedenti.” .   

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domenica 14 novembre 2021

Diluvi, cataclismi ed altre leggende (Quinta parte)

             

 La profezia di Daniele  La prima parte qui

 La posizione della scienza ufficiale, ovvero, l’ apporto della geologia e                      dell’antropologia

   Oltre le divergenze con le ricerche più attuali del ramo antropologico, bisogna aggiungere che un cataclisma su ampia scala,  provocato dallo spostamento repentino dell’asse terrestre non sarebbe potuto rimanere celato alle moderne indagini  geologiche. Secondo gli esperti di questa disciplina infatti, eventuali precipitazioni e conseguenti diluvi di portata apocalittica andrebbero correlati a  periodi immediatamente posteriori  alla grande glaciazione di Wurm (che poi prende nomi diversi a seconda del luogo in cui si è verificata); a quanto registrano le rilevazioni geologiche, questi periodi di lento intiepidimento del clima, si sono indiscutibilmente verificati  non meno di quindici-diciassettemila anni prima della Nascita di Cristo.

 Secondo l’articolo da noi preso in esame nel link sopra, piccole variazioni dell’asse terrestre, nell’ordine di un grado ogni ventimila anni, avrebbero provocato un primo accumulo di ghiacci che, in seguito a valori in apparenza irrilevanti dell’inclinazione dell’asse terrestre (24,5°-23,5°), si sarebbero progressivamente ritirati. Fatto curioso è che, in risposta all’approssimazione del Casella (post precedente), Geologia e Astronomia vanno a collocare le loro datazioni  (in rapporto all’ultima grande glaciazione di 26000 anni fa),  proprio nei periodi più vicini alla versione mitologica induista e biblica.

Dallo schemetto (Fig A) che ci siamo presi la briga di realizzare, si evincono limiti e durata dei vari Yuga dell’ultimo Manvantara (Renè Guenon . Forme tradizionali e cicli cosmici-Edizioni Mediterranee), e si possono stimare  chiaramente le date di 19000 anni solari precedenti il punto ‘Zero Pesci’ (In pieno Kali Yuga),  poste alla fine dell’Età dell’Argento che si interpone coi suoi 19000 anni fra l’Età dell’Oro e quella del Bronzo e Acciaio (19000+19000= 38000). Stiamo, ovviamente, parlando della classificazione guenoniana e non della nomenclatura  ufficiale fornita dagli antropologi per le varie età dell’evoluzione sociale umana.         

https://scienzapertutti.infn.it/chiedi-allesperto/tutte-le-risposte/1918-0417-come-varia-l-inclinazione-terrestre-nel-tempo  

    Secondo quanto letto finora rispetto le conclusioni del pur pregevole Andrea Casella, ritengo di poter dire vi siano nel suo articolo alcuni punti  controversi. Primo fra tutti quello delle date riportate in questo passaggio: “La condizione aurea venne meno intorno all’anno 4500 a.C. Di questa tragedia – egli scrive – è rimasto solo un pallido ricordo che narra di un incendio della terra.” Di quel dramma parla anche la vicenda di Fetonte che ci giunge da un’epoca lontana, secondo noi ben più lontana da quel ‘4500 a.C’. Non vi sono infatti riscontri scientifici, o evidenze geologiche di alcun tipo a conferma di una catastrofe di portata pari a quella ipotizzata dal Casella nel 4500 a.C..

   Ho creduto più ragionevole pensare che queste narrazioni mitiche (Fetonte, Prometeo) abbiano avuto origini assai più remote, poiché avrebbero potuto far riferimento a fenomeni registrati entro precisi fasi geologiche, dovute a variazioni climatiche di un certo rilievo (glaciazione di Wurm) e astronomiche, a loro volta provocate dal lento movimento di inclinazione assiale terrestre conosciuto come Obliquità dell’eclittica. Quando certi autori parlano di un tempo in cui equatore celeste ed piano dell’eclittica corrispondevano perfettamente  (grado dell’Obliquità dell’eclittica= 0, non si era cioè verificata l’inclinazione assiale di 23° e 27’ e la terra ruotava in perfetto assetto perpendicolare rispetto al sole), pongono come certezza un dato non realistico, ma metafisico. Una tal perpendicolarità, se mai vi fosse stata, non si sarebbe certo verificata in epoche recenti (le conseguenze avrebbero infatti lasciato tracce indelebili ed evidenti all’indagine geologica) ed è pertanto ovvio che le leggende che parlavano di via ascendente aperta e di uomini che camminavano con gli dèi, fossero mitizzazioni riferite a qualcos’altro o , semmai, a un periodo in cui l’asse terrestre avesse certamente preso un’ inclinazione minore, ma sempre entro i suoi limiti naturali di 22° e 30’. Che questo fenomeno fosse perciò accaduto appena seimila anni fa sembra una conclusione del tutto arbitraria coniata dall’articolista di Axis Mundi. Ciò di cui invece parla l’astronomia moderna, senza lasciare margini di dubbio alcuno, è che l’asse terrestre, nelle ultime centinaia di migliaia di anni,  ha sempre oscillato entro margini conosciuti e compresi fra 22,5 e 24,5 gradi in un tempo di circa 40.000 anni solari. Alcuni recenti studi attestano che forse maggiori inclinazioni possono essersi verificate in precedenza, ma in un tempo di milioni di anni (addirittura un’ottantina, secondo alcuni studi). Insomma, il livello della variazione dell’Obliquità dell’eclittica pare esserci stato, sebbene in misura ridotta; eppure  è la stessa scienza  a dichiarare che ciò sarebbe stato sufficiente a produrre forti mutamenti del clima. In un tempo però estremamente lento, sia chiaro. A noi tuttavia, basta questo semplice ma inconfutabile dato per attribuire un senso di scientificità  alle parole del mito. Abbiamo cercato così di verificarne l’ attendibilità trovando, in un approccio alla questione di tipo multidisciplinare, perfino corrette analogie con le intuizioni di René Guenon e con la  cronologia del cosiddetto ‘ultimo Manvantarah’. Siamo partiti perciò, da alcune evidenze  non suscettibili di interpretazione.                           

                    Ciclo dell’Obliquità dell’eclittica: le intuizioni di Renè Guenon

   Anzitutto è bene chiarie che il piano dell’eclittica, cioè dell’orbita terrestre attorno al sole, non resta fisso nel tempo a causa di molte perturbazioni e influssi gravitazionali planetari: da qui le variazioni periodiche dell’obliquità  nell’ordine di un grado d’inclinazione per ogni 20.000 anni circa. Ciò ne determina una diminuzione progressiva di circa 0”,469 secondi all’anno che la porterà fra circa 9300 anni al suo minimo di 22° 38’. La precisione di queste rilevazioni era pressoché sconosciuta agli ‘astronomi’ di quelle epoche remote, benché il loro intuito si fosse spinto a certificare e registrare nozioni astronomiche estremamente avanzate. Se pure con arrotondamenti e approssimazioni, bisogna rendere merito alla loro superlativa perizia nel trattare, per così dire,  gli affari degli déi. Per gli antichi osservatori del cielo, ammesso che avessero effettuato i loro calcoli col necessario zelo, il ciclo completo  del fenomeno di variazione dell’inclinazione dell’asse terrestre, si sarebbe spalmato su ben quattro gradi: due di incremento (fino a raggiungere il valore massimo di 24° 30’), e due di decremento/ritorno, dopo i quali le stelle – in un tempo di circa ottantamila anni solari, avrebbero occupato ancora una volta le originarie sedi celesti (Nel linguaggio favolistico: ‘esse sarebbero tornate a casa’).                                                                                                                                                          Fig B

Nella Figura B, abbiamo provato a raffigurare il ciclo temporale di questo movimento assiale evidenziando col colore verde un balzo temporale all’indietro di diciannovemila anni , da a a b1, quel tempo cioè che i testi biblici nelle loro scritture apocalittiche hanno chiamato ‘grande tribolazione’  (in realtà la proiezione polare dell’asse terrestre  delinea nel cielo un linea curva piuttosto breve e irregolare). Nello spicchio di grafico in azzurro (da b1 a b2),  abbiamo segnato un  arco di settemila anni solari, ad indicare il periodo in cui avremmo trovato il pianeta prigioniero della morsa  impietosa della glaciazione di Wurm, al suo culmine massimo. Il punto b1 corrisponde infatti alla massima inclinazione assiale,  stimata oggi intorno al valore  di 24° 30’ (leggi 24 gradi e trenta primi). Anche per gli antichi questo dato doveva risultare abbastanza chiaro, benché l’approssimazione di allora non poteva essere migliore di quella rilevata al giorno d’oggi con strumenti tecnologicamente superiori. Nessuno nega l’utilità e l’efficacia dell’apporto tecnologico, ma fin da allora le idee sulla variazione assiale terrestre, dovevano avercele piuttosto chiare! 

                  L’inclinazione dell’ Axis Mundi cambia l’esposizione al calore 

   Per effetto dell’inclinazione assiale, la terra riceverebbe diverse quantità di calore solare, oltreché di luce. Secondo una diffusa opinione fra studiosi, roba peraltro abbastanza semplice da capire anche per non-specialisti del ramo, il fenomeno dell’inclinazione assiale, modificando l’equilibrio stagionale, andrebbe nei millenni a modificare la climatologia dell’intero pianeta. 

    Come può determinarsi un simile fenomeno di raffreddamento e  riscaldamento globale per effetto di poche ore di calore al giorno? 

E’ in realtà la differenza climatica fra estati  e inverni a determinare, e ad aver determinato 80.000 anni fa, un primo stadio di stasi climatica, al quale sono seguite, in concomitanza con un altro fenomeno planetario, fasi di progressivo raffreddamento fino alla grande, ultima glaciazione di Wurm, a circa 26000 anni dall’epoca attuale. Ma andiamo con ordine.  

    Pressappoco sessantamila ani fa  l’inclinazione dell’asse terrestre  era ben assestata a 22° 30’ (22 gradi e trenta primi circa. Ma si può trovare anche la definizione  22,5° , che è la stessa cosa), in una  posizione in cui i raggi solari determinavano giorni e notti piuttosto simili fra loro rispetto ad oggi. Il che non significa che fossero uguali! Non si trattava però, di un orientamento perfettamente perpendicolare fra asse terrestre ed eclittica, a causa della quale, come vorrebbero molti mitografi,  le giornate sarebbero state costantemente uguali alle notti con pari irradiazione di luce e ombra per ogni giorno e quindi con una forte corrispondenza delle fasi stagionali, che a questa inclinazione estrema dell’asse terrestre, non sarebbero esistite. A provocare lo sbalzo climatico capace di determinare nette discrepanze climatiche ai cicli stagionali, occorrono perciò variazioni di pochi gradi o – come vedremo in seguito -  di poche frazioni di grado di inclinazione assiale. Non è quindi assolutamente necessario che il pianeta si ribalti di ventitré gradi per provocare effetti rilevanti  sul clima. In realtà, e qui la scienza si pronuncia in un coro unanime, dopo circa 20.000 anni dal punto di minima inclinazione dell’ Obliquità dell’eclittica (22° 30’), avremmo trovato l’asse terrestre  inclinata di circa un grado (cioè  a  23° 30’). In cifra goniometrica, è’ pressappoco questa la posizione attuale dell’ asse terrestre che peraltro, differisce dalla precedente (40.000 anni prima aumentava) per il movimento in chiara diminuzione. 

Fig C


 
    Mentre nei 20.000 anni successivi all’inclinazione minima, i gradi presero ad aumentare (allora come oggi il giorno differiva da un minimo a un massimo stagionale di quattro ore) attualmente i gradi di inclinazione stanno diminuendo e l’asse terrestre risulta inclinata, come detto,  di  23° e  27’. Torniamo dunque  al tempo di  circa 40.000 anni fa, che nella Figura B abbiamo indicato col punto C, diametralmente opposto ad a. Man mano che i secoli trascorrevano, il divario fra ore diurne e ore notturne si incrementò fino al punto da noi indicato in b2. In sostanza, da C a b2  lo scarto fra giorno e notte si  proiettò sulle fasi stagionali ( estate-inverno ) dimodoché a inverni più rigidi corrisposero estati molto calde, in cui, senza l’apporto di altri fattori, l’esposizione solare sarebbe riuscita a sciogliere tutto il ghiaccio accumulato d’inverno. Ma, evidentemente, vi era nella posizione fra terra e sole, un elemento di disturbo che provocò un deciso aumento del freddo sull’intero globo terrestre.  Il punto b2, nella figura B, rappresenta per l’appunto il momento geologico di massima espansione della coltre di ghiaccio, noto come  glaciazione di Wurm, periodo durato stabilmente per settemila anni (nel grafico in figura B indicato con l’arco b1-  b2). Cosa è avvenuto, dunque, nell’intervallo temporale di circa 20.000 anni in cui l’inclinazione assiale si è portata da 23° 30’ a circa 24 gradi e mezzo (24° 30’)? Anzitutto è avvenuto che lo scarto fra durata del giorno e della notte si è incrementato fino a raggiungere livelli massimi. L’incremento della differenza di durata di giorno e notte, significa sostanzialmente che la notte era divenuta sensibilmente più lunga al solstizio d’inverno e così anche il giorno al solstizio d’estate. Erano nate le stagioni! Nonostante ciò l’accumulo di ghiacci raggiunse la sua espansione polare e  continentale massima, pertanto dobbiamo dedurre che nel frattempo fosse avvenuto qualche altro evento a modificare l’iniziale condizione di equilibrio. A questo punto, cioè dopo aver raggiunto l’apice (b1 e b2)  della scala relativa all’inclinazione assiale, cominciò il ciclo inverso: lo scarto/differenza fra notte e giorno prese a diminuire,  le notti nel nostro emisfero iniziarono ad accorciarsi così come le ore diurne, mentre l’asse terrestre, l’Axis Mundi, cominciava una lenta inclinazione dalla parte opposta, in un lentissimo movimento di ritorno che però bisogna relazionare ai tempi in cui la terra, seguendo la sua orbita,  passava a volte più vicino al sole (Perielio), a volte più lontano (afelio). In parole povere, dopo l’inclinazione massima di 24° 30’ incominciò il lento movimento di inversione dell’Obliquità dell’eclittica, per cui le estati divennero più calde e gli inverni meno freddi,  al punto di cominciare a consumare lo strato di ghiaccio formatosi precedentemente. I dettagli sono ben spiegati nei rapporti del giovane astronomo serbo Milutin Milankovitch, del quale scriveremo più dettagliatamente nelle prossime pagine.  

lunedì 1 novembre 2021

Il profeta Daniele alle prese con l'Axis Mundi (Quarta parte)

 La perpendicolarità dell'asse terrestre col piano dell'eclittica:                                               reale fenomeno planetario o abbaglio dei mitografi? 

                                                                                                                        Odilon Redon. La caduta di Fetonte

Introduzione

   Lo schema del grande fuoco, preceduto dall’equilibrio della fase aurea, secondo le analisi sviluppate nel sito Axis Mundi,  rappresenterebbe i grossi cambiamenti climatici conseguenti al  ciclo stagionale che a sua volta sarebbe stato provocato dallo spostamento dell’asse terrestre combinato ad altri minimi fenomeni orbitali, fenomeni tanto ridotti che gli esperti li hanno ignorati e ritenuto insignificanti per tanto tempo. Una  serie di fattori astronomici in stretta concomitanza fra loro,  avrebbe  provocato l’alternanza del caldo estivo (il fuoco del mito, per l’appunto) e del freddo invernale, fattori decisivi per lo sviluppo dell’agricoltura e della pastorizia. I ritmi delle attività umane si regoleranno e consolideranno successivamente intorno a questa importante caratteristica climatica: le stagioni, che forniranno all’uomo la possibilità di costruire, sull’accumulo delle risorse alimentari, le prerogative della propria sopravvivenza e del successivo incremento demografico.

Una catastrofe recente o un abbaglio collettivo?

   Ciò che però sembra sfuggire alla nostra perspicacia è il periodo effettivo durante il quale sarebbe realmente avvenuto questo importante stravolgimento climatico e si sarebbe verificato su tutto il pianeta il ben noto fenomeno dell’alternanza stagionale.  Andrea Casella e Marco Maculotti,   stabiliscono  come data di riferimento l’Era dei Gemelli (quando La vergine occupava il coluro soltiziale estivo), indicando pertanto la data (approssimativa) di 4500 anni a.C.  E qui i nostri conti, confermati dai  numeri riportati nel Libro di Daniele, non paiono in sintonia coi due Autori. Da tener presente, in questo caso, è il fatto che la fine dell’Età dell’Oro sarebbe astronomicamente determinata (secondo gli Autori citati) dallo spostamento della via ascendente che originariamente, cioè durante l’Età dell’Oro, era stata identificata con la Via Lattea. In sostanza, sempre secondo il parere degli Autori in questione, in questo periodo si sarebbe verificata l’inclinazione dell’asse terrestre, fenomeno  che l’astronomia ufficiale avrebbe anticipato di parecchio tempo. Secondo noi, invece, non si sarebbe trattato di un movimento rapido, ma casomai lento, corrispondente al fenomeno dell’obliquità dell’eclittica, la cui misura attuale, 23 gradi e 27 primi, si sarebbe potuta calcolare, con le dovute approssimazioni, già diversi secoli prima di Cristo (Enopide di Chio). A rafforzare questa nostra idea, sta il fatto incontestabile che a piccole variazioni dell’inclinazione dell’asse terrestre corrisponderebbero forti cambiamenti climatici.  Andiamo comunque, con ordine, andando a ripescare alcuni punti controversi del post su Axis Mundi dal titolo: ‘Il significato dell’Età dell’Oro. Astrea e la caduta di Fetonte’, a firma di Andrea Casella.

    L’Autore comincia la sua analisi ricordandoci che il mito dell’Età dell’Oro è stato menzionato nei testi sacri di molte tradizioni, per poi giungere alla nostra epoca per bocca e penna di poeti e antichi cantori.

PREMESSA.                                                                                                                                                                              Tutti i popoli del mondo – scrive il Casella – hanno raccontato come fosse una favola, il mitico Primo Tempo dell’umanità, un periodo di abbondanza  e armonia in cui gli déi camminavano sulla terra con gli uomini.” Ancor oggi, nel lessico popolare con questo appellativo si usa indicare un’epoca di fasti, glorie passate e di equilibrio sociale. Anche a nostro avviso, la celebre formula poetica nasconde ‘sotto il velame di versi strani’ ben più concreti contenuti astronomici. Così continua Andrea Casella: “La nostra era, quella dei Pesci, iniziata intorno all’anno zero (Zero Pesci), in precedenza era stata l’Era dell’Ariete e ancor prima, l’Era del Toro (4200 anni a.C.). Circa 6500 anni precedenti la venuta del Cristo, poco prima dell’alba dell’equinozio di primavera avremmo visto splendere nel cielo le stelle del segno dei Gemelli, mentre al solstizio d’estate avremmo potuto ammirare sorgere eliacamente il segno della Vergine (Astrea), all’equinozio autunnale la costellazione del Sagittario e al solstizio d’inverno quella dei Pesci. Erano dunque questi i quattro pilastri che reggevano il mondo quadrangolare degli antichi osservatori del cielo, alla fine dell’Età dell’Oro. Si dice infatti che la Vergine celeste, in quel tempo, camminasse fra gli uomini distribuendo pace e giustizia. Alla fine del penultimo Manvantarah, non a caso Vishnù appare sotto forma di pesce” e , aggiungo io , anche dalle catacombe romane e da scavi effettuati nei dintorni, ci giungono vari reperti  che raffigurano animali comuni dotati di coda di pesce.                                                                                                                                                                

   In genere, gli archeologi non hanno mostrato attenzione per queste lastre di pietra scolpite a mano, forse perché incapaci di fornire una qualche interpretazione. In questo senso, le successive parole del Casella paiono suggerire qualcosa di importante: “Vishnù-pesce annuncia a Satyavrata (Manu)  che presto il mondo sarebbe stato sommerso dalle acque (diluvio) e che, per salvarsi, egli avrebbe dovuto rifugiarsi in un’arca (legno di frassino per la mitologia nordica. E qui torna il motivo/simbolo del legno).                                                                                                                                                             


  Il dato davvero dirimente ce lo forniscono tuttavia De Santillana e la Dechend (paragrafo tratto da Il Mulino di Amleto): ‘Al tempo Zero (è la definizione indicante lo Zep Tepi egiziano) i due cardini equinoziali del mondo erano stati quelli dei Gemelli e del Saggitario, tra i quali si estendeva l’arco della Via Lattea’. L’immagine dell’arco sfavillante della Via Lattea teso fra i cardini equinoziali esprime chiaramente il concetto di via (ascendente e discendente) aperta: ecco perché uomini e dèi potevano incontrarsi! Viene dunque sottolineato come la virtù dell’Età dell’Oro fosse in senso cosmico la coincidenza del punto d’incrocio fra eclittica-equatore celeste e   eclittica-Galassia,  che raccordavano il nord e il sud del firmamento. “Come detto - prosegue il Casella – la Vergine celeste sorgeva eliacamente al solstizio d’estate portando in mano una spiga di grano (la stella detta Spica è infatti l’astro principale della costellazione) come nunzia della mietitura”. A suo giudizio, pertanto, questa epoca (circa 6000 a.C.) avrebbe visto nascere l’agricoltura; ma questa  datazione rimane per noi incerta, perché non risulta confermata da precisi studi di settore (Antropologia, Biologia), nei quali  si tende invece a collocare l’origine  di questa fondamentale tecnica di coltivazione, intorno a 10-12000 anni fa o , secondo studi più recenti, addirittura a 21000 anni prima di Cristo, e non perciò in corrispondenza dell’ultima Era dei Gemelli.                                                                                                 

                                               L'arco temporale dal segno del Leone (A) all'Acquario (B) si estende per quasi 39.000 anni    

Leggiamo ancora su Axis Mundi: “Scrive Robert Graves (nell’introduzione a I miti greci),  meno attento alla questione delle date: ‘In tutta l’Europa neolitica le credenze religiose erano piuttosto omogenee e tutte basate sul culto della dea madre dai molti appellativi: L’antichissima relazione fra la Vergine e il Sole, giunge attraverso i meandri del tempo fino a periodi relativamente recenti, riversandosi nella dottrina iniziatica dei Misteri Eleusini, con Demetra che partorisce Dioniso.  Ora, è fin troppo noto che l’Età dell’Oro vide come suo sovrano Kronos-Saturno (figlio di Gaia e di Urano stellato). I Saturnali potrebbero allora esser stati, più che una festa  antropaica in cui si sovvertivano i ruoli sociali, una commemorazione di quell’aureo tempo mitico in cui non c’erano distinzioni  tra dèi del firmamento,  uomini della terra e spiriti. Si potrebbe, a tal proposito, condurre uno studio comparato su tutte le festività arcaiche, il cui significato primordiale potrebbe essere soprattutto astronomico e astrologico; significato che in seguito si perse nell’apparenza di una ritualità dedicata alla vegetazione, all’agricoltura organizzata, al  grano e alla fertilità (Frazer). Risulta alquanto significativa anche la ritualità degli indiani (d’America)  Cherokee ( J. Frazer . Il ramo d’oro. Pag 585) i quali raccontano di un’antica disperazione umana per la perdita dei punti cardinali del ‘campo celeste’.  Andrea Casella commenta così : “Come si sa, quella condizione  aurea venne meno intorno al 4500 a.C. . Di questa tragedia è rimasto un pallido ricordo che narra di un incendio della terra.”  E di quello sconquasso parla anche la vicenda di Fetonte. Fetonte convinse un giorno suo padre, Helios, a lasciargli condurre il suo carro. Sfortunatamente, durante il tragitto i cavalli si imbizzarrirono, spaventati dagli animali dello zodiaco e Fetonte finì la sua corsa andando incontro alla morte, mentre il carro si rovesciava e incendiava tutta la terra.Così Manilio in Astronomica I° ( pg. 748-749): “ Il mondo prese fuoco e in nuove stelle accese chiaro ricordo di suo fato reca”. Che le peripezie di Fetonte non fossero solo il pretesto per una storiella moraleggiante lo dimostra anche Platone per bocca di un sacerdote egizio (Timeo 22c-d) che conversando con Solone rivela: “Ci sono state molte catastrofi per l’umanità e molte   ancora ve ne saranno, le più grandi dovute al fuoco e all’acqua, altre meno gravi provocate da infinite cause. Ciò che si racconta per esempio anche da voi  e che una volta Fetonte, figlio del Sole, dopo aver aggiogato il carro del padre  ed essendo incapace di guidarlo lungo il percorso stabilito dal genitore, fece bruciare tutto ciò che si trovava sulla terra e morì lui stesso fulminato”.     Giustamente Andrea Casella ricorda che la vicenda di Fetonte si tramanda  sotto forma di mito, mentre la verità è che si dà una deviazione dei corpi che si muovono nel cielo intorno alla terra e una distruzione di ciò che si trova sulla terra, per un eccesso di fuoco. Ma cos’è, più precisamente, questo fuoco ? Sembra qualcosa che abbia a che fare direttamente col cielo. “Questo fuoco , conclude il Casella, non è altro che il coluro equinoziale di cui abbiamo parlato, corrispondente al cerchio massimo passante per i poli celesti e i punti equinoziali, e che , nell’Età Dell’Oro, coincideva con la via Lattea, tenendo uniti saldamente l’Equatore celeste e l’eclittica. Gli Aztechi consideravano Castore e Polluce, le due stelle principali della costellazione dei Gemelli, i primi bastoncini da fuoco, quelli da cui l’umanità aveva imparato come produrre la combustione  per sfregamento”. Per Andrea Casella insomma,  tutto sembra abbastanza chiaro, a patto di considerare che nell’Età dell’Oro, il primo termine dell’arco equinoziale della via Lattea era posto nei Gemelli.   

Tornando al pezzo su Axis Mundi (Approfondimenti su Il fuoco celeste, Kronos, Fetonte e Prometeo   si è dunque visto che nell’Età dell’Oro  le tre grandi linee celesti erano unite a costituire l’armatura-asse del mondo. La via che collegava, la terra dei vivi, il cielo e il regno dei morti, era aperta e non vi era distinzione fra uomini in carne ed ossa e immortali. Il problema rimasto insoluto riguarda perciò l’esatta cronologia in cui questa epocale separazione cosmica sarebbe avvenuta, poiché il segno dei Gemelli, quello a noi più prossimo, al quale in tutta evidenza si riferisce il Casella, (cioè al tempo di circa 8000 anni fa o, 6000 anni prima di Cristo.) non sembra trovare conferme nelle soluzioni delle moderne discipline scientifiche.

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giovedì 21 ottobre 2021

I sette tempi (Terza parte)

   Una volta stabilito il punto ‘zero Pesci’ ho voluto dedicare un po’ di spazio alla complicata questione dei ‘sette tempi’. Come lasciato intendere in precedenza, l’unità di misura valida per la scala guenoniana  (in riferimento ai quattro ‘Yuga’ dell’ultimo Mantanvarah), non può essere applicata all’interpretazione del secondo sogno del re. In Dan 4, 20-21 , il profeta Daniele dice chiaramente che dopo aver legato le radici dell’albero abbattuto  con catene di ferro e bronzo, costui,  ovvero il re/albero  


  oramai deceduto, troverà ospitalità fra gli ‘animali della terra’ ( le costellazioni, per l’appunto) e verrà bagnato dalla rugiada del cielo. Crediamo che la decodificazione della forma poetica adottata sia abbastanza semplice: la rugiada infatti è rappresentata nel cielo dal fitto manto di stelle sotto il quale le costellazioni si muovono perché hanno velocità diversa. Il rapporto figurato dalla bella versione poetica parla così di una brina luminescente  che passa sopra gli animali, le case zodiacali, fra le quali  ora è presente anche quella dell’anima del re deceduto, che fa da capofila dei sub-cicli contenuti in un grande ciclo cosmico. L’anima del re dimora adesso nei cieli, facendosi ‘bagnare’ dal manto sovrastante di stelle (quelle più lontane) finché, in quella condizione beata non passeranno sette tempi. A questo punto non  si può più negare che i  sette tempi citati nella profezie  siano quelli compresi  fra la caduta/morte del re Nabuccodonosor e la fine dei tempi successiva alla venuta del Messia,  qui chiamato, forse per la prima volta, ‘il più Umile fra gli umili’ (Dan 4, 14.).  Non è difficile perciò  concordare sul fatto che i sette tempi vadano contati a partire dall’abbattimento del grande albero ( o dalla  testa d’oro della statua sognata dal re), alla fase terminale dell’Era dei Pesci, entro lo stesso arco di tempo che,  nel Vangelo di Marco (Mc 6, 41) , verrà  narrato  con le seguenti parole: 

   “…ed egli prese i cinque pani e i due pesci e alzando gli occhi al cielo

Gli occhi vengono orientati in alto, dove effettivamente stavano i ‘pani’ e i pesci, nella misura temporale di cinque ere successive alla casa della Vergine, detta anche e per l’appunto, Casa del Pane (Geograficamente Betlemme, da bet=casa e lem=pane); le due ere dominate casa dei Pesci, geograficamente Betsheida e astronomicamente (le due ultime ere) l’Ariete e i Pesci, sono epoche corrispondenti al prima e al dopo la nascita del Messia. 

li benedì, spezzò i pani e li diede ai suoi discepoli affinché li distribuissero.”       

   Nel  Vangelo di Marco si parla di una platea di 5000 persone suddivise in gruppi di 50 + 100 individui, e ciò rimanda al significato numerico seguente rapporto 5000/150 = 33,3 = gli anni del Cristo. In pratica la moltitudine accorsa ad ascoltare la predicazione del Nazzareno potrebbe indicare il tempo trascorso entro il semi-ciclo precessionale compreso fra la Casa della Vergine e quella dei Pesci. Sono per l’esattezza sei mesi + uno del grande anno, quindi ‘mesi’ con  durata di 2160 anni ciascuno , cioè  30 gradi d’arco del ciclo precessionale. Se questo passaggio dovesse suscitare giuste perplessità, si pensi al dipinto del Cenacolo di Leonardo da Vinci. Come ci viene spiegato  egregiamente nel sito Profezie Evangeliche facendo attenzione alla disposizione del piatto dei pesci e di quello del pane sulla tavola dei Discepoli, non sarà difficile attribuire a ciascuno di loro una precisa corrispondenza astronomica. E dunque Pietro il pescatore che altro segno/casa zodiacale avrebbe potuto rappresentare se non quella dei Pesci? Forse Leonardo da Vinci era al corrente dei significati riposti nei testi sacri; i codici segreti, poi…erano il suo forte. Si sa. 

      Illustrazione tratta dal sito Profezie Evangeliche

E  se ancora persistessero dubbi sul significato messianico dei ‘sette tempi’ indicati dal profeta Daniele si vada a consultare il relativo passo tratto dall’Apocalisse di Giovanni, non meno criptico del precedente ma ancora una volta perfettamente in linea coi ragionamenti qui avviati.  Così è scritto in Ap 17, 9-10 , con esplicito riferimento ai versetti precedenti:   “Qui occorre la mente che ha sapienza: le sette teste sono sette colli su cui si è adagiata la      donna ; ma sono anche sette re  dei quali i primi cinque sono passati, uno c’è mentre l’altro non è venuto ancora, ma quando verrà rimarrà per poco tempo.”   

    L’allusione al 'settimo tempo' si riferisce all'Era dell’Acquario, unico  segno con fattezze umane, forse collegato al periodo antecedente la figura onirica del Grande Vecchio, il marcatore del Nuovo tempo di pace e armonia.  Ancora però, siamo nel campo delle pure congetture.  Se nel caso del computo dell’evangelista ogni  ‘re’,  può essere riferito a un' età precessionale (detta anche mese precessionale = 2160 anni solari), nella scala indicata da Daniele profeta  i sette tempi  parrebbero  indicare  i  sette intervalli che seguono l’Età dell’Oro. In  base a  quest’ultima  interpretazione, un ‘tempo’ può essere considerato uno scarto di circa 6500 anni, pressapoco  1/4 di ciclo precessionale. Rispetto a quest'ultima scala (statua del primo sogno del re), dalla fine dell’Età dell’Argento alla fine dell’Era Pesci, corrono tuttavia soltanto sei tempi. Il successivo, il settimo, è presumibilmente quello destinato a ‘durare poco’  e a precedere la Nuova epoca di armonia.                                                             

    Nella figura qui sopra, che rappresenta il tempo della 'tribolazione', si può osservare che la scala zodiacale comincia col segno del Leone, mentre l'epoca storica in cui vive Daniele appartiene al segno dell'Ariete.  Il Leone si è già nutrito col tempo del Toro (notare i particolari del bassorilievo  nella fotografia alla fine). In totale, gli anni della tribolazione sono 38000 (circa 540 gradi precessionali), ai quali si deve aggiungere l'Era dell'Acquario, destinata, secondo gli evangelisti, a terminare anticipatamente. 

                        ______________________________   

Dopo il suo  secondo sogno e la relativa spiegazione, il re Nabuccodonosor sente una voce che gli ricorda i suoi doveri verso il Dio ebraico. Sostanzialmente la voce lo trasporta in una realtà parallela dove vede avverarsi i  vaticini  rivelati da Daniele. I versetti a chiusura del quarto capitolo riprendono i motivi del secondo sogno e inducono il sovrano a prestar fede al Dio israelita, l’onnipotente Re di tutte le cose e dell’intero Cielo.  Il libro di Daniele salta poi al quinto capitolo, dove compare la figura di Re Baldassar,

La Mano de Dios.

     Prima del famoso gesto del fuoriclasse argentino, Diego Armando Maradona, l’unica Mano di Dio  rimasta impressa nella nostra memoria era stata quella descritta dal profeta Daniele, nell’ omonimo libro.

   Riprendiamo il racconto del quinto capitolo che si svolge nel tempo  di Baldassar, indicato nel  testo come figlio del deceduto Nabuccodonosor. Non vi sono passaggi intermedi a raccontare gli eventi e dunque l’autore parla subito  di un regale banchetto, al termine del quale il re stesso vede comparire una mano intenta a scrivere sull’intonaco della parete. Profondamente colpito da quel fenomeno paranormale interpella la moglie che lo indirizza  senza indugi alla figura del grande saggio ebreo già noto a suo padre. Naturalmente tutto il racconto non si svolge secondo una cronologia coerente; sembra invece che i testi siano stati ordinati in modo casuale. In realtà, come più volte ripetuto  nei nostri articoli, il senso della trama, i riscontri storici e il filo narrativo da un capitolo all’altro lasciano spesso a desiderare, mentre il corpo degli scritti  sembra più che altro voler  fornire elementi utili alla decodificazione di qualche importante messaggio. Daniele, alla fine, esterna il suo rimprovero al re, prima di fornirgli la traduzione delle tre parole scritte dalla mano ‘ Mene, Teqel, Peres’. Il capitolo termina con la morte del re di Babilonia Baldassar, figlio di Nabuccodonosor .  Ovviamente, gli storici  non confermano minimamente questa linea di successione sul trono di Babilonia e neanche l’analisi della trama sembra filare liscia. Tante circostanze infatti,  non seguono un filo narrativo coerente e lasciano il lettore interdetto, a dimostrazione che l’intento dell’autore non fosse quello di scrivere una bella storia,  ma (semmai) di far passare determinate informazioni. 

Nella ‘fossa’ del (segno del…) Leone

     Nel sesto capitolo compare sulla scena il re Dario, simbolo della corruzione dei costumi del suo popolo. Egli è il monarca che dopo aver lodato e promosso il profeta ebreo, torna sui propri passi, quindi, dietro consiglio di sapienti invidiosi, getta Daniele nella fossa dei leoni. L’unico numero menzionato dall’autore è il trenta: sono infatti 30 i giorni durante i quali il profeta ignora di omaggiare l’effigie sacra del nuovo sovrano di Babilonia. Il reato contemplato nel codice reale, gli garantirà la famosa punizione. L’ennesimo prodigio divino consentirà però a Daniele di uscire illeso dalle fauci delle fiere, e tanto servirà a persuadere il sovrano a concedergli la grazia.

In chiave astronomica i 30 giorni, come abbiamo sempre inteso in queste nostre dissertazioni, potrebbero rappresentare trenta gradi del ciclo corrispondente all’Era del Leone (si tratta però della casa zodiacale che sorgeva all'equinozio di primavera appena dopo la fine dell' epoca aurea, dando inizio alla grande tribolazione). Il dio ebraico sembra infatti dominare sul potere temporale del re-leone e mostrerà,  col suo miracolo e con la grazia concessa al condannato, di sovrastare la potenza tutti le altre divinità babilonesi. Dario non appartiene al casato dei suoi due predecessori e, per questo, potrebbe rientrare nel criterio di interpretazione del primo sogno di Nabuccodonosor. Egli dovrebbe quindi appartenere al periodo corrispondente alla porzione bronzea della statua. L'iconografia  proveniente da antichi reperti conferma che Dario governerà ufficialmente Babilonia dal 522 a.C al 486 a.C. Egli è raffigurato come un leone con le ali per il fatto che il segno dominante  rispetto le successive dieci ere precessionali è per l’appunto quello del Leone, come l’Agnello sarà capofila del Nuovo (ed ultimo) regno della salvezza.                                                                                                    

  

          Sempre secondo la storia ufficiale, il suo regno terreno sarebbe invece appartenuto all’Era precessionale dell’Ariete (2160 anni precedenti a ‘Zero Pesci’), ma perché in questo capitolo (Il sesto) viene menzionato l’episodio della ‘fossa dei leoni’? La nostra interpretazione, in base alle cifre riportate nel testo, indicherebbe che nei 30 giorni (gradi precessionali di 2160 anni solari durante i quali Daniele insiste nel suo ‘reato’ di venerare il dio ebraico, blasfemo a Babilonia), in sostanza, sta imponendo il suo potere a quello pagano che nella scala precessionale corrisponderebbe alla prima Era del Leone. Il dio di Daniele quindi  preserva il suo devoto dalla punizione e impone al Leone la propria volontà che lo stesso Dario, di fronte all’evidenza del prodigio appena veduto, non tarderà a riconoscere. Se proiettiamo la figura della grande statua dai piedi d’argilla sui simboli appena descritti sembra allora che questo episodio - in senso precessionale - appartenga alla porzione bronzea della statua; ma per capire questo passaggio dobbiamo ipotizzare che l’autore del Libro di Daniele operi sulla base di due livelli temporali: uno effettivo (storico, contemporaneo), l’altro precessionale. L’Autore dunque, utilizza l’aggancio storico della propria epoca, per poi proiettarlo  sulla scala precessionale corrispondente agli ultimi 39000 anni solari, intervallo di  tempo compreso su scala minore,  fra Leone e Pesci (+ Acquario; o 'Aquario'); ciò perché gli evangelisti chiamati in causa  operano allo stesso modo rispetto a un periodo di 13000 anni solari. Per avere migliori ragguagli dell’operazione intentata nei Vangeli, consiglierei la consultazione di un interessantissimo lavoro sul sito Profezie Evangeliche .

Una volta familiarizzato con questa  sorprendente lettura mitografica, non sarà difficile applicare lo stesso ragionamento anche al Libro di Daniele. L’aggancio con i tempi della storia ufficiale, riguardano in questo caso il periodo trascorso dal profeta a Babilonia, come deportato. Si parla  perciò di un periodo compreso grossomodo all'inizio dei cinquecentocinquanta anni precedenti la venuta del Cristo (=Zero Pesci), all'inizio del quale Daniele fu fedele servitore  di ben tre monarchi;  il regno di questi prestigiosi sovrani non combacia tuttavia minimamente con le date individuate dagli accademici, propensi a considerare il Libro di Daniele  come opera di genere pseudoepigrafa, ovvero, scritta da un anonimo autore  che utilizza il nome di un personaggio famoso,  costruita come vaticinium ex eventu , che sarebbe a dire come falsa-profezia posteriore ai fatti annunciati. Se quindi, il periodo complessivo dovesse corrispondere allo stesso lasso di tempo chiamato da Renè Guenon, l’ultimo Manvantarah e se l’autore che chiamiamo Daniele, avesse voluto fornire una visione cronologica dei suoi tempi per rapportarla alla Grande scala precessionale (In virtù di una tecnica narrativa ripresa poi anche dagli evangelisti), potremmo automaticamente considerare la testa d’oro della statua come primo periodo Satya Yuga ; e potremmo anche ipotizzare che con esso avesse avuto fine l’Età dell’Oro, dando inizio a quella che, una precisa letteratura apocalittica ha classificato come  epoca della grande tribolazione.   Il  periodo dell’abominio , comincia nel sogno del re con l’abbattimento del grande albero. Nella scala guenoniana questo periodo sarebbe dunque cominciato 19000 anni prima della nascita del Cristo, per dilatarsi fino all’epoca moderna, cioè ai nostri giorni.  Teniamo conto di questo computo temporale che potrà tornarci utile quando andremo ad scandagliare le profondità del mistero conchiuso nella profezia dei Settanta anni. Ma prima, bisogna riprendere il filo del grande racconto di Daniele da quei capitoli che trattano l'avvento delle quattro terribili bestie.

   A chiusura di questo articolo vorrei richiamare l’attenzione dei più su alcune importanti analisi      che ho avuto modo di consultare sul sito Axis Mundi. Gli Autori che si sono occupati del tema da noi proposto, quello dell’inizio del periodo della ‘grande tribolazione’, concordano sul fatto che la  fine dell’Età dell’Oro sia stata simbolicamente rappresentata nei racconti mitici di varie culture, con la figura dell’albero o del legno, al quale, sovente, veniva fatto seguire il simbolo dei due bastoncelli; in chiave astronomica il riferimento  è  alla casa precessionale dei Gemelli, nel senso che, a partire da questa epoca, il pianeta sarebbe incorso in uno stravolgimento del primo ordine per poi subire un lungo periodo di devastazione provocato dal fuoco.